da: Il Corriere del Mezzogiorno
La scuola primaria è un momento della crescita unico ed irripetibile durante il quale i bambini e le bambine, oltre ad imparare a scrivere, leggere e far di conto, apprendono la tolleranza, la fratellanza e la complicità. Si forma l’intelaiatura etica che li accompagnerà nel resto della vita. Perciò si ha bisogno di una scuola che funzioni a pieno regime, in strutture adeguate e in grado di sostanziare la fiducia che i bambini e le famiglie dovrebbero avere nelle istituzioni e nei saperi. Una scuola claudicante e confusa è il primo passo per la disgregazione sociale che già condiziona pesantemente il nostro quotidiano.
Per decenni, nonostante le difficoltà oggettive, molte scuole di Napoli, soprattutto quelle dei quartieri popolari, hanno rappresentato un originale laboratorio sociale dove bambini di estrazione differente hanno condiviso i banchi, mescolato le esperienze, scambiato sensazioni. Parlo di un fenomeno spontaneo, governato in modi diversi dal corpo docente che ha comunque rappresentato una risorsa per la città basata sullo scambio di opportunità e la condivisione di esperienze. Tutto ciò oggi rischia di sparire per la sciatteria con cui viene gestita la scuola in città e per il fatalismo con cui si affrontano le emergenze continue che da anni stanno riducendo la funzione formativa della scuola pubblica.
Il 12 settembre non è stato il primo giorno di scuola dell’anno 2018/19 per almeno due scuole: la Oberdan di vico Carrozzieri (giusto alle spalle della città turistica) e la Baracca di vico Tiratoio (Quartieri Spagnoli). La prima infestata da ratti, la seconda afflitta da carenze strutturali irrisolte da anni. I bambini della Baracca, dopo un paio di umilianti lezioni collettive in palestra, hanno iniziato doppi turni in una scuola al corso Vittorio Emanuele. Gli alunni della Oberdan sono entrati in aula, con ben quindici giorni di ritardo, sempre grazie a doppi turni pomeridiani in un altro edificio dello stesso plesso didattico. Qualche giorno dopo sono rientrati nella loro sede ma costretti a una turnazione che porta ogni classe a rinunziare a un giorno di scuola settimanalea causa dell’inagibilità di uno dei piani del plesso. La scuola dell’infanzia, ospitata nello stesso edificio, non è mai iniziata. I doppi turni sono uno stravolgimento del quotidiano delle famiglie e dei bambini, a cui si è ricorsi in seguito a catastrofi eccezionali (il terremoto del 1980). Sembra che, oggi, la catastrofe e l’emergenza siano diventate una condizione permanente e strutturale del quotidiano.
Oltre ai casi specifici riportati in sintesi, a quasi un mese dall’inizio dell’anno scolastico in quelle pochissime scuole dotate di sezioni a tempo prolungato, come accade immancabilmente da diversi anni, non è partito il servizio di refezione. L’eterno ritorno del disservizio è accettato senza indignazione dalla maggioranza delle famiglie e dalle amministrazioni competenti che, senza imbarazzo, non mettono in atto nessuna misura per risolvere le disfunzioni. Il peso organizzativo ed economico generato dal malfunzionamento viene scaricato sulle famiglie. Di fronte al disastro chi ha i mezzi prova a spostare i propri figli in altre scuole pubbliche più o meno funzionanti oppure, sempre più spesso, si rivolge direttamente a scuole private che sembrano essere le uniche a garantire degli standard europei per offerta formativa, strutturale e di orario. Al contrario, coloro privi di mezzi (economici ma anche culturali) rinunziano alla scuola e demoliscono il già scarso senso di fiducia nelle istituzioni. Questo accade in una città funestata da un tasso di evasione e abbandono scolastico tra i più alti del continente.
La scarsa cura con cui, oggi, viene gestito il sistema scolastico pubblico provoca il riacutizzarsi della disuguaglianza. Senza un orizzonte di sviluppo sociale e culturale condiviso i fenomeni di disgregazione, i comportamenti criminali, il malato sovranismo di quartiere, saranno sempre più diffusi e radicati. L’erosione della complessità dell’esperienza scolastica non può che portare a estremizzare le distanze tra le diverse componenti sociali della città creando, da un lato, un ghetto in cui prevalgono le dinamiche dell’esclusione e del sottosviluppo (economico e culturale), dall’altro un ghetto dorato frequentato dai figli della classe agiata. A entrambi viene sottratta l’esperienza formativa che scaturisce dal vivere l’incontro tra differenze. Invece di creare opportunità di crescita reciproca si costruiscono le premesse dell’incomunicabilità. Dallo smantellamento della scuola pubblica primaria, provocato da un incomprensibile disinteresse amministrativo, escono tutti sconfitti e impoveriti. Scompare ogni possibilità di mobilità sociale, mentre il censo torna ad essere l’unico fattore determinante nelle biografie degli adulti di domani. (-ma)
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