Lo scorso 13 novembre è stato diffuso tra le famiglie degli alunni del liceo Giambattista Vico un “comunicato congiunto dei docenti” dell’istituto relativo all’occupazione studentesca dei locali della scuola, in corso dal pomeriggio dell’8 novembre e destinata a durare fino alla mattina del 15. La pubblicazione di questo insolito documento, breve e scarno, ci sembra l’occasione per una riflessione su come potrebbe essere inteso il carattere politico della scuola pubblica e, nello specifico, su quale dovrebbe essere il ruolo dei docenti rispetto alle manifestazioni radicali di dissenso da parte degli studenti.
“Il Collegio – questo l’esordio –, pur condividendo la necessità della pace e del rispetto del diritto internazionale, condanna una forma di protesta che viola il diritto allo studio di tutti gli studenti e il diritto/dovere di servizio dei lavoratori dell’istituto”. Per questo motivo, si emette una richiesta molto importante: “l’immediata liberazione dei locali dell’istituto”, perché sia “quanto prima […] ripristinato il regolare svolgimento delle lezioni”. Scriviamo “emette” perché non è chiaro a chi questo comunicato si rivolga: agli studenti? alle famiglie degli studenti coinvolti? alla dirigente scolastica? Non è chiaro, perché appunto il comunicato non esplicita i suoi destinatari; purtroppo: perché in base a ciascuno dei tre destinatari ipotizzabili muterebbe il carattere “politico” del comunicato stesso.
Rivolto agli studenti, infatti, il testo implicherebbe un loro riconoscimento forte come interlocutori, e la responsabilità che in cambio i docenti dovrebbero assumere nei loro confronti: di un interlocutore si riconoscono le posizioni, contro di esse si ha l’onere di produrre controargomentazioni. E il collettivo studentesco che ha deciso e animato l’occupazione di argomentazioni politiche ci sembra ne abbia prodotte eccome, mostrando, in questo suo comunicato come in altri contenuti pubblicati sul suo profilo Instagram, una piena consapevolezza del gesto “di rottura” compiuto in nome di una pratica di disobbedienza civile, in risposta a un appello internazionale lanciato da un’università straniera (l’Università di Birzeit, in Cisgiordania) a sostegno della popolazione di Gaza, coinvolta in una guerra feroce.
Rivolto alle famiglie, il comunicato rubricherebbe invece tutta la faccenda come gesto irresponsabile di ragazzi, di cui chiedere conto agli adulti, con significativa lesione della dignità degli alunni coinvolti nella protesta.
Rivolto alla dirigente, infine, non sarebbe altro che una richiesta di sgombero delle forze dell’ordine: in questa terza ipotesi, il comunicato assumerebbe perciò un carattere puramente repressivo, con buona pace della chiusura rassicurante che ribadisce la “disponibilità al dialogo e all’approfondimento” di temi legati alle urgenze politiche del presente.
Non aver esplicitato i destinatari lascia purtroppo aperta, in realtà, unicamente questa terza ipotesi: la prima essendo esclusa di fatto, negata dallo stesso tenore del comunicato; la seconda in quanto di per sé irrilevante, perché propedeutica alla terza. Terza ipotesi che è l’unica, peraltro, a rispondere alle consuetudini vigenti nella scuola, per le quali unico interlocutore dei docenti riuniti in collegio è, appunto, il dirigente scolastico. Ma anche questo del mittente è un punto su cui il comunicato è ambiguo: nell’oggetto il testo viene presentato come un “comunicato congiunto dei docenti del Liceo Giambattista Vico di Napoli”, e nel corpo il soggetto è sempre “il Collegio”: “il Collegio […] condanna”, “il Collegio chiede l’immediata liberazione”. Il comunicato sembra dunque esprimere la volontà del collegio docenti, ma non ne è formalmente una deliberazione; sembra esprimerla all’unanimità (diversamente avrebbe dovuto chiarirne il carattere soltanto maggioritario), ma non allega la totalità delle firme.
Per tutti questi motivi, questo testo dei colleghi del liceo Vico rappresenta, crediamo, un’occasione persa. Il dissenso che legittimamente, e anzi, inevitabilmente un docente deve, in coerenza con il proprio ruolo istituzionale, esprimere rispetto a una forma di protesta non riconosciuta dalla Costituzione come un’occupazione, non esime dal dovere politico, culturale, educativo, di raccogliere la sfida lanciata dagli studenti; e di corrispondere a questa sfida con argomenti all’altezza della complessità dei problemi sollevati da questo gesto di rottura, in un contesto internazionale tragico e angosciante come quello attuale.
La stessa salvaguardia del diritto allo studio rivendicata contro l’occupazione avrebbe meritato un approfondimento, anche solo per evitare l’implicita insinuazione, tutta da dimostrare, dell’assenza di questo tipo di preoccupazioni negli studenti che hanno occupato. Un dialogo aperto, franco, tra docenti e alunni occupanti avrebbe potuto forse fare emergere una serie di vissuti e di esperienze, ancora inascoltate, dei membri della generazione che più di tutte, da quando esiste la scuola pubblica, è stata colpita nel diritto allo studio: per mesi, in particolare nella nostra regione, dalla gestione politica della pandemia da Covid-19. Una storia, questa, che chiama in causa ancora oggi la responsabilità di tutti noi docenti per non essere riusciti a esprimere, allora, una posizione compatta in difesa del diritto allo studio, cioè del ripristino della didattica in presenza, specie in contesti a forte rischio di dispersione scolastica come quelli della maggior parte delle scuole della città.
Non possiamo nemmeno sorvolare, in chiusura, sulla rivendicazione da parte dei colleghi e delle colleghe del Vico del “diritto/dovere di servizio dei lavoratori dell’Istituto” violato da questa “forma di protesta”, una rivendicazione di cui non ci sembra francamente ci fosse bisogno essendo un’occupazione studentesca la negazione esplicita di questo diritto/dovere (e in quanto negazione, ne è di fatto un riconoscimento), al punto che aver sottolineato questo aspetto solleva lo spiacevole dubbio che la ragione di questa parte del comunicato fosse in realtà un’altra, che avesse cioè a che fare con la soggezione che tutti noi docenti sentiamo e subiamo nella scuola dell’autonomia (dei dirigenti scolastici).
Il diritto/dovere di servizio, peraltro, avrebbe forse potuto essere interpretato creativamente, come occasione di incontro con gli studenti al di fuori delle aule e dell’orario scolastico. In una scuola in cui l’impegno a formare individualità autonome e critiche è sempre più ridotto a un ingrato adempimento burocratico (vedi le Uda di Educazione civica), cos’è infatti un’occupazione studentesca se non un clamoroso “compito di realtà” realizzato dagli studenti in totale autonomia, consapevolmente al di fuori degli schemi mentali e giuridici di noi docenti? Confrontarsi con un simile lavoro portato avanti dagli studenti avrebbe potuto essere, questa sì, un’ottima occasione formativa per tutta la comunità educante. (antonio del castello / anna iovino / santa iovino / alessandro ventura)
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