Le fotografie che pubblichiamo sono di Anders Petersen e fanno parte della personale Napoli/Anders Petersen, in mostra alla Spot Home Gallery (via Toledo, 66), dal 21 ottobre 2023 al 31 gennaio 2024.
Essere visitatore. Un rito per entrare nella galleria Spot Home Gallery. Dal crocevia di piazza Carità, il primo palazzo sulla destra vestito di porpora. Una portoncina di legno nascosta tra i negozi di via Toledo. Busso. Cristina ad affacciarsi e a farmi sentire ospite. Sopra le scale un manifesto in bianco e nero: “Napoli, Anders Petersen”. Le pareti delle due stanze sono costellate da sessanta immagini del fotografo svedese, primo artista residente alla Spot Home Gallery. Si vivifica il ricordo della bacchetta di vetro in mano ad Angelo Turetta nelle lezioni al Centro di Fotografia Indipendente, quando evidenziava le linee che occupavano obliquamente lo spazio in Café Lehmitz, la classica monografia di Petersen. Di fronte a queste pareti non c’è scampo: nel guardare avviene il miracolo del sentirsi guardati.
Cristina Ferraiuolo mi invita a sedermi. È lei l’artista che ha pensato, sognato e concretizzato la personale del maestro svedese. Le chiedo di parlarmi della mostra, del suo amore per la fotografia e della nascita di questo spazio, che ci avvicina ai grandi maestri.
«Questa casa era parte del negozio di mio padre – comincia Cristina –, che allora aveva un negozio di fotografia, e amava sviluppare e stampare le sue foto. Gli odori chimici e la magia dei sali d’argento fanno parte della mia infanzia. Io però non ho mai studiato fotografia, ho avuto uno studio di commercialista che ho chiuso a trentacinque anni. E poi è iniziata una nuova fase, la formazione del mio sguardo. Partecipai a un workshop in Toscana dove conobbi Michael Ackerman. Vedendo i suoi lavori capii cosa cercavo. Non ci parlammo durante la settimana, alla fine lui si avvicinò per chiedermi se fossi di Napoli, e mi disse che l’indomani sarebbe venuto con me. Così iniziò tutto quanto».
E la galleria?
«La decisione di aprirla è del 2018 e si è concretizzata nel 2021. Pensavo a uno spazio espositivo che fosse anche casa per gli artisti. Da allora la mia vita è completamente cambiata. L’impegno è fagocitante, non ho più alcuno spazio per la mia fotografia, ma la ricerca rimane una parte fondamentale del processo di lavoro. Ho un grande riferimento, Christian Caujolle, grandissimo amico, oltre che mio maestro, fondatore di Galerie Vu. E non posso mancare alcuni appuntamenti, come Arles e Paris Photo».
Vuoi parlarmi del tuo progetto fotografico?
«Stone Butterfly nasce dagli incontri con le ragazze sfreccianti nei quartieri popolari. Vedevo in loro sensualità e libertà, che sentivo mancate nella mia adolescenza. Da trentacinquenne ho cercato di rapportarmi con loro. A partire dalla velocità dei loro attraversamenti nei luoghi a me più cari, come la Sanità o piazza Mercato, ero interessata a entrare nelle loro famiglie e approfondire generazioni di donne. Il mio sogno era pubblicare il libro con Journal. Preparai una maquette, scrissi all’editore, e davanti a un caffè, a Parigi, mi disse: “Certo, nessun dubbio, facciamolo!”».
Da autrice a curatrice. Lo hai fatto per privilegiare un procedimento collettivo nella creazione artistica?
«Io penso di avere la qualità di mettere insieme le persone, e questo mio talento lo esprimo in galleria nella collaborazione matura con amici artisti. Mi sento pure molto sola, perché di fatto questa è un’impresa culturale, ed è faticosa. E partire così in alto è anche una grande responsabilità. La cura è fondamentale, ma se non vendo è terribile, per me e anche per gli artisti».
Quando è nato il desiderio di ospitare Anders Petersen in residenza?
«Ero meravigliata che non avesse ancora incrociato Napoli, e intuivo che fossero fatti l’uno per l’altra. Desideravo fosse lui il primo. È stimato e considerato da tutti noi un maestro. Scattava per quindici giorni, sviluppava per vedere il materiale, e ritornava. È stato meraviglioso affiancarlo e osservarlo da vicino, proporgli luoghi e incontri. Il rapporto che ha con i soggetti è unico perché riesce a mostrarsi nelle sue fragilità. Quando Massimo Nicolaci, un caro amico fotografo che ha collaborato con me sul progetto, gli ha chiesto cosa cercasse a Napoli, Anders Petersen ebbe a dire: “Io cerco e vedo sempre le stesse cose, a Stoccolma come a Napoli o in qualunque altra parte del mondo, ma si presenta ogni volta in modo diverso, in America, in Cile o a Parigi. Non guardo alla superficie delle cose ma mi assumo il rischio di andare sotto, dentro. L’ho sempre fatto, nelle prigioni, nell’ospedale psichiatrico, a Stoccolma e a Napoli. Non sono un semplice shooter, sono un ricercatore vulnerabile. Cerco intorno a me occasioni per avvicinarmi ad altre persone, ad altre vite, cerco di far parte di famiglie immaginarie”». (leonardo galanti)