Giardini, spazio vivo. Alcuni giovani un po’ defilati confabulano e chiudono sigarette. Alla loro sinistra il maestoso edificio della facoltà di ingegneria di piazzale Tecchio, Fuorigrotta. Le decorazioni in mosaico, la scalinata d’ingresso, i rider che si danno appuntamento in quel punto strategico per potersi dirigere con maggiore velocità nei diversi quartieri della città. Un parcheggiatore mangia un crocchè di patate. Due poliziotti escono, forse per la pausa pranzo. Sono le due dell’ultimo giorno di novembre.
Piano terra, spazio contaminato. Qualche studente con la kefiah si aggira nell’ampio salone, tra il centro di calcolo elettronico e la biblioteca. Telefonate e ritmi frenetici. Qui non si vedono agenti e neppure i giornalisti che sono stati chiamati hanno risposto all’appello. Alcune aule sono piene. Studenti e studentesse consumano il pranzo in contenitori termici, sembrano stanchi, forse sono solo annoiati.
Primo piano, spazio occupato. Gli studenti della Rete che dall’inizio dell’attacco israeliano a Gaza solidarizza con il popolo palestinese hanno preso possesso dell’aula magna della facoltà, in protesta contro un’iniziativa di “presentazione aziendale dell’Eni agli studenti”, che avrebbe dovuto svolgersi nel salotto buono del polo. Non sono solo futuri ingegneri, studiano anche lingue, sociologia, scienze politiche, robotica, storia, architettura, in altre sedi della Federico II e dell’Orientale. Alcuni di loro sono nell’antisala a parlare con altri studenti. I più pazienti interloquiscono con gli impiegati amministrativi della struttura. Un agente della Digos legge con attenzione l’epigrafe marmorea che fa da sfondo all’erma di Umberto Nobile: ingegnere, esploratore, generale del genio areonautico (lo dice l’incisione), progettista di numerosi dirigibili e biplani militari da bombardamento per i governi italiani liberali e fascisti, per l’esercito americano (non lo dice l’incisione), e anni dopo deputato per il partito comunista italiano.
Gli studenti della Rete non vogliono questa passerella nella loro università: «L’Eni – spiegano – è tra le sei società al mondo a cui sono state assegnate licenze per “esplorazione di gas naturale” in Palestina dal ministro dell’energia israeliano. La guerra di colonizzazione che da decenni Israele porta avanti in Palestina passa tanto per escalation militari come quella in atto, quanto per processi economici come queste cosiddette “esplorazioni”. Due facce della stessa medaglia che hanno come obiettivo la pulizia etnica e la conquista dei territori palestinesi da parte di Israele». Si accodano gli studenti di Fridays For Future, che partecipa all’occupazione e alla “contro-conferenza”: «Che Eni, parte delle “sette sorelle”, ovvero le sette multinazionali del fossile più potenti (e più inquinanti) al mondo, si permetta di parlare agli studenti di sviluppo sostenibile e transizione ecologica, è veramente inaccettabile».
Nello striscione che gli studenti affiggono in aula si fa riferimento anche alla presenza all’interno delle università di Leonardo, colosso della produzione militare a livello internazionale, che vende armi alla Nato e ai più importanti eserciti al mondo (compreso quello israeliano). L’azienda ha infatti relazioni anche con la maggior parte delle università italiane (Michele Lancione spiega bene le implicazioni di questo rapporto nel suo ultimo libro, di cui proprio oggi abbiamo pubblicato un estratto), nonché un rapporto privilegiato con il ministro della difesa Crosetto, che secondo un’inchiesta del quotidiano Domani avrebbe incassato dall’azienda quasi due milioni di euro per consulenze tra il 2018 e il 2021.
A legare i destini di Eni e Leonardo c’è poi un’altra figura di spicco di questo governo: Roberto Cingolani, ministro per la transizione ecologica assai discusso sotto il governo Draghi, notoriamente favorevole al ritorno del nucleare e contrario all’elettrificazione del comparto auto, protagonista di numerose uscite a vuoto, attualmente consigliere per l’energia del governo Meloni, e soprattutto amministratore delegato (e direttore generale) di Leonardo.
Dopo una lunga preparazione, e con gli agenti della Digos sempre appollaiati nell’antisala, l’assemblea comincia intorno alle tre. Un paio di interventi spiegano ai presenti il senso dell’iniziativa, poi la parola viene data agli studenti connessi da remoto da altri atenei italiani. È il momento più importante, che agevola uno scambio di informazioni su cosa sta succedendo a Padova, a Bologna, a Firenze, sui collettivi di studenti in lotta, sulle interlocuzioni col movimento dei Giovani Palestinesi d’Italia, sulla possibilità di creare un coordinamento universitario antimilitarista con una prospettiva duratura, che produca conoscenza e attivi opposizione all’interno delle scuole e delle università su questi temi. Ne segue un dibattito che andrà avanti per qualche ora.
Appare chiaro ormai come all’interno di una certa cerchia di studenti, dottorandi e ricercatori la consapevolezza di questo crescente e incontrastato avanzare dell’industria militare nei luoghi del sapere sia acquisita. La sfida, piuttosto, sarà riuscire a comunicare a tutte le altre persone che frequentano le scuole e le università (ancora una volta ieri il corpo docente è risultato tristemente non pervenuto). In questo senso il grosso lavoro che stanno facendo i giovani studenti palestinesi in molte città d’Italia – in mesi per loro assai dolorosi e impegnativi – è un’opportunità che va colta e valorizzata. Possibilmente con il supporto di chi questi famigerati “luoghi del sapere” li frequenta rivestendo ruoli di maggiore responsabilità e visibilità. (riccardo rosa)
Leave a Reply