Lo scorso 3 dicembre il sindaco di Napoli firmava un provvedimento con cui ordinava alla società Fintecna di provvedere entro trenta giorni alla presentazione di un progetto per la rimozione della colmata di Bagnoli e alla messa in sicurezza dell’arenile che si estende tra Coroglio e l’ex quartiere operaio. Nella stessa ordinanza veniva intimato alla Cementir di occuparsi, sempre in trenta giorni, della realizzazione di tutte le opere necessarie per la messa in sicurezza del sito contaminato di propria pertinenza, un’area di oltre sei ettari in zona Coroglio. Ancora, la fondazione Idis (che gestisce Città della Scienza) veniva obbligata a rendere pubblica la certificazione di avvenuta bonifica, un documento mai presentato e la cui eventuale assenza metterebbe in discussione la legittimità dell’esistenza stessa del museo, e delle attività (potenzialmente dannose per quella che viene definita “salute pubblica”) svolte negli ultimi venti anni.
Subito dopo l’emissione del provvedimento le due aziende hanno provato a bloccare gli effetti dell’ordinanza. La Cementir ha manifestato l’intenzione di impugnare l’atto, anche se non è ancora noto, a quasi due mesi dall’ordinanza, attraverso quali strumenti. Ancora meno dubbi lascia il comportamento della Fintecna, che ha presentato un ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Campania tentando di fermare le disposizioni dell’amministrazione comunale. La fondazione Idis, dal canto suo, ha comunicato di aver richiesto alla Provincia le certificazioni necessarie, scaricando di fatto la patata bollente in altre mani.
Tredici giorni dopo la scadenza del mese previsto, il Tar si è pronunciato ieri rigettando il ricorso della Fintecna, considerano la non sussistenza del cosiddetto “periculum in mora”, ovvero la possibilità che il provvedimento (la rimozione della colmata) arrechi all’azienda un danno economicamente grave o irreparabile. Nessuna considerazione è stata data dal Tar anche all’eventuale danno di immagine che avrebbe ricevuto e riceverebbe l’azienda dall’ordinanza.
La fermezza con cui Fintecna e Cementir hanno provato a ribattere all’ultimatum comunale dice che la battaglia giudiziaria sulla questione è ancora tutta da combattere. L’ordinanza del sindaco, e la sentenza del Tar (impugnabile ancora al Consiglio di Stato), danno seguito alla direttiva indicata qualche anno fa dalla Corte di giustizia europea riguardo la responsabilità, per chi abbia provocato un danno ambientale, di “adottare le misure di riparazioni necessarie, assumendosene l’onere finanziario”. È il principio del “chi inquina paga”, sostenuto da chi nell’area flegrea reclama un risanamento del territorio attraverso la bonifica, ma anche il ripristino della linea di costa, il completamento delle opere pubbliche avviate, la dismissione di tutti gli edifici che in deroga al piano regolatore sussistono sul litorale, Città della Scienza compresa. Alla base di queste rivendicazioni vi è la necessità che chi di dovere si occupi della bonifica dei terreni, una bonifica le cui certificazioni sono sempre apparse farraginose e per le cui incombenze oggi vengono individuati (politicamente e giuridicamente) dei responsabili precisi.
Se la Cementir è a tutti gli effetti una società privata, la cui maggioranza delle azioni appartiene al gruppo Caltagirone, la Fintecna è una finanziaria della Cassa Depositi e Presiti, società per azioni con “propria personalità giuridica” ma controllata per l’ottanta per cento dal ministero delle finanze. La Fintecna, che ha un utile di quasi tre miliardi di euro annuali, ha acquisito dall’Iri i diritti su tutte le proprietà Eternit ed ex Italsider, cedendo successivamente al comune di Napoli soltanto le aree su cui insistevano gli impianti. L’azienda, nel frattempo, si è sempre rifiutata di provvedere alle operazioni di rimozione della colmata a mare (nonostante un’altra ordinanza, emessa nel 1999 dal commissario regionale alle bonifiche, glielo imponesse), evadendo le proprie responsabilità sulla messa in sicurezza delle aree di sua pertinenza. D’altro canto la Fintecna dispone ancora oggi, nei quartieri di Fuorigrotta e Bagnoli, di un vasto patrimonio immobiliare, di cui una parte risulta in dismissione. Un patrimonio che di fatto ha una origine pubblica (apparteneva all’IRI) e che ha ancora più probabilità di essere svenduto al miglior offerente ora che l’azienda dovrà mettere mano alla tasca per riparare ai danni ambientali provocati.
Gli eventi delle ultime settimane costituiscono uno sviluppo importante per la questione flegrea. Le istituzioni e il tribunale regionale riconoscono i responsabili dell’inquinamento della zona e si muovono perché questi ne paghino la bonifica; un altro processo, quello che vedrà Bagnoli Futura imputata per mancata bonifica, avrà luogo all’inizio del mese di febbraio. Resta da verificare, a questo punto, la disponibilità da parte del comune nel dare seguito a tutte le azioni necessarie affinché l’ordinanza che mette Fintecna, Cementir e Idis davanti alle proprie responsabilità non si riveli un atto meramente cautelativo (il comune aveva già nel 2008 emesso un’ordinanza che imponeva alla Cementir una bonifica entro e non oltre i centoventi giorni, ordinanza puntualmente disattesa dall’azienda), ma venga messa in atto e in tempi brevi. La rimozione della colmata, in ogni caso, è un obbligo per l’Italsider (e quindi oggi per la Fintecna) in quanto concessionario demaniale, ed è quindi è da considerarsi valido indipendentemente dall’accertamento della presenza di agenti inquinanti.
Nel frattempo, una rete di associazioni e comitati che operano sul territorio della decima municipalità ha fatto partire una campagna per un censimento pubblico dei beni della Fintecna, nel tentativo di aprire una discussione affinché gli stessi beni – tra cui figurano anche edifici e strutture ricreative abbandonate – vengano restituite alla cittadinanza. Domenica è previsto un dibattito pubblico in viale Campi Flegrei, a partire dalle undici di mattina. (riccardo rosa)
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