Per gli abitanti di via Borgo Dora 39, storico edificio nel cuore del Balon, la notte di giovedì è stata la prima di sollievo dopo un mese d’incertezze. Dal 2015, quando un imprenditore di Chieri ha comprato lo stabile, gli abitanti ricevono ingiunzioni di sfratto che sono state regolarmente prorogate di sei mesi in sei mesi. Il secondo martedì di giugno lo sfratto è stato prorogato di una sola settimana; poi, il martedì successivo, di nove giorni. Il timore in queste settimane è cresciuto tra gli abitanti, spiazzati da un gioco poco comprensibile. Poi, giovedì, arriva una notizia che fa tornare a respirare in queste torride giornate di fine giugno: lo sfratto è posticipato al 13 agosto con comunicazione dell’ufficiale giudiziario. A come reagire si sarebbe ragionato poi, con la tranquillità di avere ancora un tetto sopra la testa per cinquanta giorni abbondanti.
Venerdì, alle 7.30, meno di ventiquattr’ore dopo la proroga, la polizia – presente in forze con sette camionette, decine di digos e celerini – ha bloccato gli accessi alla casa e iniziato le operazioni di sgombero dello stabile.
La palazzina si risveglia a suon di pugni aggressivi che picchiano sul portone, fino a quando la polizia sorniona non riesce a entrare per comunicare l’esito del gioco sadico ai diretti interessati. Due imponenti muri di forze dell’ordine bloccano già una cinquantina di metri della strada, impedendo a chiunque di avvicinarsi. Il quartiere si sveglia lentamente, arrivano i primi solidali: militanti, abitanti del quartiere, curiosi. Le famiglie raccolgono le loro cose, s’ingegnano per soluzioni di emergenza. La rabbia è molta, così come lo stupore, il foglio siglato dal tribunale che poche ore prima dava sollievo ora è solo carta straccia.
Nelle ore in cui assistiamo inermi a quest’azione muscolare i giornali danno il loro contributo: menzionano gli abusivi, ma non ricordano la proroga e i contratti di affitto. Gli articoli, poi, raccontano di una donna che si è lanciata dalla sua abitazione durante lo sgombero, per disperazione. Il fatto, spogliato dalle sue cause, è l’ingrediente di una tensione drammatica creata ad hoc per mettere in secondo piano gli elementi di un’operazione favorevole a un imprenditore che ora potrà moltiplicare il guadagno di un immobile in una posizione strategica della città. A soli cinque minuti a piedi dal Mercato Centrale, a due dalla scuola Holden il palazzo si affaccia sul mercato dell’antiquariato del sabato: già vediamo gli annunci immobiliari.
Pare, ma nulla è certo (la forza pubblica non ha bisogno di giustificazioni), che lo sgombero sia avvenuto per questioni di inagibilità dello stabile. D’altronde l’antica trattoria che occupa il pian terreno del palazzo non è stata toccata dall’azione di sgombero. Il confronto coi ristoratori, durante il picchetto di solidarietà del giorno prima – tra un succo tropical, comfort food e giochi coi bambini – aveva già segnato una distanza tra noi e loro: persone che si dicono estranee ai fatti, solidali a modo loro, ma che silenziosamente hanno già deciso da che parte stare e chi deve pagare.
Adesso ci sono famiglie e singoli in emergenza abitativa. Il savoir-faire del potere si consacra nella sua gestione: delle tredici famiglie solo due hanno ricevuto una soluzione abitativa, le altre si devono arrangiare. I mobili e gli oggetti accumulati in una vita vengono in poche ore caricati su grandi camion che si riempiono all’inverosimile e, in tarda mattinata, partono per destinazioni diverse più o meno lontane. Moustafa, per esempio, ci dice che le sue cose andranno dalla sorella, a Biella. Mentre ci parla lo vediamo rassegnato e spento, ma nonostante questo è impeccabile, elegante e cinico come sempre. «Meno male che sono venuti alle otto del mattino e non alle sei, così abbiamo potuto dormire tranquilli».
Verso l’ora di pranzo, quando ormai del trambusto della mattina non rimangono che le camionette delle forze dell’ordine, leggiamo quello che sta succedendo sulla pelle degli sgomberati in continuità con i numerosi atti che, nel giro degli ultimi mesi, stanno espropriando un pezzo della città. La violenza con cui s’agisce nel quartiere per accelerare i processi di speculazione e gentrificazione sembra in continua crescita. Pare ci sia un calendario chiaro, ineluttabile. (ilaria magariello/edoardo girardi)