
Ci vuole il fisico anche solo per assistere a uno spettacolo di RezzaMastrella, questo artista bicefalo che da più di trentacinque anni sconvolge il pubblico italiano (e non solo, sono freschi reduci da un’incursione in Estremo Oriente). Se ciò è valido sempre, lo è a maggior ragione con quest’ultimo spettacolo, Hybris, che gli è valso, per la prima volta, la candidatura al premio Ubu (loro che hanno già vinto un Leone d’oro alla Biennale nel 2018 e prima ancora l’Hystrio nel 2013).
Rezza si definisce un performer più che un attore, avendo decostruito il teatro classico, radendone al suolo i topos per ricostruire, ex novo, qualcosa di insolito, unico, che probabilmente nascerà e morirà con lui. Sicuramente è un giocoliere della parola, in grado di fare da apripista per una risignificazione del discorso, specialmente in tempi in cui la lingua viene plagiata, colonizzata e riadattata, trasferendoci in un orizzonte fluido che finisce per corrispondere a un relativismo così esasperato da pervenire a una privazione di qualsivoglia significato. In Hybris, Rezza è meno solo che mai, vantando un cospicuo stuolo di comprimari, oltre al fedelissimo Ivan Bellavista, ma il vero protagonista di questo spettacolo è l’habitat (da non confondersi con scenografie o costumi) di Mastrella: una porta mobile, incardinata sul vuoto, priva di punti fermi (come la realtà che i due performer vogliono denunciare), che Rezza si trascina da una parte all’altra del palco, sconvolgendo lo spazio, alternando vuoto e pieno, fuori e dentro, senza soluzione di continuità. In questa cornice antinarrativa, Rezza riempie il silenzio di un’ecolalia fatta di versi e voci, ma mai voci da attore, sempre voci distorte e storpiate; benché sia un artista che rende il suo corpo una macchina scenica a sua volta, è sulla voce che Rezza fa un grandissimo lavoro, restituendo quella che poi, secondo alcuni, e anche lui, è la vera natura del teatro, quella sonora, al punto che i suoi spettacoli, così ritmati, possono essere ascoltati come fossero composizioni.
Se la sua scrittura è folgorante per giochi di parole inediti, calembour, battute di spirito e punch-line, Rezza tradisce la sua stessa capacità narrativa rifuggendo comode strade come quella della fiction; come Mastrella fornisce uno scheletro di suggestioni sceniche (i suoi habitat: trasportini umani, costumi per performare color rosso sangue, improbabili come abiti da videogame), Rezza tende all’universalità, libero da maschere di personaggi, limitandosi a un’ossatura di situazioni e all’interazione tra performer. La sua non-scrittura, tuttavia, riesce a rimanere ancorata al presente, affrontando, in modo cinico, antiborghese, scandaloso, indifferente al politicamente corretto, al limite della stand-up comedy per brillantezza delle trovate, argomenti prettamente attuali, ma senza voler fare proseliti o lezioni di morale.
Quello di Rezza è, in tal senso, un erede diretto del teatro della crudeltà artaudiano, dove la crudeltà è rivolta verso gli spettatori (che ridono sempre più del dovuto), verso sé stesso, per l’alto tasso di sforzo che continua a richiedere alla sua memoria e al suo corpo, e verso i non-personaggi dei suoi non-attori, due dei quali, persino, non-professionisti; ma soprattutto verso una società disorientata, schiacciata da istituzioni improvvisate e prive di valori, incapaci di tenere il passo con le nuove sfide dell’umanità. Tutte le sperimentazioni di RezzaMastrella, in Hybris, sono accentuate, stratificate e portate al parossismo: gli esercizi mnemonici, la nudità gratuita, la bestemmia suggerita, il dèplacement dello spettatore. Il che è il pregio e il limite al tempo stesso: pregio perché diventa quintessenziale della loro poetica, limite perché diventa una riproposizione, solo decuplicata, di un paradigma unico, ma già noto ai suoi spettatori di lungo corso. Sì, perché ogni performance di RezzaMastrella ha la capacità di esser vissuta e condividere le caratteristiche di un rituale, sin dall’abilità di creare, intorno a sé, una comunità pronta a godere della generosità del duo (che va riconosciuta senza se e senza ma: ogni tappa campana di RezzaMastrella si trasforma in un tour de force, fatto di presentazioni di libri, incontri con studenti, incontri aperti… un continuo gettarsi in pasto al pubblico, come una comunione laica coi propri fedeli). I sedotti da RezzaMastrella non rimarranno quindi delusi da Hybris ritrovandovi tutti i guizzi del mattatore Rezza, i brillanti giochi linguistici, l’irrisione del potere in tutte le sue più recenti reincarnazioni, e probabilmente saranno indulgenti nel giudicare se, qualche volta, Rezza si sarà spinto un po’ troppo oltre il politicamente scorretto, rimestando sulla soglia (quella stessa soglia che si trascina dietro, simboleggiata da una porta che non dà da nessuna parte, pur pesando e sbattendo rumorosamente).
Rispetto ai precedenti spettacoli, l’innovazione non è data tanto dall’alzare il tiro delle provocazioni, ma giocando sulla quantità. Se non viene meno la perfezione di pattern codificati al massimo e dalla resa perfetta, il rischio di ripetere sentieri già tracciati è forte. Viene sventato, per fortuna, da un finale dove l’assurdo trascende la parola, e nel quale Rezza, dopo aver abdicato qualsiasi narrazione, rinuncia persino alla parola: riuscire a far dialogare i personaggi solamente intrecciando dei fischi, come in onomatopee da fumetto, è probabilmente la più estrema delle soluzioni innovative. Come il Godard che il duo omaggerà partecipando a una delle serate della rassegna napoletana a lui dedicata in questi giorni, RezzaMastrella sembrano flirtare con la rinuncia definitiva al linguaggio, come già fatto nel praticamente muto Il Cristo in gola, l’ultima fatica filmica in cui Rezza si è cimentato. Hybris, quindi, è uno spettacolo liminale, come la soglia al centro della scena, un fermo immagine di un pendolo che oscilla tra un paradigma artistico precedente e uno successivo. Qui RezzaMastrella lanciano, col coup de génie finale, una testa di ponte verso quello cui potranno addivenire, con una rinuncia definitiva al verbale (già dilaniato, grottescamente caricaturizzato in un parodico parossistico e paradossale). Al silenzio di dio, che è tema ricorrente se non centrale in questo come in altri spettacoli, fa eco l’afasia, il suono gutturale, l’abbraccio alla definitiva incomunicabilità (la morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi, diceva qualcuno, e in RezzaMastrella l’impossibilità dialogica pare reciprocamente valere sia per dio che per l’umano) e l’accettazione dell’impossibilità di qualsiasi reale connessione nell’era dell’umanità iperconnessa. La hybris del titolo, quindi, è la tracotanza di uno spettacolo incontenibile, il perduto senso del limite che viene superato volontariamente e violentemente. Era il peccato definitivo, quello al quale gli stessi dei dovevano sottostare, il tabù dell’incesto o della violenza carnale, anche qui sovra-rappresentati, sdoganati e, quindi, catarticamente superati, in un rito liberatorio che solo nel teatro sperimentale rezzamastrelliano ancora sopravvive, catapultandoci ai prodromi della mise en scène collettiva dalla valenza purificatrice. Da qui lo stordimento che assale gli spettatori durante e dopo lo spettacolo, e la necessità di ritornare ad assistervi, più volte, sortendo effetti sempre diversi, compartecipando a un unicum ogni volta irreplicabile. Questo e molto altro ancora è Hybris, sotto il riso, gli habitat, l’assurdo e il grottesco: un folle volo per spingersi insieme verso l’oltre e sfiorare ancora la possibilità d’esperire un trascendente, sebbene laicissimo, sebbene materico, dove persino il suono è dato da corpi che risuonano, battono e urtano. (roberto cirillo)
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HYBRIS
di: Flavia Mastrella, Antonio Rezza
con: Antonio Rezza
e con: Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli
e con: la partecipazione straordinaria di Maria Grazia Sughi
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat: Flavia Mastrella
assistente alla creazione: Massimo Camilli
luci e tecnica: Alice Mollica
macchinista: Andrea Zanarini
organizzazione generale: Marta Gagliardi Stefania Saltarelli
produzione: RezzaMastrella, La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Teatro di Sardegna
coproduzione: Spoleto, Festival dei Due Mondi
ufficio stampa: Chiara Crupi – Artinconnessione
atto unico di 80′
al teatro San Ferdinando di Napoli, dal 28 novembre al 3 dicembre 2023.