Non appena Piazza Tahrir si è imposta come epicentro della rivoluzione egiziana e come spazio di pacifica dimostrazione, un delirio di creatività è sbocciato sul suo terreno. Molte canzoni sono state scritte in tutta fretta, i pochi strumenti raccolti e accordati hanno dato vita alle “canzoni della rivoluzione”, le cui melodie e parole si sono innalzate nel centro del Cairo e si sono diffuse in tutto il mondo, guadagnando in corso d’opera in intensità e risonanza.
Mentre gli artisti del Cairo componevano canzoni per sostenere e dare voce alla rivoluzione egiziana in Piazza Tahrir, molti artisti internazionali (per la maggior parte dal Medio Oriente e dagli Stati Uniti) hanno pubblicato canzoni di solidarietà per il popolo egiziano. Sebbene siano stati esponenti di diversi ambiti musicali a dimostrare sostegno agli egiziani, lo stile che ha prevalso – o almeno quello che ha avuto un maggiore impatto – in questa lotta per la libertà è stato il rap.
I rappers sono emersi come la voce della rivoluzione, con testi potenti e beat efficaci hanno incanalato le frustrazioni degli egiziani e le loro aspirazioni verso libertà e democrazia. La rapper di origine marocchina Master Mimz, con base a Londra, ha rilasciato una furia lirica di due minuti dal titolo “Back Down Mubarak”, potentemente urlata sul beat di “Number One Spot” del rapper americano Ludacris. “Mubarak, non Barack, mi spinge a prendere una pietra”, canta Master Mimz, e mentre le immagini della protesta scorrono nel video continua: “È la nostra città, che vi piaccia o no/ vuoi fermarci con un click del mouse?/ Noi bruceremo la tua casa con i figli e la sposa/ tutti verranno gettati fuori”. La canzone inizia con le liriche: “Non sto andando da nessuna parte/ quindi non provarci con me”. In sostanza, quasi parola per parola, c’è tutto quello che i dimostranti pacifici hanno scandito per diciotto giorni di fila: “Sarà lui ad andarsene, noi restiamo qui!”.
Anche se le qualità artistiche di questi “canti di solidarietà” possono essere messe in discussione, il fatto che un artista del calibro di Wycleaf Jean (ex dei Fugees) abbia scritto una canzone per i combattenti della pace egiziani è comunque significativo. “Guardo i giovani con le cicatrici sui volti/ questi sono i segni del coraggio”, canta Wycleaf, seduto nello studio di registrazione con una grande bandiera egiziana alle spalle e quella haitiana poco più in basso. Il video clip di “Freedom (song for Egypt)” sovrappone le scene della rivolta popolare a quelle del cantante intento a suonare la chitarra acustica. “Vedo le mie sorelle, vedo i loro occhi attraverso i veli/ sono passate già due settimane e i loro figli sono a corto di latte”, continua il rapper mentre appare una donna egiziana che brandisce un cartello con su scritto: “Te ne stai andando Mubarak”.
Wycleaf e Master Mimz non sono i soli ad ispirarsi al movimento del 25 gennaio. Un collettivo di rapper arabi americani – Omar Offendum, the Narcicyst, Freeway, Amir Suleiman e il vocalist Ayah – hanno collaborato alla creazione dell’energetico singolo “Hashtag25jan Egypt”, finanziato dal produttore palestinese-americano Sami Matar. Sulle pagine del blog Hot arabic music, il blogger Hanitizer esprime ammirazione illimitata per questa band e per la sua canzone “che ti tira su e ti fa venir voglia di partecipare a una manifestazione per urlare e porre fine a tutta l’ingiustizia che vedi”. Il pezzo si apre con le liriche: “Prima, vi ignorano. Poi ridono di voi./ Poi vi combattono. E alla fine, voi vincete”. Il video che l’accompagna è probabilmente uno dei migliori diffusi finora, nonostante sia stato prodotto in fretta.
Da Berlino, Scarabeuz, rapper per metà olandese e per metà egiziano, ha pubblicato insieme con Omima la traccia “Long Live Egypt: Ta7ia Masr”, interamente cantata in arabo. Le liriche accorate e il video funzionano bene insieme, e la menzione di un desiderato panarabismo è riproposta con: “Viva la Tunisia, la Palestina e l’unità araba. Viva l’Egitto”.
Il Meesh Ba’eed Khalas Mixtape Vol.1 può essere considerato come il gran finale. Si tratta di una raccolta distribuita gratuitamente di voci hip-hop dalle rivolte in Tunisia, Egitto, Libia e Algeria. La copertina dell’album è un collage di vari dittatori arabi, con la fronte di Ben Ali fusa con gli inconfondibili baffi sottili e il mento prominente di Gheddafi. Astri nascenti del rap, come il tunisino El General, l’algerino Lotfi Double Kanon, l’egiziano Ramy Donjewan e il libico Ibn Thabit, hanno partecipato alla raccolta. Le dodici tracce scolpiscono nella roccia i nomi di questi artisti audaci e ribelli. (Articolo di Louise Sarant, giornalista freelance con base al Cairo, tratto dal quotidiano Al-Masry Al-Youm. Traduzione e adattamento di Salvatore De Rosa)