Durante l’ultimo autunno ho seguito alcune partite del Napoli nei bar di due quartieri di Torino: Aurora e Barriera di Milano. I quartieri si trovano a nord del centro cittadino. La Dora scorre attraverso Aurora e confluisce nel Po dopo aver lambito il cimitero. Corso Giulio Cesare è l’arteria stradale perpendicolare al fiume: parte dal mercato di Porta Palazzo, s’inoltra in Barriera di Milano e prosegue fino alla Stura. Al tempo dell’industria i migranti dal sud si stabilirono anche qui: oltre gli edifici antichi sorsero i palazzi a dieci piani. Oggi a Porta Palazzo e in Barriera si sono stabiliti i nuovi migranti che provengono soprattutto dall’Africa. Una sera di campionato m’è tornata in mente un’intervista di Gianni Minà a Massimo Troisi. Era l’epoca del primo scudetto. Il giornalista menzionò alcuni striscioni che erano apparsi negli stadi del nord: “Napoli campione del Nord Africa”. Le parole non sono stabili, a seconda dei contesti possono svelare nuovi significati. Mi sembra che questa frase abbia una certa relazione con le esperienze che ho fatto questo autunno.
Napoli-Juve
Oltre la Dora ho trovato un locale gestito da un magrebino. Un’ampia sala con un bancone in fondo; sedie, tavoli e divani sparsi di fronte al televisore. Sullo schermo le maglie azzurre, poi il bianconero della Juve; la telecronaca è in arabo. Ho ordinato un tè alla menta e l’uomo al bancone ha annuito e mi ha indicato un divano. A fianco a me c’è un uomo impassibile, forse originario di un paese al di là del deserto. Penso allora che questo locale non accoglie solo i magrebini, ma anche altri migranti che vivono qui attorno. L’uomo a fianco a me è rimasto sempre silenzioso a guardare la partita, però mi è sembrato che si stesse bene nella vicinanza. Quando il Napoli gioca contro la Juve sento sempre una tensione mista a un fondo di timore che non so spiegarmi.
A due tavoli otto uomini giocano a carte. (Che gioco? Le carte sono francesi). Ogni tanto urlano forte in arabo se qualcuno segna un punto importante, non capisco se sono manifestazioni di gioia o imprecazioni. Noto un moderato disinteresse per la partita di calcio, ma anche una dimessa simpatia per il Napoli. Ogni tanto s’alza una voce che in italiano declama: «Juve merda, Juve vaffanculo». Il tono è ironico: esclamazioni lanciate per passare il tempo.
Insigne sulla tre quarti passa la palla a Higuain, l’argentino restituisce il pallone con un tocco. Insigne calcia di destro da fuori area e segna. Un tiro preciso che accarezza l’erba. (Per fortuna non ha tentato il tiro a giro sul secondo palo). Trattengo l’esultanza, mi raggiunge un urlaccio gioioso di qualcuno alle mie spalle. Un ragazzo durante l’intervallo è entrato con la maglia della Juve, ha visto il risultato ed è uscito. Non l’ho più visto.
Ho chiesto di fumare e insieme alla shisha mi hanno portato un bocchino di plastica. Il bocchino non si adatta al foro della shisha. Un uomo si avvicina e accosta il piccolo cono al carboncino rovente. La plastica malleabile si adatta all’imboccatura, lo ringrazio. Poi mi portano un pezzo di cartone da usare come ventaglio di areazione.
Nel secondo tempo Higuain anticipa Padoin e si lancia verso la porta. Bonucci corre a perdifiato, invano. L’argentino scarta verso sinistra e scaglia un tiro sul secondo palo: è il due a zero. Alzo le braccia al cielo, un uomo alla mia destra mi sorride. Verso la fine della partita la Juve reclama un rigore. L’uomo che mi ha aiutato con la shisha sostiene che il difensore del Napoli ha toccato la palla con un braccio. «Ma no, è un rimpallo», gli dico; un suo amico mi dà subito ragione. I giocatori di carte discutono con toni accesi e minacciosi.
Milan-Napoli
Sono uscito di casa per trovare un posto dove vedere la partita. Nel bar dell’altra sera trasmettono una partita di un campionato esotico, forse magrebino. Le immagini sono sgranate e i giocatori indossano maglie verdi. La partita del Napoli è già iniziata e sono troppo nervoso per chiedere quali squadre siano. Mi lancio verso un altro bar, in piazza Borgo Dora. La stessa maledetta partita dai colori sgranati. Con apprensione pedalo oltre la Dora, incontro una gastronomia senegalese. Senegalesi voltati verso lo schermo, non vedo le immagini e chiedo: «È il Milan?». «No, il Milan è all’angolo della via». Non esiste alcun bar all’angolo, proseguo lungo corso Giulio Cesare. Intravedo un bar con un dehors, all’interno un televisore proietta immagini d’un terreno verde. Il Real Madrid sta vincendo per uno a zero. Stringo i denti, e proseguo. Possibile che questa sera a nord di Torino nessuno sia interessato al Napoli? Finalmente arrivo nel bar di fronte ai Giardini Montanaro. Un avventore solitario sta di fronte al televisore. Nel silenzio m’appare la maglia azzurra. Il tabellino segna uno a zero per il Napoli.
L’uomo seduto al tavolino armeggia con un cellulare. Vedo un altro individuo concentrato su una slot machine. Il bar è gestito da una coppia di asiatici, ma le cameriere, bionde, hanno un accento che mi pare provenire dall’Europa orientale. Non so a chi chiedere notizie sul gol perché nessuno presta attenzione alla partita. Ordino una birra, il primo tempo finisce con una evidente supremazia di gioco del Napoli.
Esco all’aria della sera e osservo i pochi alberi e le panchine del parco. Un tempo c’era un chiosco con pompa di benzina. Il chiosco, dopo anni di abbandono, fu occupato da un gruppo di estrema destra. Fu un’azione architettata da un consigliere comunale noto per fomentare il malcontento popolare. Il nome dell’occupazione era Spazio Giulio Cesare e dipinsero delle bandiere italiane sulle serrande. L’occupazione durò poche settimane: non intratteneva alcun legame con il quartiere, era solo una trovata per richiamare l’attenzione di qualche giornale. Gli abitanti sorridevano ironici e non vi davano alcuna importanza. Ora il chiosco non c’è più, ci sono sei blocchi di cemento sormontati da panchine. Cinque ragazzi e una ragazza bevono birra e parlano. Più lontano tre o quattro ombre si sfidano a ping-pong sul tavolo da gioco pubblico. Alcuni africani discutono avvolti dal freddo moderato di ottobre. Vorrei dire a tutti che il Napoli sta vincendo a Milano.
Higuain e Insigne si passano la palla tra i difensori rossoneri e il napoletano segna con un tiro a giro sul secondo palo. L’uomo alla slot, senza guardare il televisore, intona: «Povero Milan, povero Milan». Io stringo la mano a pugno sotto il tavolo. Entra un tifoso milanista. «Non è colpa dell’allenatore, non ha i giocatori». Poi chiede dove sia Balotelli. Gli rispondo che è infortunato, proprio mentre Insigne segna su punizione. Il milanista chiede un caffè, ma gli arriva senza zucchero, si lamenta. La proprietaria ringhia qualcosa. L’uomo della slot coglie una combinazione vincente, raccoglie le monete ed esce. Sul quattro a zero per il Napoli il milanista se ne va in un borbottio e io rimango solo, il mio bicchiere è ormai vuoto. La proprietaria lancia uno sguardo attorno e si accomoda alle macchine da gioco, estraendo dalla tasca il portamonete. I suoni acuti della slot machine ora coprono le interviste degli allenatori.
Napoli-Udinese
Ho trovato un bar su corso Giulio Cesare, non lontano da corso Novara. Noto un simbolo della Juve sopra al bancone, un’immagine di Padre Pio all’angolo e un quadro astratto con brillantini luccicanti contro la parete. Due rom siedono a un tavolino, cinque bottiglie di birra accerchiano i loro gomiti. Gli altri sono africani (senegalesi, oppure sudanesi?). È entrato un magrebino per cambiare cinque euro. Gli africani guardano il televisore distrattamente. Il Napoli attacca ma sembra affaticato: l’intensità di gioco è più bassa del solito. La visione della partita è ostacolata dai frequenti attraversamenti della sala. Perché tutto questo movimento? Quando il Napoli sfiora il gol si alza un moderato brusio di sconforto. Sono tifosi del Napoli moderati, penso. A fianco a me un ragazzo controlla i risultati delle partite sul cellulare, nell’altra mano tiene lo scontrino delle scommesse.
L’uomo dietro alla cassa dimostra di essere davvero poco interessato al Napoli e guarda fisso lo schermo di un computer al suo fianco. Dice qualcosa sul Liverpool in una lingua sconosciuta. A un certo punto il televisore avverte che bisogna pigiare un tasto, altrimenti lo schermo va in spegnimento automatico. Il barista ci guarda: «Perché non vogliamo andare tutti a casa? Io già non ce la faccio più». Alla fine del primo tempo l’uomo svogliato cambia canale e lascia scorrere le imprese dell’Atletico Madrid. Passa un quarto d’ora e nessuno accenna a ripristinare la mia partita. Mi guardo intorno e tutti sembrano aver dimenticato il Napoli. Mi alzo a protestare.
Higuain s’inventa un gol che supera la mia immaginazione. Esultanza accesa dei miei amici intorno. «Chi ha segnato?», chiede l’uomo del bancone. «Higuain, Higuain». «Pezzo di merda», mormora in risposta. La partita pare limacciosa. Il Napoli crea gioco, ma sembra che il movimento della palla non sia armonioso come al solito. Reina devia un pallone che finisce sulla traversa.
Noto che dietro al bancone s’apre una piccola stanza. Lì gli uomini osservano gli schermi e tengono in mano fogli e scontrini. Sulla parete leggo: “Sala scommesse, vietato l’accesso ai minori di 18 anni”. Intuisco che il viavai di africani nel locale è una danza intorno alla sala scommesse. Mi viene a mente la storia del mio amico Mohammed. Mohammed era operaio specializzato, poi ha lavorato come mediatore nel mercato degli oggetti usati. Da due anni vive nelle palazzine occupate dell’Ex-Moi che accolgono circa settecento persone, tra migranti e rifugiati. «Quando ho dei soldi in tasca, gioco», mi ha detto Mohammed. «Sai, è più forte di me. In questi anni ho buttato via cinquantamila euro». Negli ultimi tempi il suo datore di lavoro ha versato lo stipendio su un conto vincolato. «Il conto è a nome mio, ma non posso prelevare nulla. Così non vado più nelle sale giochi». L’Udinese tenta di raggiungere il pareggio, ma il Napoli difende con ordine. Mertens, entrato al posto di Insigne, gioca in modo irritante. L’arbitro dà quattro minuti di recupero. Reina guarda il tabellone, mima il numero quattro e storce la bocca in segno di perplessità.
Napoli-Inter
La sera di Napoli-Inter arrivo nel bar a partita iniziata. Vedo che il Napoli è in vantaggio e mi sfugge un lieve gesto di esultanza. Due uomini al tavolino mi sorridono: «Napoli, Napoli». Chiedo informazioni e scopro che ha segnato Higuain. Mi avvicino al bancone e ordino un tè alla menta. Qui si riunisce la comunità magrebina del quartiere. Sono nel bar di piazza Borgo Dora, tra il fiume e il mercato ortofrutticolo di Porta Palazzo. Durante il sabato il borgo è gremito di venditori del Balon, il mercato delle pulci: si trovano mobili restaurati, vecchi libri, quadri di paesaggi, maschere africane, vestiti dismessi, vinili.
Il Napoli gioca a ritmo sostenuto. I due avventori a fianco a me ammiccano: «Il Napoli vince». Dietro al bancone i liquori sono macchie rosso scuro, arancione con sfumature di giallo ambrato. Faccio fatica a prestare attenzione a ciò che accade intorno, la partita è troppo intensa. Durante l’intervallo ammiro il gol di potenza e precisione di Higuain, il commento è in arabo. In studio c’è Gianfranco Zola. Sento che parla in italiano, ma le sue parole sono tradotte in simultanea da una voce fuori campo. Zola sorride felice, e io con lui.
Mi alzo per chiedere una shisha. «Va bene, ma devi andare nella stanza dei fumatori». Solo ora mi accorgo che c’è una stanza laterale invasa dal fumo dove un altro televisore trasmette la partita. Accanto a me in cinque giocano a carte, esclamazioni in arabo. Cerco di capire quale gioco sia, ma si spostano in fondo ed escono dalla mia visuale. Un uomo al mio fianco mi aiuta ad attizzare i carboncini. «Tieni per il Napoli? Bravo». Mi parla di El Kaddouri, io elogio la serietà e la dedizione del giocatore. Intorno a me percepisco che tutti attendono il suo ingresso. Capisco che sono tra marocchini. Non nomino Ghoulam, l’algerino. Forse ho fatto bene: durante tutta la partita nessuno ha menzionato Ghoulam.
Higuain segna il due a zero, mi lascio andare in un’esultanza contenuta. Sorrisi intorno a me, un verso di sconforto. Qualcuno è interista. Tiro giù il fumo a pieni polmoni senza pensare a niente. Il proprietario si avvicina: «Vieni quando gioca il Napoli». Gli rispondo che spesso trasmettono partite di altri campionati. «Vieni con il Napoli che questo posto porta fortuna». Mentre parliamo, l’Inter segna il due a uno. Quando alzo gli occhi Sarri inveisce contro la squadra.
Spesso la sera i marocchini s’assiepano in questo locale che si affaccia sulla piazza. Un sabato di settembre c’era la notte bianca a Borgo Dora. Un fiume di visitatori aveva invaso le strade. La Scuola Holden, a duecento metri da qui, aveva organizzato un concerto con gruppi emergenti. I restauratori avevano aperto le botteghe. Su e giù camminavano studenti universitari e abitanti del centro, era molto difficile muoversi nella calca. I migranti invece erano tutti nel dehors a passare il tempo: discutevano, fumavano e bevevano tè come se nulla fosse. Le abitudini del quartiere e la fiumana della notte bianca erano due universi distinti.
Entra El Kaddouri, ma non gioca bene. In verità tutto il Napoli è in affanno. L’Inter prende un palo, poi un miracolo di Reina salva la vittoria. Tutti escono dalla stanza e rimango solo davanti alla pubblicità in arabo, tiro boccate di fumo in un senso di stordimento. Poi appare di nuovo Zola e mi rassicura. Quando giocava nel Napoli non avevo ancora una coscienza, Boskov è il mio primo ricordo.
Napoli-Roma
Per l’incontro con la Roma sono tornato nel bar marocchino di piazza Borgo Dora. Chiedo una shisha e osservo gli uomini giocare a carte. Una partita si gioca in quattro, ciascuno pesca a turno una carta da un mazzo e ogni tanto ne scarta un’altra, riponendola scoperta sul tavolo. La sfida di campionato mi pare in stallo: la Roma gioca come una squadra di provincia arroccata in difesa, il Napoli non esprime più il gioco di un mese fa.
Il cronista arabo sfoggia sempre lo stesso numero. A ogni azione pericolosa esclama un «ohi, ohi, ohi», con enfasi decrescente. Per due volte Insigne si incunea in area, ma invece di passare tira verso la porta e il pallone si perde in alto. Higuain si sbraccia nervosamente. Nell’intervallo vedo che in studio c’è Altobelli, anche lui è tradotto in simultanea. Siamo almeno in trenta nella stanza, le sorti della partita di carte sembrano molto più coinvolgenti della serie A.
Nel secondo tempo mi concentro sulle geometrie insegnate da Sarri. Koulibaly dà le spalle ai suoi compagni ma la retta immaginaria disegnata dai difensori non si scompone. Il senegalese arretra un poco se il pallone s’avvicina, ma è attento a lasciare l’attaccante della Roma un passo più avanti. Un uomo posa una carta sul tavolo con violenza e s’alza nell’aria un rumore secco – «Oh!», esclama. Osservo le scintille che avanzano sul carboncino, la linea di fuoco procede lentamente fino ad abbracciare il cerchio di brace. Poi seguo con lo sguardo la difesa del Napoli: una linea che sale e scende. Volute di fumo si spandono tra me e il televisore. Provo a concentrarmi sulle forme che oscillano intorno, soffio nuove boccate nella speranza che dalla composizione casuale dei movimenti davanti a me si creino le condizioni propizie per un gol.
Sono gli ultimi minuti ormai. Mertens entra in area, scarta sulla destra e tira forte sul primo palo, il portiere para senza trattenere il pallone. S’avventa El Kaddouri sulla sfera. Resto con il fumo aromatico sospeso in gola. I giocatori di carte spostano lo sguardo sullo schermo, qualcuno si alza in piedi. Nell’aria densa di vapori vedo il tiro del marocchino superare il portiere e finire in porta. Grande urlo di liberazione tra tifosi del Napoli e marocchini, tutti uniti nel nome di Omar El Kaddouri. Per un attimo sento svanire ogni distanza che ci separa.
L’aria fredda della sera è un soffio di lucidità. Cammino lungo via Borgo Dora con le mani in tasca e il cappuccio del giubbotto calato sulla fronte. Quando attraverso il fiume vedo con la coda dell’occhio un ragazzo appoggiato alla ringhiera del ponte. «Ehi amico, tutto bene?», mi domanda. Sì, va tutto bene grazie. «Allora buon Natale, caro».
Qualche giorno dopo le forze dell’ordine hanno organizzato una retata per arrestare gli spacciatori del quartiere. Era già buio e le volanti hanno circondato piazza della Repubblica, i carabinieri sono entrati in alcuni locali ancora aperti, gli agenti perlustravano le strade alla ricerca della droga gettata via. In cielo volteggiava un elicottero e proiettava un occhio di luce sulle strade, i portoni e noi uomini rimasti in strada. (francesco migliaccio)
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