L’Assemblea antipsichiatrica, rete di collettivi antipsichiatrici, attivisti e attiviste, ha convocato per sabato 28 gennaio un presidio a Bologna davanti al carcere della Dozza in solidarietà con i detenuti e le detenute e in contestazione alla cosiddetta Articolazione Tutela Salute Mentale (ATSM).
“A Bologna – spiega la rete in un comunicato stampa – l’Articolazione Tutela Salute Mentale prevede cinque posti e coinvolge unicamente il carcere femminile. La collocazione isolata degli ambienti e il numero esiguo delle recluse previste conferma gli aspetti di segregazione che caratterizzano la sezione. A oggi, nonostante diverse pressioni per la chiusura dell’articolazione, non solo questa è ancora aperta ma addirittura viene millantata sui giornali come esempio “pragmatico” da seguire ed estendere.
Nel 2020/2021 lavori di ristrutturazione ne avevano comportato la chiusura provvisoria, quindi il trasferimento delle detenute presenti in quel momento in ‘articolazioni analoghe fuori regione’. Tra le detenute trasferite c’era Isabella P., trentasette anni, accusata di furto, estorsione e minaccia a pubblico ufficiale, morta poi il 15 febbraio 2021 nel carcere femminile di Pozzuoli a causa delle massicce dosi di psicofarmaci somministratele e dei trattamenti ricevuti. Sarebbe dovuta uscire nel 2026, era alla sua settima carcerazione. Era considerata una detenuta ‘difficile’. A diciotto anni aveva subito il suo primo trattamento sanitario obbligatorio.
Gli stessi lavori di ristrutturazione che hanno visto trasferire Isabella hanno portato all’inaugurazione, a luglio 2021, della nuova ‘sezione nido’, tre celle adiacenti all’articolazione salute mentale per detenute madri con bambini fino a tre anni. Il garante dei detenuti ha dichiarato di sentirsi ‘preoccupato’ per l’apertura di questa sezione accanto ai locali dell’articolazione psichiatrica, dai quali, giorno e notte, uscirebbero ‘grida e lamenti’. Nonostante la legge 62 del 2011 indichi in questi casi di favorire gli arresti domiciliari e/o la creazione di case famiglia protette, a oggi rimane assente un concreto interessamento per il superamento anche di questi istituti”.
MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO
Ufficialmente, gli ospedali psichiatrici giudiziari sono chiusi dal 2015, ma all’interno delle carceri italiane continuano a essere presenti numerosi “repartini psichiatrici” con il fine di contenere e sedare quelle recluse e quei reclusi che non si adattano al contesto carcerario, o che semplicemente esprimono disagio, difficoltà emotive o squilibri durante la detenzione.
“La legge 81/2014 riserva agli autori di reato dichiarati ‘incapaci di intendere e di volere per infermità mentale’ (definiti “folli rei”) un iter giudiziario diverso da quello destinato ai comuni, che prevede le Residenze sanitarie per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), istituite dopo la chiusura degli Opg. In questo iter giudiziario la pericolosità sociale di derivazione manicomiale la fa ancora da padrona, ma non tutti, però, finiscono nelle Rems. Nello specifico le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono sezioni istituite per quelle detenute e quei detenuti con una valutazione psichiatrica sopravvenuta alla detenzione, quindi successiva al giudizio, e che non possono perciò accedere alle Rems, che prevedono già di per sé lunghe lista di attesa”.
COSA SONO LE ATSM
Le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono luoghi di annichilimento della personalità fondate sull’isolamento prolungato, la contenzione psicologica, fisica e farmacologica. Strutture che non hanno nulla di terapeutico ma che nascono per la necessità dell’istituzione penitenziaria di contenere le intemperanze dei ristretti in relazione al contesto detentivo.
Direzione e medici all’interno delle ATSM possono inoltre mettere in atto proroghe in modo estremamente discrezionale (trenta giorni che possono tradursi in mesi di isolamento). Eppure, sulla carta, a seguito della sentenza 99/2019 della Corte Costituzionale, il giudice potrebbe disporre la cura fuori dal carcere per la persona che durante la detenzione manifesta una “grave malattia di tipo psichico”, concedendo, anche quando la pena residua è superiore a quattro anni, la misura alternativa della detenzione “umanitaria” o in “deroga”, come già previsto per le persone detenute con gravi malattie fisiche.
IL CARCERE MANICOMIO
“L’ambiente carcerario può essere estremamente nocivo per coloro che sono sforniti degli strumenti adeguati. Le difficoltà di una vita ‘libera’ fatta di precarietà, impoverimento di beni materiali, reti sociali e di conseguenza di qualità del vivere, depauperano anche quelle risorse soggettive utili ad affrontare l’impatto con una quotidianità come quella carceraria. Gli addetti ai lavori denominano con il nome di ‘sindrome da prigionizzazione’ le profonde difficoltà, l’alienazione e la sofferenza che la detenzione può comportare. La solitudine, la fatiscenza strutturale degli ambienti, gli spazi freddi e ristretti, l’alto numero di reclusi e recluse, l’insalubrità del cibo, l’assenza di acqua e docce adeguate, gli psicofarmaci a profusione e, se va bene, la tachipirina per ogni esigenza, l’impossibilità ad accedere a prevenzione, visite specialistiche, nonché a seguire i propri percorsi terapeutici, esasperano la reclusione causando fragilità, menomazioni e patologie che spesso dal carcere si protraggono anche dopo la scarcerazione. Condizioni dove l’eccezione non è tanto la ‘malasanità’, ma il trovare medici non conniventi con gli agenti di polizia penitenziaria.
Il non rispetto del principio di territorialità – spiegano ancora dalla rete – rende ancora più dura l’esperienza della detenzione. Una quotidianità carceraria che oltre a essere priva di dignità umana è, post pandemia e post rivolte, sempre più soggetta a soprusi di ogni tipo: dalla potenziata discrezionalità di ogni singola direzione carceraria e sanitaria, all’abuso di potere delle guardie penitenziarie. Senza considerare che il timore dei contagi e delle conseguenti politiche di gestione da parte delle direzioni continua a rappresentare una fonte di ansia per chi è recluso, oltre che uno strumento di vessazione e ricatto. Non adattarsi può tradursi in chiusura in sé stessi nel tentativo estremo di individuare una via di fuga. Come “fughe”, in fondo, sono spesso i numerosi suicidi e i moltissimi gesti autolesivi che ogni giorno si susseguono in galera”.
Solo nel 2022 sono state ottantaquattro le persone detenute che hanno scelto il suicidio e incalcolabile è il numero dei tentativi. Numeri che si uniscono ai segni lasciati dalle torture fisiche e psichiche, e dai processi, seguiti per esempio alle rivolte del marzo 2020, rivolte che hanno portato alla morte di quattordici detenuti. Le disposizioni decise dall’amministrazione penitenziaria per “arginare” il pericolo dei contagi si tradussero all’epoca nel totale isolamento delle persone detenute dal resto del mondo, in celle però sempre sovraffollate, poiché tutte le attività furono sospese. Soppressi i colloqui con i familiari, impediti gli ingressi a qualsiasi operatore esterno. Fu deciso inoltre, in diverse carceri, di sottoporre interi reparti a molte delle rigide regole previste dal regime di 41bis, piuttosto che individuare soluzioni volte alla riduzione del sovraffollamento e quindi ai rischi di contagio. Proprio quel 41bis – regime di totale isolamento e deprivazione sensoriale, presentato dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo come lo “strumento più efficace nella lotta alla mafia” – che ha rivelato negli ultimi mesi, anche grazie alla battaglia portata avanti dal detenuto Alfredo Cospito, la sua vera essenza, ovvero quella di una tortura normata (Cospito ha definito la quotidianità all’interno di quelle sezioni “una tomba per vivi” e ha intrapreso, dal 20 ottobre scorso, uno sciopero della fame a oltranza contro il 41bis e l’ergastolo ostativo, due “abomini del sistema penitenziario”).
“Per noi non si tratta di costruire altre sezioni o ‘repartini’, ma di svuotare quelli già esistenti. Quelli che parlano solo di sovraffollamento nelle prigioni sono gli stessi che le hanno riempite con le loro leggi razziste e liberticide: oltre il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, circa il 30% della popolazione carceraria fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione (alla faccia del tanto declamato ‘recupero sociale’). Questo grazie a leggi come la Fini-Giovanardi, la Bossi-Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini. Politiche repressive il cui bersaglio non è certo il grande narcotraffico – un giro miliardario che allo Stato e alle sue mafie fa evidentemente comodo così – ma, come sempre, chi non ha documenti, mezzi di sostentamento, reti sociali o non è spendibile in termini di profitto. Una caccia alle streghe che conferma la funzione primaria del carcere come strumento di governo e gestione delle diseguaglianze e del conflitto sociale, volto al mantenimento dell’ordine attuale, fatto di sfruttati e sfruttatori. Una guerra a bassa intensità affinché il processo di accumulazione capitalista proceda senza soluzioni di continuità, che mira a spostare il limite di tolleranza delle sfruttate e degli sfruttati, sempre un po’ più in là. Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale viene duramente represso e repressa, come avvenuto dopo le rivolte del marzo 2020″. (napolimonitor)
SABATO 28 GENNAIO – GIORNATA ANTIPSICHIATRICA
Bologna
Ore 10:00: presidio davanti al carcere della Dozza.
Imola (Spazio autogestito Brigata Prociona)
Ore 13:30: pranzo a cura del Vascello Vegano, a sostegno della biblioteca antipsichiatrica del Collettivo Strappi.
Ore 18:00: presentazione del libro Divieto di Infanzia. Psichiatria, controllo e profitto, con gli autori Chiara Gazzola e Sebastiano Ortu.
Ore 20:00: cena benefit per la nuova cassa di solidarietà e mutuo soccorso antipsichiatrica.
Ore 21:30: The Jackson Pollock live.