Dice Alya che qui in via Carcano i prezzi si sono abbassati rispetto a quel tempo, quando il mercato di vesti, oggetti ritrovati, arnesi dismessi era in Borgo Dora. «Un euro qua! Guarda lì, guarda qua!», urla un uomo circondato da mucchi di vestiti. La compagna di Alya, durante la settimana, cerca resti abbandonati nei quartieri della città: inizia alle tre, alle quattro di mattina, esplora strade e marciapiedi anche per nove ore. «Tutti i quartieri? Sì, tutti. Magari qualcuno ha le sue vie, i suoi percorsi». La stuoia di Mousa richiama tanti compratori, ma dove trova le merci? «In giro, in giro», sorride sotto il cappello da marinaio con la scritta “Captain”, tra le dita sempre la stessa canna. Alcuni recuperano oggetti radunati dai parroci, ma non Stefania: «Io prendo la roba solo dalle mie conoscenze. Durante la settimana vado in giro a prendere la roba, la ordino, la metto a posto, la lavo, stiro le camicie specialmente. Non è leggero, è proprio un lavoro!». In un angolo ci sono gli abitanti sgomberati dalle baracche di via Germagnano: «Gli zingari vanno, cercano, e se non trovano niente vanno via! Andiamo anche tre o quattro volte al giorno, stiamo tante ore in giro. Ognuno ha la sua strada. Se tu conosci Giovanni Bosco, allora dici: “Quella strada è mia”». Interviene Petru: «Non ci sono quartieri particolari, andiamo in tutte le zone. Non c’è un posto migliore di un altro, il meglio è stare a casa. Partiamo alle quattro di mattina e andiamo in giro. Questo è un lavoro, meglio che andare a rubare, a spacciare. Se giri per la città, fai circolare il sangue!». Salah racconta che a Torino hanno chiuso i bidoni a chiave, ma a Moncalieri no. Salah va in bici fino a Moncalieri, ha un cassone attaccato dietro e rovista nella spazzatura. Poi durante la settimana lava, pulisce, sistema il suo carico ritrovato. La stuoia di Salah è ordinata, le scarpe sono in fila, poche giacche appese, i giochi per bambini disposti con cura come fosse la composizione di una natura morta.
Alba d’una domenica di novembre, il sole sorge a destra di Superga e il cielo è così terso che a occidente appare il bianco delle Alpi. Si vede il segno di un reattore nel chiaro della prima luce. Qui in via Carcano gli straccivendoli lavorano sull’asfalto, chiusi da una cancellata che circonda il perimetro. Intorno hanno il parco della Colletta, il cimitero monumentale, un centro di raccolta d’immondizie e il deposito delle pietre dismesse in città. Gli straccivendoli esistono in un angolo d’incoscienza urbana, fra salme e rottami. Un tempo il mercato della domenica era in centro, in piazza della Repubblica, ma i governanti hanno imposto lo spostamento quaggiù nel 2017. Il mercato del sabato, invece, si teneva al Balon, in Borgo Dora, fino al 2019. All’inizio di quell’anno la giunta comunale ha intimato lo sgombero, ma gli straccivendoli hanno resistito per nove mesi: solo la violenza della polizia li ha costretti ad accettare l’esilio, qui in via Carcano. Stefania ancora mastica amaro, ha lottato e non si considera vinta: «Non ho paura di niente. Nel ’68 ero sui cancelli della Fiat, lo sai?».
Di primo mattino è facile riconoscere antiquari e collezionisti. Cercano oggetti con torce appoggiate sulla fronte e guanti a coprire le mani, hanno il passo deciso. Alcune merci comprate qui finiscono nei negozi di antiquariato, nelle fiere in Piemonte e Lombardia. «Quelli vendono a Cremona», indica Stefania. E Petru ricorda una storia che tutti conoscono: «Anni fa un signore – io lo conosco quello lì, ha un negozio di antiquario a Porta Susa – ha comprato un quadro qui a tre euro e l’ha venduto a quindicimila euro. E viene ancora qua a cercare, penso che anche oggi era qua. Ma ora questo mercato qua è morto». Perché è morto? Nasce una discussione fra stuoie e contrattazioni. Si trovano meno resti nella spazzatura perché ora i cassonetti della città sono chiusi a chiave, questa è la prima ragione. Poi gli abitanti di Torino dismettono meno oggetti di valore, perché c’è più povertà e si sono ridotti i consumi. Infine, e soprattutto, in via Carcano ci sono meno acquirenti rispetto a Borgo Dora e hanno meno soldi in tasca: insieme alla domanda s’abbattono i prezzi. Ora passano due vigili carichi di buste con merce sequestrata, li segue un uomo desolato. Sono pacchi di pannoloni confezionati, qui non si può vendere merce nuova. I vigili redigono la multa, l’uomo si arrabbia, ringhia in arabo e urla in italiano. L’agente mette le mani alla cintura: «Mi stai minacciando? Mi vuoi minacciare? Non rompere le palle!».
Fra rigattieri e antiquari che giungono in via Carcano ci sono anche i venditori del Balon in Borgo Dora. L’associazione dei commercianti del Balon gestisce il mercato lungo il fiume e per anni ha chiesto l’allontanamento dei poveri, fino a ottenerlo. Eppure da sempre l’area degli straccivendoli è un bacino cui attingono i mercanti più ricchi. Mousa ha venduto un cappotto da donna con leoni ricamati a sette euro e lo stesso capo è apparso in via Borgo Dora al prezzo di cinquanta euro. Stefania ha ceduto tre cappotti, uno era verde di panno lenci, e ha ricevuto quindici euro in tutto, ma il prezzo sugli appendiabiti del Balon è dieci volte superiore. Una pelliccia di visone venduta da un cenciaiolo per quindici euro è offerta in centro per duecentoquaranta euro. Può accadere che un commerciante del Balon passi due volte in via Carcano: all’alba per acquistare i pezzi migliori, a fine giornata per approfittare delle svendite. Così le giacche di Yousef, vendute a tre euro l’una, riappaiono con prezzi compresi fra i venti e i cinquanta euro. Il percorso degli oggetti fra il mercato periferico e il Balon è solo un rivolo della filiera: in Borgo Dora le merci giungono da cantine, traslochi, solai, biblioteche abbandonate, vecchi appartamenti lasciati per sempre dagli abitanti. Eppure il capillare che collega via Carcano al Balon è rilevante per chi ha vissuto l’esclusione e sente viva la forza del ricatto. Anche gli straccivendoli più consapevoli spesso sospirano e cedono alla svendita, sibilando fra i denti: «Lo strozzino rivende al Balon, ma che posso farci? Devo guadagnare qualche soldo».
Nelle ore trascorse accanto ai cenciaioli ho impiegato due metodi per comprendere la dinamica di filiera. Il primo, e forse più affascinante, si concentra su un oggetto specifico e ne segue la scia. Alcuni straccivendoli mi hanno insegnato a individuare i mercanti del Balon e a ritrovare le loro plance pretenziose accanto ai piccoli bar sulla strada acciottolata, o davanti alla scuola per aspiranti scrittori. In alternativa posso registrare il prezzo medio di una tipologia di merce e tentare una comparazione. Le camicie in via Carcano sono vendute a cinquanta centesimi, un euro l’una; in Borgo Dora si parte da dodici euro e si può arrivare a dieci. Un lenzuolo da un euro fra le stuoie degli emarginati è venduto a cinque euro in centro. In Borgo Dora un mercante confida che in media i prezzi delle giacche salgono di venti volte nel passaggio fra i due sistemi mercantili. «Ma qui nessuno vorrà mai ammetterlo, in pubblico», sorride. Il ciclo degli oggetti è un’altra rimozione nella storia dei quartieri lungo la Dora.
Un amico venditore al Balon obietta che il commercio è da sempre fondato sullo spostamento di merci nello spazio: chi è più bravo, o più furbo, guadagna di più. Eppure il rapporto fra i due mercati ha una storia e non è un fenomeno naturale, assoluto. Grazie allo sgombero degli straccivendoli il mercato in centro ha potuto aumentare i prezzi perché è stata eliminata la concorrenza dei più poveri, mentre gli esiliati, accanto al cimitero, sono costretti a vendere al ribasso. Allora l’arricchimento di chi stava meglio e l’acuirsi della miseria dei poveri sono l’esito di politiche urbane peculiari che hanno impiegato risorse pubbliche per emanare una delibera di sgombero, redigere multe, organizzare la violenza delle forze dell’ordine, costruire il basso muro di cemento in San Pietro in Vincoli. Così sono stati allontanati quasi ottocento cenciaioli nell’autunno del 2019; così un mercante del Balon può guadagnare più di duecento euro su una pelliccia perché ha il privilegio di esporre sulla sponda meridionale della Dora. Se mi concentro, riesco a figurare la relazione fra il margine di profitto e il lungo lavoro di straccivendoli viandanti che per ore setacciano la città.
Il governo della giunta guidata da Appendino è stato espressione mediocre di un desiderio di esclusione, e sarebbe stato forse inefficace senza il supporto violento della polizia che per giorni ha occupato il quartiere con camionette, squadre antisommossa, agenti in borghese. Tuttavia l’evento dello sgombero è solo la conclusione di un lungo percorso cadenzato da strumenti amministrativi specifici. La separazione formale fra i mercanti poveri e gli antiquari di via Borgo Dora è avvenuta a inizio millennio con l’istituzione dell’associazione Vivibalon, ente creato per gestire gli straccivendoli presso l’area di canale Molassi, dietro l’antico arsenale che costeggia la Dora. L’associazione Vivibalon è il frutto della collaborazione fra il governo urbano e The Gate, ente territoriale deputato a dirigere la riqualificazione di Porta Palazzo. The Gate è emanazione della Compagnia di San Paolo e in quegli anni era diretto da Ilda Curti, esponente del Partito democratico e dirigente, fra il 2006 e il 2016, dell’assessorato alla rigenerazione urbana e alle politiche di integrazione nelle giunte di Chiamparino e Fassino.
Anche l’autonomia gestionale dell’associazione dei commercianti del Balon scaturisce dalle scelte delle amministrazioni progressiste. In una delibera del maggio 2003 la Città di Torino stabiliva la nascita di “mercatini tematici”, ovvero di aree speciali di mercato gestite da enti privati: “La Pubblica Amministrazione – recita il testo – attraverso apposito bando individua un soggetto attuatore per ogni singolo mercato che avrà il compito di fungere da tramite tra gli operatori e la Pubblica Amministrazione e organizzare le attività collaterali di animazione territoriale, culturale e sociale”. S’istituiva così il governo privato dello spazio pubblico adibito a mercato. Secondo la delibera, “la presenza di forme di vendita su area pubblica con carattere tematico e particolare possono costituire un elemento di attrazione turistica e di animazione del territorio” e pertanto era opportuno affidare i mercatini a un “apporto organizzativo di associazioni ed enti con competenze specifiche, strettamente legate al tema dell’evento, potenzialmente in grado di garantire un livello qualitativo adeguato”. Oggi un’associazione intermediaria può decidere, senza criteri trasparenti, chi può partecipare a un mercatino tematico e chi può essere escluso. Le strade di Borgo Dora, nei giorni di mercato, sono controllate dai funzionari dell’associazione dei commercianti o di Stramercatino, ente che gestisce gli stalli di canale Carpanini. Da mesi Claudia, straccivendola contestatrice, è esclusa perché sarebbe “incapace di tenere un comportamento civile e consono alla situazione”. La gestione privata di un mercato genera così un controllo informale e opaco della moralità, funzionale al sogno della riqualificazione dello spazio pubblico.
Nella delibera del 2003 la fiera domenicale dell’antiquariato – il Gran Balon che si tiene una volta al mese – era considerata un “mercatino tematico”, ma il Balon del sabato restava sotto il controllo comunale. Dieci anni dopo la Città – Fassino era sindaco – ha emanato una delibera specifica per trasformare il mercato settimanale del sabato in “mercatino tematico”, così da affidare la sua gestione a un ente esterno. Tale scelta, recita il testo, serve a migliorare la “sicurezza urbana” poiché “emerge che la problematica dell’abusivismo commerciale su tutta l’area Borgo Dora si presenta particolarmente grave ed in ulteriore espansione”. Proprio l’associazione commercianti Balon ha vinto il bando che ha seguito la delibera del 2013. In nome della sicurezza si lascia a una gilda di mercanti il controllo, ogni sabato e una domenica al mese, delle strade. Così l’associazione ha il potere di formare un corpo scalcagnato di picchiatori che collaborano con le forze pubbliche per mantenere l’ordine istituito.
Il bando che assegna la gestione del Balon del sabato all’associazione dei commercianti è stato rinnovato due anni fa. Il nono punto prevede una concessione biennale che può essere estesa ai successivi tre anni “in caso di valutazione positiva dell’esperienza da parte della Città”. Il bando chiarisce che “resta inteso che nel caso di mancata o inadeguata realizzazione delle attività previste dal progetto […] la Città, dopo una diffida, provvederà, previa revoca dell’affidamento, ad individuare, se possibile, un nuovo soggetto”. Il 30 novembre 2021 la giunta guidata da Lo Russo dovrà assumersi la responsabilità di prorogare la concessione, o di revocarla. Quale sarà la scelta del nuovo potere al governo, formazione che lo stesso sindaco ha definito “modello di una sinistra unita”?
Nel febbraio del 2019 Chiara Foglietta, allora esponente dell’opposizione in consiglio comunale, presentava un’interpellanza relativa a presunte irregolarità gestionali da parte dell’associazione dei commercianti del Balon. Nel testo, Foglietta nota che il costo di uno stallo al Balon del sabato ammonta a quindici euro secondo quanto stabilito da una deliberazione del 2015. Poi, prosegue l’interpellanza, la giunta Appendino sancisce nel novembre del 2018 l’aumento del plateatico a venti euro. Eppure, sostiene Foglietta, “nel mese di agosto del 2018, si è avuta contezza di un reclamo in merito ad una pubblicizzazione di aumento del costo di contribuzione”. Traspare da questa ricostruzione che l’associazione dei commercianti avrebbe aumentato il costo degli stalli senza alcuna approvazione da parte della Città e l’intervento dell’assessorato al commercio avrebbe coperto l’irregolarità solo mesi dopo. Da questi rilievi s’è originata un’indagine della procura. Oggi Chiara Foglietta appartiene, come il sindaco Lo Russo, al Partito democratico e dirige l’assessorato alle politiche per l’ambiente, ai trasporti e al progetto smart city.
All’alba il freddo morde le mani, Jean ha disposto alcuni processori su una stuoia: «Prendiamo un caffè e facciamo un giro». Jean compra computer rotti, li smonta e assembla dispositivi funzionanti. Ha iniziato anni fa, in poco tempo capì come funziona un calcolatore, il rapporto fra le parti, i meccanismi. In passato la vendita dei computer è stata una fonte importante di reddito per lui, ma ora il mercato è fermo. Dice Jean che i magazzini dei rivenditori sono pieni: «Si vendono processori con le offerte, a rate». Forse fra stracci e cianfrusaglie emerge il sintomo di una crisi di sovrapproduzione nel commercio dei computer. Nel tempo lo sguardo si è concentrato sul mercato degli oggetti ritrovati fino a raffinarsi, la sensibilità è aumentata nell’interpretare le tracce. In un angolo di Torino percepisco l’origine materiale della discriminazione e dello sfruttamento, vedo gli effetti della violenza istituzionale, l’ipocrisia di forze di governo benevolenti appare senza illusioni, il valore di alcune merci diventa una mappa grazie a cui leggere la storia recente della città. Il mercato degli straccivendoli ora mi sembra un’allegoria carica di figure: mostra il sistema economico che domina questo tempo. (francesco migliaccio)