Sarà presentato venerdì 13 dicembre presso lo Spazio galleria/libreria di Milano (via Lazzaro Spallanzani, 19), il numero 3 de Lo stato delle città. Occasione di discussione sarà l’articolo Il modello Milano tra mito e realtà, pubblicato nell’ultimo numero della rivista e scritto da Lucia Tozzi. L’autrice dialogherà con Alessandro Coppola, docente di urbanistica al Politecnico di Milano e Gloria Pessina, redattrice della rivista.
Sempre nell’intento di monitorare le trasformazioni in atto nel capoluogo lombardo, dando seguito alla collaborazione con il laboratorio politico Offtopic, pubblichiamo a seguire un articolo sulle vicende legate alla costruzione del nuovo stadio.
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Prendiamo un impianto sportivo, quasi centenario, conosciuto in tutto il mondo come uno dei “templi” del gioco del calcio, palcoscenico ideale per tifosi e appassionati, ricco di memorie collettive e popolari; aggiungiamo due squadre da troppo tempo lontane da trionfi internazionali la cui proprietà è in mano a società finanziarie e fondi speculativi, più interessate alla partita doppia dei bilanci che alle vicende sportive e agli interessi dei milanesi; mischiamo il tutto con le scelte di un sindaco e della sua giunta e mettiamo tutto nel “forno” per darlo in pasto ai media “amici” che costruiscono il racconto dell’opera necessaria e urgente. Questi gli ingredienti della ricetta che da settimane è al centro delle cronache milanesi e non solo.
Il destino dello stadio di San Siro “Giuseppe Meazza” e l’edificazione di un nuovo impianto da parte di Milan e Inter, costituiscono una chiave di lettura simbolica della governance del territorio e dei beni comuni a Milano nella fase attuale. Una fase iniziata a fine anni Zero con i Piani di governo del territorio – che hanno sostituito nelle regole e nella sostanza i vecchi piani regolatori –, che ha avuto in Expo2015 il grande evento acceleratore e che vive oggi al ritmo di una costante alienazione della città pubblica a vantaggio degli interessi e degli investimenti dei capitali finanziari e immobiliari globali (che Milano attrae con voracità, in controtendenza con il resto del paese) e di una vocazione sempre più turistica della città. Ma andiamo con ordine, cercando di allargare il campo rispetto alla narrazione mainstream tutta concentrata sulla questione stadio.
San Siro è sicuramente uno stadio di vecchia concezione, che mal si presta alle tendenze del calcio moderno che puntano a sfruttare i grandi impianti h24 e 365 giorni all’anno, con spazi commerciali e ricreativi, musei, ristoranti, preferibilmente di proprietà delle società calcistiche, ad alimentare bilanci sempre più esigenti per tenere il passo delle società internazionali al vertice dei campionati europei e dove patrimonio immobiliare, diritti tv e web, marketing e merchandising sono più importanti che gli introiti da biglietti e abbonamenti. In questo quadro i tifosi, intesi come spettatori, diventano clienti e consumatori, meglio se ricchi e spendaccioni. Una sorta di gentrificazione degli stadi, iniziata in Inghilterra un trentennio fa e che in Italia ha il suo simbolo nello Juventus Stadium. Posti contenuti e sempre più cari, palchi d’onore e aree vip sono le caratteristiche comuni alla nuova generazione di impianti, a discapito del tifo popolare e dello stadio per tutti, nonostante quel che dice la retorica ufficiale, secondo cui le famiglie non andrebbero allo stadio per la violenza e non per il salasso necessario per assistere spesso a spettacoli mediocri.
I DUE PROGETTI
In questo quadro emerge la spinta delle due squadre milanesi per avere uno stadio di proprietà, che ha avuto ulteriore impulso con l’acquisto dell’Inter da parte del colosso cinese Suning e del Milan da parte del fondo speculativo Elliot. Prima la stampa sportiva, poi il resto dei media, hanno iniziato a sostenere che solo uno stadio di proprietà poteva permettere alle due squadre di colmare il divario con la Juventus e con le regine del calcio internazionale, dando per scontato che San Siro non si potesse ristrutturare, che fosse insicuro e pericoloso (nonostante sia stato ristrutturato e messo in sicurezza nel 2016 per la finale di Champions League e nuovi interventi sarebbero previsti in vista delle Olimpiadi 2026); tutto questo senza alcuna valutazione “imparziale” sull’effettiva fattibilità e relativi costi di un intervento di ristrutturazione e riadattamento dello stadio agli attuali standard degli impianti.
Dopo mesi di dichiarazioni alla stampa, ricatti, minacce di fare lo stadio nuovo sull’area ex Falck a Sesto San Giovanni e mentre, nel frattempo, il tandem Milano-Cortina si aggiudicava i Giochi olimpici invernali del 2026 inserendo San Siro tra i siti olimpici per la cerimonia inaugurale, la scorsa estate la vicenda ha avuto un’ulteriore accelerazione con la presentazione da parte di Inter e Milan della manifestazione di interesse al comune di Milano e l’avvio di un bando internazionale per la realizzazione del progetto. Dal bando sono usciti vincenti due progetti – dello studio americano Populous e degli italoamericani di Manica-Sportium – che sono stati presentati a consiglio e giunta Comunale e su cui questi hanno decretato l’interesse pubblico.
Al netto delle differenti soluzioni architettoniche evidenziate dai rendering, i due progetti sono uguali nella sostanza e nella localizzazione. Prevedono entrambi l’abbattimento del Meazza e la realizzazione del nuovo impianto nel piazzale adiacente (oggi con destinazione prevalente a verde e parcheggi), chiarendo, ove fosse necessario, il vero obiettivo di Inter e Milan: un miliardo e duecento milioni di euro di investimento, in cui lo stadio nuovo da 60 mila posti, con vaste aree vip e business, è solo una piccola porzione dell’intervento, sia come superficie occupata che come volumetrie; il resto, infatti, sono torri e grattacieli per 180 mila mq, 66 mila mq di spazi commerciali e altri 28 mila mq tra uffici e alberghi. Il tutto con un indice edificatorio di 0,7 mq/mq, il doppio di quello previsto dal Piano di governo del territorio.
E proprio sulla parte non-sportiva del progetto le due società fanno le richieste più pressanti, perché lo sviluppo immobiliare del Piazzale dello Sport è il vero motore finanziario del tutto. Non caso Hines, il fondo immobiliare che avviò la trasformazione del quartiere Isola-Garibaldi-Porta Nuova, nei mesi scorsi prima ha acquistato dai Snaitech l’area dell’ex Trotto e relativa scuderie liberty, area confinante con l’attuale stadio di San Siro, e subito dopo ha presentato un progetto di sviluppo immobiliare della stessa.
UNA SOLUZIONE POSSIBILE
Consumo di suolo, speculazione, demolizione di un bene pubblico e di un patrimonio collettivo. Questi i tratti, in sintesi, dei progetti presentati e su cui Milan e Inter hanno chiesto al Comune il riconoscimento del pubblico interesse dell’opera, così da beneficiare delle deroghe urbanistiche previste dalla Legge Stadi, e la concessione dell’area per novantanove anni. Se la città ha reagito, nella sua maggioranza, in maniera assolutamente contraria all’ipotesi di abbattimento di San Siro, non altrettanto si può dire delle risposte date in forma ufficiale, o nelle dichiarazioni a latere, dall’amministrazione comunale. La decisione presa, infatti, aumenta la confusione e alimenta la convinzione che la partita si giochi in trattative lontane dai clamori di media e politica, come spesso accaduto per le trasformazioni di importanti pezzi di città e nel miglior stile dell’urbanistica contrattata della “Milano da bere” anni Ottanta, di cui la Milano eventificio e a misura di turisti di oggi sembra l’iperbole. Sindaco e giunta hanno riconosciuto l’interesse pubblico della proposta di nuovo stadio concedendo l’area e la gestione privata dell’impianto, con la riserva di ricondurre nel progetto esecutivo le volumetrie agli indici previsti dal PGT (0,35 mq/mq), a patto che San Siro non venga abbattuto, ma ristrutturato e adattato ad altri utilizzi in ambito sportivo o per concerti.
Il sindaco Sala, insomma, da un lato crea le condizioni perché soggetti privati facciano i loro interessi, svalutando di fatto un bene pubblico (per l’Agenzia delle Entrate il valore stimato di San Siro è cento milioni di euro), dall’altro si erge a paladino di quel bene svalutato, appoggiandosi anche a un parere della Soprintendenza ai beni architettonici, ma senza mettere in discussione che sia legittimo trasformare radicalmente un pezzo di città, privatizzandola di fatto. Anzi, l’assessore all’urbanistica Maran si è detto affascinato dall’idea che per i progettisti di Inter e Milan il modello di quartiere sia Porta Nuova, ossia uno dei simboli della peggiore gentrificazione in salsa meneghina.
Dove sta allora l’interesse pubblico in questa vicenda? La giunta Sala difende gli interessi di chi vive quotidianamente la città e i beni pubblici della stessa, o si limita a fare il “vigile urbano” mettendo qualche innocuo o addirittura controproducente paletto ai vari interessi immobiliari e finanziari in gioco?
Appesi a queste domande, assistiamo all’apparente stallo della presunta contesa tra l’istituzione e le due squadre, ma siamo certi che tra le volumetrie richieste e quelle massime indicate dal Comune, i presunti contendenti troveranno un punto d’incontro, che probabilmente Inter e Milan avevano già messo in conto. Resta il problema di una città posta di fronte all’amara scelta di perdere un pezzo della sua storia o di ritrovarsi maggiore consumo di suolo e il doppio congestionamento di due stadi a centro metri di distanza uno dall’altro, di cui uno sarà funzionante mentre attorno sono attivi i cantieri del nuovo, con tutte le ricadute in termini di nocività e intasamento del traffico che questo comporterà.
Proprio la soluzione dei due stadi ci fa dire che la vicenda non è in realtà chiusa. Per due stadi a Milano non c’è posto, lo sa benissimo Sala. Chi pagherebbe ristrutturazione, gestione e manutenzione di San Siro senza più gli introiti del ricco calcio di serie A? E se anche Inter e Milan si accollassero le spese di ristrutturazione, la soluzione non sarebbe delle più felici. Quali attività potrebbero garantire introiti sufficienti a renderlo fonte di profitti e non di debiti? Analogamente è irricevibile per la città la proposta delle due società, non solo per la demolizione del Meazza, ma per il pesante impatto che avrebbe sul territorio, anche con volumetrie inferiori a quelle ipotizzate. Gli spazi commerciali sono ridondanti nel territorio limitrofo, in un raggio di tre km ci sono almeno otto importanti superfici occupate da centri commerciali. Non solo, le previsioni del PGT appena adottato dal comune di Milano (esaltato come “green” perché risparmierebbe suolo, quando in realtà diminuisce solo le volumetrie previste e le superfici consumate ma rispetto alle vecchie previsioni di piano e non rispetto allo stato attuale) prevedono altri importanti interventi in zona e la privatizzazione di proprietà pubbliche: dal già citato ex Trotto alla Piazza d’Armi, passando per le ex scuderie De Montel per arrivare alle nubi che minacciano la permanenza futura dell’Ospedale San Carlo e il proseguimento delle attività ippiche e relativa integrità di aree e impianti. Nel frattempo le reazioni degli abitanti e le prime iniziative pubbliche hanno fatto emergere il dato che ristrutturare San Siro non sia poi così folle, oneroso e impossibile anche compatibilmente alle esigenze di Inter e Milan.
Respingere il progetto di nuovo stadio, ristrutturare San Siro dandolo in gestione alle due società e recuperare a uso pubblico e a verde tutto il comparto dell’ex Trotto. Crediamo sia questa l’unica opzione accettabile e sensata, che certo non salverebbe San Siro dalle degenerazioni pro-business del calcio moderno, ma eviterebbe insostenibili operazioni speculative al centro di una delle aree più inquinate e congestionate d’Europa.
Milano, chi quotidianamente la vive, di tutto necessita salvo che nuove torri in vetro e acciaio e l’ennesimo non-luogo dove attrarre turisti spendaccioni dentro boutique griffate o stereotipate catene del finto cibo tipico. Avranno i milanesi la voglia e la rabbia di giocarsi questa partita fino in fondo? (luca trada – laboratorio politico offtopic milano)