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napoli
16 Gennaio 2014

La sfida del cippo e la città alla finestra

Luca Rossomando
(foto di cyop&kaf)

da: Repubblica Napoli del 15 gennaio

Gli affannosi tentativi di un gruppo di ragazzini per sottrarre l’albero di Natale installato da un facoltoso commerciante nella Galleria Umberto si sono trasformati in una specie di tormentone delle passate feste natalizie. Come ogni anno, il grande abete della Galleria è stato preso di mira dalle bande che raccolgono la legna per il cippo di Sant’Antonio. Ogni 17 gennaio, per celebrare quel che resta di un’antica tradizione popolare, in tanti quartieri vengono accesi falò, in maniera più o meno indiscriminata, nelle piazze o negli slarghi in mezzo ai palazzi. Gruppi di ragazzini, poco meno che adolescenti, raccolgono le carcasse di vecchi mobili o gli alberi di Natale dismessi e li nascondono in qualche terreno abbandonato per evitare che bande di altri quartieri se ne impadroniscano.

Nel centro storico, la cosiddetta “bestia” della Galleria, è la preda più ambita. Questa volta, per timore che altri li precedessero, un gruppetto è passato all’azione addirittura poche ore dopo che l’albero era stato innalzato al centro della Galleria. Il furto, documentato dalle telecamere di sorveglianza, ha provocato grande scandalo. Il giorno dopo un drappello di carabinieri ha rintracciato l’ostaggio in uno slargo dei Quartieri Spagnoli e l’ha tratto in salvo con l’aiuto di una squadra di operai. Passate le feste, una decina di ragazzi (sempre gli stessi? altri?) sono tornati alla carica. Nel frattempo però l’albero era stato fissato a dovere e tutti i tentativi per buttarlo a terra e trascinarlo via sono risultati vani. La notte seguente i terribili minorenni ci hanno riprovato, ma sono stati messi in fuga da una pattuglia di agenti.

C’è da giurare che da qui al 17 gennaio gli assalti continueranno. L’esito della sfida resta incerto. O forse è la sfida stessa – alimentata in rete dai fautori del decoro contrapposti a chi si fa beffe dei buoni sentimenti natalizi – a risultare quasi surreale e, se presa troppo alla lettera, fuorviante. Le bande che raccolgono legna da bruciare nel giorno di Sant’Antonio sono composte da ragazzini interessati solo ad accaparrarsi l’albero più grande, quello che farà il fuoco più alto, se necessario passando sopra ogni ostacolo, in quella che resta ai loro occhi un’avventura di strada che si tramanda di generazione in generazione. C’è chi li vede con simpatia perché con la loro insolenza smascherano l’ipocrisia di una ricorrenza ormai snaturata. In altri scatenano l’insofferenza perché evocano, in prospettiva, i comportamenti aggressivi e prevaricanti dei loro omologhi adulti.

La città virtuale, quasi per un riflesso condizionato, sembra obbligata a prendere partito, a schierarsi pro o contro, accanendosi in giudizi e commenti. La città reale invece si fa notare per la sua assenza. Uniche testimoni dei fatti restano le impassibili telecamere di sorveglianza, che registrano l’affannarsi notturno dei ragazzini e il loro irridere con smorfie e gestacci l’occhio elettronico – e noi stessi che attraverso quell’occhio li osserviamo in differita. Gli unici interlocutori in carne e ossa con cui entrano in contatto sono gli agenti di polizia. Non si segnalano figure intermedie che provino a dialogare, a trovare una mediazione ragionevole. Assenti i genitori, quasi per definizione, ma invisibili anche quelle persone di famiglia o di quartiere che un tempo supplivano, con la parola o con la presenza, alla precarietà dei legami di parentela più prossimi; lontane ormai anche le figure “professionali”, di raccordo tra la strada, la famiglia e la scuola, che in un recente passato si erano faticosamente conquistate, con tenacia e inventiva, un’autorevolezza, un linguaggio condiviso, una possibilità di essere ascoltate, ma che oggi vengono spazzate via dallo sbriciolamento dello stato sociale.

Sono bambini soli, in tutti i sensi, quelli che si aggirano a tarda ora tra i marmi della Galleria deserta. Nota stonata nel coro ordinato del consumo natalizio, ma dissonanza che non produce altri suoni. La loro spavalderia non ha futuro. La loro pericolosa libertà, quel modo di esplorare la città con selvaggia curiosità, di usare i suoi elementi senza riguardi, dura in realtà ben poco. La curiosità si muta presto in pigrizia. La mancanza di riguardo diventa arroganza. La libertà di movimento, mancanza di limiti. Lo spirito di gruppo, prevaricazione e violenza. La rabbia, l’irritazione che provocano, non sono sentimenti costruttivi. Non c’è niente in essi che possa esserci utile. Servono a esorcizzare, ma non tengono al riparo. L’intervento dei carabinieri o dei servizi sociali non risolverà la questione, si limiterà a scandirla, a segnarne le tappe. A delimitare i confini del ghetto. Ma se non vogliamo rassegnarci a una città divisa in due, sospesa sull’orlo del disprezzo e della paura, non possiamo nemmeno più limitarci a fare il tifo davanti a uno schermo. (luca rossomando)

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