Centoventi giorni dopo De Gennaro, il governo ha bisogno di un decreto anticostituzionale per aprire le discariche. Chiaiano è in cima alla lista. Al posto del parco delle colline e delle coltivazioni di ciliege settecentomila tonnellate di rifiuti
La strada sterrata che dal presidio dei manifestanti porta all’interno della cava di Chiaiano, oggi si presenta come un’opera di ingegneria insurrezionale. Dopo aver superato alte barricate fatte di terra smossa, alberi, scarti edilizi e fossati profondi, insuperabili se non da mezzi cingolati, si incontra un cane bianco, anch’egli parte di un’insurrezione non programmata, difficilmente gestita e destinata a essere schiacciata dall’irresponsabilità e la codardia istituzionale. Se ne sta accucciato in prossimità dello svincolo che porta al poligono di tiro poco distante dalla futura discarica. Chiunque gli si avvicini riceve in cambio un ringhio bavoso, un abbaiare roco. Si alza nella polvere e inizia a correrti dietro, forse innervosito dalla confusione che da qualche settimana agita tutta la zona. Poco più in basso, a due chilometri di distanza, i carabinieri, i guardiani della finanza e i poliziotti di stato rincorrono le zone d’ombra, provano a sfuggire al sole, accaldati dalle loro armature, utili per intimidire chi nella zona è nato e cresciuto, oppure per gettare nel vuoto due ragazzi con le mani alzate e riappropriarsi di un autobus ormai inutilizzabile. Sudano, parlano al telefono aspettando gli ordini, o meglio l’ordine, che prima o poi arriverà. «Lo Stato non entra dalla porta di servizio», ha detto il nuovo sottosegretario Bertolaso pur sapendo che in realtà lo Stato e le istituzioni locali sono entrati già troppe volte dalle porte di servizio intavolando trattative fumose dall’esito predestinato. Lo Stato stavolta è supportato da una campagna di stampa ben articolata, anch’essa intimidatoria quanto spettacolare. Parole vuote hanno atterrito l’Italia raccontando di cocaina distribuita ai giovanotti aizzati contro la polizia, di bande di camorristi armati, di ordigni anarchici lanciati nella notte su inermi carabinieri che assicuravano il lento incedere del traffico; tutti eventi mai visti da chi a Chiaiano c’è stato, per opporsi all’apertura della discarica o per capire o semplicemente per supportare un’insurrezione in cui all’indignazione per la crisi dei rifiuti si è mischiata la rabbia verso una classe dirigente delegittimata, ignava e specchio di una città sonnolenta, incapace di scuotersi anche di fronte al disastro. Dietro la rivolta di Chiaiano, purtroppo c’è un inventario di responsabilità che non risparmia neanche le strutture politiche del “movimento”, impegnate più a selezionare i capi autorizzati a parlare per la protesta, a gettare icone nel mucchio, a spettacolarizzare l’insurrezione che a capirne le motivazioni o elaborare pratiche efficaci di lotta o analisi in grado di allargarne l’orizzonte politico. E sì, perché Chiaiano non è arrivata all’improvviso ma è l’ultima di una lunga serie di rivolte locali che sono la vera novità politica e sociale in questo infinito tracollo del rinascimento napoletano così fragorosamente imploso. Avvisaglie di ciò che stava per accadere si sono avute nelle prime notti dell’anno, quando a esplodere è stato un altro quartiere – Pianura – che ha eretto barricate per respingere il progetto di riapertura della discarica di Contrada Pisani. E quei giorni sono stati effettivamente molto violenti, con fuoco, fiamme e barricate; ronde di motorini guidati da personaggi ambigui, così come gruppi di ultras che usavano il campo di battaglia per scontrarsi con le forze dell’ordine indipendentemente dalle rivendicazioni della lotta in atto. Eppure anche lì, come a Chiaiano, la crisi dell’immondizia è stata il detonatore di una situazione disastrosa e insostenibile da parte di quella popolazione cittadina che non gode della “bella Napoli”, del folklore, della musica, del teatro e delle crociere.
La subalternità sociale napoletana è scivolosa, ibrida e ambigua ma non per questo può essere sempre interpretata grazie al potente ausilio della piaga “Camorra”, divenuta una facile calamita di responsabilità e inattività. Da quando l’Italia ha scoperto il crimine organizzato campano (ma Cutolo, la NCO, il sequestro Cirillo, Siani, ecc. qualcuno se li ricorda?) è un continuo spuntare di focolai camorristici, considerati le uniche aggregazioni sociali in grado di condizionare la vita cittadina. Ogni protesta contro l’apertura di discariche a cielo aperto viene sistematicamente bollata come una jaquerie di ispirazione criminale, un’onta civile che intralcia il ripristino della normalità dopo quattordici anni di emergenza rifiuti pilotata e lucrosa.
In realtà ciò che emerge, da Pianura fino a Chiaiano, è un insieme composito di forze sociali più che politiche, che danno vita ad aggregazioni momentanee quanto efficaci mischiando istanze di tipo diverso. Un insieme sfuggente, che si sottrae a interpretazioni binarie, ideologiche, paradigmatiche. Un magma rigenerante e pericoloso, che preme sulla crosta cittadina aprendo voragini improvvise che in tanti tentano di cavalcare, ammansire, utilizzare. C’è poi il dato astratto del timore per la folla una volta tanto non ebete, non attonita ma pronta a mettere in gioco certezze acquisite, scompaginare le carte di un gioco che coinvolge i corpi e i territori in una maniera definitiva e devastante.
Quindi la violenza, che all’improvviso ha iniziato a scuotere le strade delle periferie napoletane, non è più quella che tende a consolidare un potere criminale o interessi loschi, sembra piuttosto l’unica forma rimasta alla partecipazione popolare per intervenire nelle scelte che coinvolgono la vita nuda di uomini e donne; una violenza che in alcuni frangenti risulta fuori luogo e rischia di essere rappresentata come l’unica modalità dell’insurrezione, il grimaldello utilizzato da una società civile claudicante per stigmatizzare ribellioni provocate non da bande criminali ma da tecnici e politici inadatti al proprio ruolo e funzione.
Non sarà certo una folla arrabbiata a impedire la realizzazione di uno scellerato piano di uscita dall’emergenza, ma forse gli uomini e le donne di Chiaiano, Marano e Mugnano, e coloro che li supportano, stanno contribuendo a definire una cesura al sonno, a ripristinare il livello di partecipazione e indignazione.
Dopo l’inseguimento di un ignaro visitatore, il cane bianco si ferma giusto al margine della strada sterrata dove cominciano le ultime barricate. Si ferma e la bava gli cola dal muso mischiandosi al pulviscolo incerto; continua a osservare la ritirata, si rigira su sé stesso consapevole che i cani da guardia sono altri, lui non sta difendendo nessun interesse, al contrario di quanto stanno facendo i complici del disastro incalzante e sempre più legalmente velenoso. (-ma)