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26 Giugno 2019

Catalogna, il municipalismo popolare della Cup dopo le elezioni

Giovanni Castagno
(disegno di escif)
(disegno di escif)

«È possibile che non sia stato fatto tutto quello che avremmo dovuto fare». Queste le parole di Eulalia Reguant, ex deputata ed ex consigliera comunale della Cup a Barcellona, dopo avere conosciuto l’esito delle elezioni municipali del 26 maggio che l’hanno vista uscire dal consiglio comunale. Ed è certo che la Candidadura d’Unitat Popolar non abbia raccolto i voti che si aspettava proprio nella tornata elettorale dove aveva sempre fatto meglio: le elezioni municipali.

La formazione anticapitalista ha visto arretrare il proprio sostegno rispetto al 2015, e invertire una tendenza che l’aveva vista in costante crescita prima di quella data. I numeri parlano chiaro: 45 mila voti in meno nella Comunitat Autònoma della Catalogna, passando dal 7,46% delle preferenze al 4,8%, con trentacinque consiglieri comunali in meno. È possibile che l’assenza in queste elezioni di rappresentanti sufficientemente conosciuti abbia avuto il suo peso. Sia a livello locale che nazionale, infatti, nessun candidato può presentarsi più di due volte e un ricambio all’altezza, rispetto alle passate elezioni, effettivamente non c’è stato. D’altra parte, la perdita di voti si era già vista nelle ultime elezioni regionali.

Quattro anni dopo

Nel 2015 in Catalogna si viveva un clima politico alimentato dall’orizzonte della ruptura con lo stato spagnolo. Alcuni mesi prima c’era stata la consultazione del 9 novembre sull’indipendenza, la tensione era forte e il voto alla Cup era considerato utile da un ampio spettro sociale per sostenere un’opzione radicale. Oggi il panorama è cambiato e dopo quattro anni di continua tensione politica con Madrid, pare sia prevalso un discorso diverso, quello del dialogo a lungo termine, costantemente rilanciato dalla stampa maggiore.

Scorrendo i dati si osserva che la Cup non avrà nessun consigliere a Barcellona, dove è passata da 51.889 voti a 29.335, perdendo il 43% dei consensi; che ha perso il governo di città importanti dell’area metropolitana, come Sabadell (che conta più di duecentomila abitanti), Terrasa, Hospitalet e Badalona, dove la candidatura dell’attivista Dolors Sabater, che il Partito Socialista aveva fatto dimettere da sindaca per il suo supporto all’indipendenza, ha ottenuto molti meno voti del previsto, nonostante il sostegno di Esquerra Repúblicana. Si sono persi voti e consiglieri comunali in molti altri municipi con più di ventimila abitanti: Lleida, Reus, Mataró, Sitges.

L’unica località medio-grande in controtendenza rispetto a questa perdita generale di voti e consiglieri nei comuni sopra i ventimila abitanti è Girona. Qui la Cup si è presentata con la coalizione Guanyem Girona, insieme a un settore di Comuns. I voti raccolti collocano questa coalizione lontano dalla maggioranza assoluta, ma essa è comunque la seconda forza e passa da 5.425 voti delle precedenti elezioni a 8.311, raggiungendo i sei consiglieri e superando il Partito Socialista.

Invece, nei comuni con meno di ventimila abitanti, lontani dai grandi centri metropolitani, gli anticapitalisti hanno visto crescere il proprio consenso. A Berga, sedicimila abitanti, dove la settimana scorsa durante la festa annuale migliaia di persone hanno dispiegato una gigantesca bandiera con la scritta “Repubblica catalana”, la sindaca Montse Venturós ha raccolto molti più voti della precedente legislatura, nonostante l’ordine di sospensione emanato dalle autorità spagnole per disobbedienza alle leggi dello stato in occasione del referendum del primo ottobre. Qui la Cup ha raccolto il 40% dei voti totali, aumentando di quasi il doppio rispetto alla tornata precedente. Anna Alzina, militante della Cup di Berga, spiega il successo ottenuto: «Sono state soprattutto due le cose importanti: il programma, che come quattro anni fa è il frutto di assemblee con i collettivi, con le associazioni e le organizzazioni di Berga. Poi l’efficacia del lavoro svolto in questi quattro anni». Innanzitutto l’ospedale che è tornato nelle mani pubbliche; ma anche alcune misure di sostenibilità ambientale e di politica fiscale, con la razionalizzazione del debito del Comune, nonché di sostegno all’accesso ai servizi, come la ristrutturazione della piscina pubblica. Lo stesso si può dire di altri comuni, anche più piccoli, come Celrà, paese di cinquemila abitanti nella provincia di Girona, dove il sindaco è stato rieletto con più voti di prima.

Municipalismo popolare

In una fase storica nella quale la sinistra sembra completamente scomparsa a livello europeo, da molte parti si sostiene che contro i populismi e i sovranismi emergenti si possa recuperare una qualche forma di agibilità proprio ripartendo dai territori, a discapito delle organizzazioni transnazionali, dei fondi di investimento, della globalizzazione neoliberista.

Il problema è che spesso chi lo sostiene, come per esempio i neomunicipalisti, ritiene valido questo orizzonte solo quando esso presuppone riconnettere tra di loro i contesti urbani dove più forte si manifesterebbe il volto violento del capitalismo. L’esperienza della Cup catalana dimostra che esiste una strada diversa, incerta sicuramente, ma che deve essere esplorata.

La Cup (e l’indipendentismo anticapitalista di cui si fa portatrice), pur mirando a un orizzonte ampio, è espressione di un radicamento nella dimensione locale ed elabora una strategia di intervento municipalista consapevole dei limiti e delle difficoltà imposte dal quadro istituzionale esistente. La presenza all’interno delle istituzioni non deve illudere sulla possibilità che dal di dentro esse possano essere trasformate a livello macro-strutturale. Sono piuttosto le azioni di coscientizzazione, l’organizzazione delle lotte fuori dalle istituzioni, che permettono il coinvolgimento della società nei processi di organizzazione popolare e partecipativa, promuovendo una democrazia diretta ispirata a logiche di solidarietà.

Il municipalismo popolare che la sinistra indipendentista ha contribuito a sviluppare fin dalle prime esperienze di auto-organizzazione, già dalla metà degli anni Novanta, in piccoli centri come Arbúcies o San Pere de Ribes, o in città medie come Manresa, e che oggi continua a riscuotere successi fuori dall’ambito metropolitano, è interpretato dalla Cup come un tratto essenziale della propria prassi politica, funzionale alla costruzione di una realtà nazionale all’interno della quale la trasformazione sociale si intrecci con la tradizione politica e culturale delle classi popolari catalane, per la quali il municipio è il contesto territoriale più vicino, quello a partire dal quale innescare cambiamenti di carattere generale.

Non sempre ci si riesce. Nei contesti più grandi, dove la densità abitativa cresce, c’è stato un arretramento. Trovare delle risposte che spieghino questa divaricazione nel consenso che la Cup riesce a ottenere a seconda della dimensione dei municipi, articolare delle prassi politiche che consentano di riequilibrare questo rapporto è la sfida dell’indipendentismo anticapitalista.

Ma nello scenario europeo e mondiale, la Cup rappresenta la possibilità di costruire una relazione tra locale e globale, tra grandi e piccoli centri, che rifiuti l’idea che il rapporto debba sempre essere sbilanciato a favore del primo elemento. Una prospettiva di rottura con il sistema istituzionale vigente, che si basi però sui bisogni e le difficoltà delle zone più remote del paese, rappresenta un’alternativa importante a un municipalismo puramente metropolitano, che può facilmente diventare appannaggio delle élite urbane. Si tratta di una proposta che, potenzialmente e fatte le dovute differenze di contesto, sarebbe interessante applicare anche in Italia. (giovanni castagno/giuseppe ponzio)

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