
Al quindicesimo mese di emergenza sanitaria e sociale le dinamiche di sviluppo nella città di Milano sembrano rimaste invariate. Una tendenza testimoniata dall’andamento del mercato immobiliare che, a differenza delle altre città d’Italia, non pare risentire della crisi. Da un lato, l’esodo di studenti fuori sede e la diffusione del lavoro da casa hanno abbassato la richiesta di affitti a breve termine (sono 12 mila i residenti in meno da febbraio a settembre 2020), senza che ci sia stata una conseguente discesa dei valori immobiliari. Dall’altro lato, la crisi economica ha causato un allargamento delle fasce sociali più fragili con la diffusione di situazioni di disagio abitativo.
Nell’osservare le conseguenze dell’accentramento di capitali e l’aumento delle diseguaglianze tipiche di ogni crisi, una lente d’ingrandimento sulle dinamiche urbane può aiutarci. Il quartiere San Siro, periferia nord-ovest della città, è attualmente oggetto di molteplici progetti urbanistici. Analizzarli ci permette di decostruire la macchina retorica messa in atto quando si parla di “rigenerazione urbana” nelle città dei grandi eventi e delle grandi opere.
QUARTIERE MULTIETNICO
San Siro si trova all’interno del più grande territorio verde di proprietà comunale e ha storicamente assunto due funzioni: da un lato, cittadella sportiva con ampie strutture dedicate (in particolare quelle ippiche); dall’altro, si tratta del più grande quartiere di edilizia residenziale pubblica della città. Nel corso del tempo a queste due funzioni se ne sono aggiunte altre, legate al fatto che progressivamente San Siro è stato inglobato all’interno della città.
Il quartiere è caratterizzato da una forte pluralità etnica. Vi abitano circa ottantacinque comunità e nel complesso la popolazione è divisa a metà tra italiani e stranieri. Nel cosiddetto quadrilatero, l’insieme di vie dove si concentrano le abitazioni di edilizia pubblica, si avverte un forte disagio abitativo: sono oltre 6.000 gli alloggi dell’Azienda lombarda edilizia residenziale (Aler), di cui solo 2.600 locati regolarmente, mentre il resto sono occupati o non assegnati, perché considerati inagibili e mai ristrutturati.
Molti abitanti ricorrono alle occupazioni perché il servizio pubblico risulta insufficiente, soprattutto in seguito a un avviato processo di (s)vendita degli appartamenti pubblici a uso abitativo. Inoltre, la gran parte delle persone provenienti da paesi non europei ha difficoltà ad accedere alle graduatorie a causa dei criteri fortemente discriminatori. Inoltre, San Siro è un quartiere estremamente stigmatizzato, dove ciclicamente si verificano tensioni a causa dei numerosi tentativi di sgombero delle case occupate.
Le diseguaglianze nel quartiere sono ben visibili e si manifestano in una forte polarizzazione degli spazi, come si vede per esempio attraversando piazza Segesta, vero e proprio confine urbano. La piazza è divisa in due aree contrapposte: l’una dotata di servizi come giostre per bambini, l’accesso alla metropolitana e, quindi, il collegamento alla città; l’altra, più desolata, costituisce l’ingresso al cosiddetto quadrilatero. Le due parti non dialogano, separate da una strada attraversata da macchine e tram. Ciò testimonia la scelta di prediligere la viabilità dei mezzi di spostamento piuttosto che la possibilità di incontro tra le persone.
Su San Siro, luogo dagli equilibri precari, si sono concentrati negli anni gli interessi speculativi di grandi società pronte a costruire. In particolare, le vicende che hanno coinvolto il sistema degli ippodromi hanno contribuito in maniera decisiva alle trasformazioni dell’intera zona.
Nel 1997 la società Snai Spa ha acquisito gli ippodromi di Milano, dismettendo gradualmente le aree destinate all’ippica con l’obiettivo di metterle a profitto. Nel 2019 l’enorme area dismessa dell’ex trotto è stata venduta da Snai (nel frattempo diventata Snaitech) alla multinazionale immobiliare statunitense Hines, che in città ha acquistato numerosi edifici da destinare al mercato degli affitti brevi con l’obiettivo di intercettare le esigenze dei cosiddetti city user, i consumatori agiati e temporanei della città.
Il progetto che Hines ha elaborato per la zona dell’ex trotto prevede che dei 150 mila mq complessivi, 30 mila siano dedicati a un parco, mentre i restanti verrebbero utilizzati per la costruzione di edilizia residenziale a canoni concordati, per un totale di quasi mille appartamenti.
La realizzazione di insediamenti abitativi destinati al mercato degli affitti si inserisce nel contesto di un fenomeno più ampio che in tante città europee si sta espandendo silenziosamente. Sempre più spesso, infatti, i veri attori delle trasformazioni urbane sono i grandi fondi immobiliari che acquistano proprietà residenziali utilizzandole come asset finanziari. I fondi, del tutto svincolati dalle dinamiche territoriali e dai contesti in cui acquistano, accumulano proprietà che, grazie alla disponibilità di enormi patrimoni, non hanno nemmeno l’esigenza di mettere subito a profitto, a differenza del capitale locale.
In questo processo di finanziarizzazione del mercato immobiliare l’ente pubblico ricopre un ruolo cruciale. In Lombardia la Regione e il Comune prevedono la compartecipazione con i fondi immobiliari e la realizzazione di offerta abitativa sociale a canone concordato, come se questa offerta fosse rivolta a chi vive una condizione di emergenza abitativa. In questo modo la trasformazione del quartiere a opera di un fondo internazionale come Hines viene legittimata.
LO STADIO COME GRIMALDELLO
Anche lo storico stadio di San Siro è al centro della rifunzionalizzazione del quartiere. Le società calcistiche di Inter e Milan vorrebbero costruire in una zona verde un nuovo stadio, per il quale pagherebbero i costi di costruzione, chiedendo in cambio la concessione di un diritto di superficie per novanta anni. Per la realizzazione si stima una spesa di 1,2 miliardi di euro. Tuttavia, solo la metà verrebbe effettivamente impiegata per lo stadio, mentre il resto andrebbe a sovvenzionare quello che è il vero obiettivo del progetto: il distretto adiacente al polo sportivo, per un intervento su un’area di circa 260 mila mq.
Milan e Inter intendono edificare una struttura che si inserisca in un contesto urbano del tutto diverso da quello attuale, in vista di attività e introiti commerciali che non ruotano più solamente intorno allo spettacolo sportivo. I progetti attualmente in competizione, “La Cattedrale” e “I due anelli”, presentati da due studi di architettura internazionali, puntano tutto su ecosostenibilità e flessibilità. In entrambi i casi, lo stadio si inserirebbe in un distretto sportivo caratterizzato da natura addomesticata, attività ricreative e un’ampia zona commerciale nell’ottica di una trasformazione turistica dell’esperienza stadio. È esplicito lo scopo di trasformare il quartiere di San Siro nel nuovo distretto “green” di Milano, in profonda connessione con i recenti interventi urbanistici. Nei progetti viene sottolineato l’aspetto dell’ecosostenibilità della nuova struttura, che avrebbe un minore impatto visivo, acustico ed energetico, pur comportando la scelta di una nuova edificazione piuttosto che la ristrutturazione di quella esistente.
In una città dai dati sul consumo di suolo più allarmanti d’Italia si continua a parlare di nuove edificazioni. A questo proposito, le perplessità avanzate dalla giunta Sala riguardano proprio il distretto extra-stadio previsto dai progetti. Il Pgt, Piano di governo del territorio, presentato nel 2019, stabilisce un indice di edificabilità pari a 0,35 m²/m²: i club invece hanno chiesto un indice di 0,67. Il compromesso trovato prevede una soglia massima di 0,51 m²/m² andando di fatto incontro alla sete di profitto delle due società.
È evidente che qui lo stadio non è pensato né per tifosi, giocatori e abitanti, né in relazione di continuità rispetto al contesto urbano in cui si inserisce, ma è posto al centro di un nuovo e più ampio circuito economico che mira ad attrarre turisti e consumatori. In quest’ottica, diventa comprensibile perché sia molto più conveniente per le due società non ristrutturare il Meazza, che richiederebbe uno sforzo economico al quale non seguirebbero guadagni spropositati.
Una sorte analoga spetta all’area adiacente al Meazza che ospita le ex scuderie De Montel, entrate lentamente in disuso e definitivamente abbandonate negli anni Ottanta, quando sono diventate di proprietà comunale. Le trasformazioni di questo sito hanno a che fare con la competizione lanciata dalla rete globale C40, Cities Climate Leadership Group, nata nel 2005 con l’obiettivo di ridurre l’impatto climatico delle grandi città e accelerare la transizione climatica. Milano fa parte di questa rete e partecipa al bando Reinventing Cities che mira alla trasformazione di siti inutilizzati in centri aggregativi basati sulla rigenerazione urbana sostenibile.
Il progetto vincitore è il “Teatro delle terme”, che prevede la riconversione delle ex scuderie in un complesso termale tramite lo sfruttamento della presenza di acque termali nel sottosuolo. La realizzazione della struttura prevede la ristrutturazione del vecchio sito congiuntamente all’edificazione di nuove aree, dove sorgeranno piscine, saune, spogliatoi, hall, ristorante a kilometro zero e un’area benessere. Anche qui, il progetto rivolge un’attenzione particolare alla questione ambientale, al contenimento energetico e alla salvaguardia di un presunto rapporto virtuoso tra comunità urbana e natura.
Il bando però prevede l’alienazione del sito attraverso la compravendita: il Comune ha chiuso l’accordo con un team di società per la cifra irrisoria di 1,2 milioni di euro. L’utilità di costruire, in questa zona, un complesso termale urbano tra i più grandi d’Italia, risponde agli interessi di società private e dei ceti medio-alti, gli unici a poter usufruire di un certo tipo di servizi. Infatti, per quanto riguarda la fruibilità delle future terme, nel bando si fa riferimento a convenzioni per le fasce deboli, per le scolaresche e per i residenti sopra i settanta anni. Anche in questo caso, insomma, l’amministrazione pubblica si fa promotrice di una riqualificazione che cela la destinazione elitaria e non funzionale dell’opera. In un contesto in cui le città globali competono tra loro e i capitali privati hanno la meglio, attraverso la retorica del bando internazionale e della resilienza ambientale, l’espropriazione di suolo pubblico è legittimata.
Il caso di San Siro si inserisce a pieno nel trend urbanistico milanese. Infatti, questi progetti corrispondono a tre modelli di speculazione edilizia che la città conosce bene: finanziarizzazione del mercato immobiliare, alienazione del patrimonio pubblico per i profitti di privati, svendita di siti pubblici attraverso la logica del bando. Tutte operazioni che si collocano nel solco di una collaborazione tra pubblico e privato, all’interno di un discorso mediatico che le giustifica e maschera, facendole passare come funzionali al benessere della collettività.
Ma a San Siro i veri beneficiari di questi progetti sono società private e finanza immobiliare che continuano ad accumulare proprietà fondiaria e a cementificare i territori. Al contempo, le fasce povere non trovano soluzioni abitative né nel mercato privato né in quello pubblico. Infine, per legittimare la costruzione di queste opere, viene usato il versatile tema della sostenibilità ambientale attraverso una narrazione fuorviante che vorrebbe conciliare la crescita illimitata con la tutela dell’ambiente e le politiche ecologiche.
Tutti questi processi si innestano nel solco di quel famigerato “modello Milano” di cui bisogna riuscire a decifrare e smentire la narrazione. In questo senso, lo spazio è il luogo di applicazione di un certo rapporto di forze in cui alcune persone non possono decidere e, in definitiva, non potranno abitare. Per prendersi cura dei luoghi dove la collettività ha modo di incontrarsi e coltivarsi, è necessario allora monitorare le azioni di queste forze e ogni volta che un soggetto mette le mani sulla città, bisogna chiedersi: che idea di città c’è dietro, e dopo? (barbara russo)