Resta in sospeso il possibile sgombero di Sgarrupato ed Eta Beta, spazi occupati da attivisti e abitanti del quartiere Montesanto e poi trasformati d’accordo con l’amministrazione de Magistris in “centro giovanile” comunale. L’incontro della scorsa settimana tra gli attivisti e gli assessori Lieto e Marciani ha confermato la volontà del Comune di revocare alle due strutture lo status di spazio dedicato ai giovani. Il problema per gli assessori è che quei due centri sono connotati politicamente e che al loro interno si fanno attività rivolte non solo ai giovani (che, per inciso, funzionano meglio delle corrispettive esercitate in altri spazi comunali). L’assessore ai giovani Marciani, pur di scaricare la patata bollente, ha proposto alcune soluzioni improvvisate (addirittura la sede di una Asl) finché non ha aperto alla possibilità di affidare, al gruppo di attivisti che vi agisce, i locali “per uso civico”, affidamento che sposterebbe gli spazi nella sfera di influenza di Laura Lieto, assessora all’urbanistica con delega all’edilizia pubblica e ai beni comuni.
Come si era intuito, il Comune si sta muovendo su due livelli, provando a imbrigliare con vincoli e burocrazia i gruppi che agiscono negli spazi definiti “beni comuni” durante l’era de Magistris. La revoca della concessione allo Sgarrupato ha fatto rumore, trattandosi di un centro riconosciuto e radicato nel quartiere. Grandi manovre però sono in atto anche in altri tipi di strutture, che in passato rientravano nelle pratiche clientelari dell’ex assessore della giunta de Magistris, Alessandra Clemente. Fin dall’inizio, infatti, l’assessore Marciani, fedelissima del governatore De Luca, si è dedicata a ridisegnare la geografia dei centri giovanili comunali secondo le esigenze della propria parte politica. Qualcuno è stato già messo alla porta, come la sartoria sociale e l’associazione di papà di bambini autistici che operavano nel Polifunzionale di Soccavo, mentre con altri è in atto una sottile opera di logoramento attraverso la mancata approvazione, ma senza diniego o revoca, delle domande per i rinnovi delle concessioni. A tutti viene fatto intendere che il proprio destino è appeso a un filo e sarà deciso da un bando pubblico in preparazione da tempo, ma non ancora all’orizzonte.
Sono modalità di gestione che ricalcano quelle che abbiamo denunciato durante i dieci anni dell’amministrazione de Magistris: spazi che potrebbero avere un’importante funzione sociale vengono per lo più lottizzati e concessi agli amici, personali e politici, degli amministratori. Una volta date le concessioni, il Comune se n’è lavato le mani, il che potrebbe anche essere un bene se non fosse che palazzo San Giacomo non è stato capace nemmeno di monitorare chi stesse lavorando e chi no, chi avesse bisogno di un supporto e chi no. Il risultato è lo stato comatoso degli spazi: al Nagioja di Soccavo ci sono numerose associazioni che non comunicano tra loro, né tantomeno con il quartiere; la Casa delle culture e dei giovani è un posto di cui gli abitanti di Pianura non sanno nulla, e dal quale le associazioni più attive sono scappate a gambe levate; l’associazione cui è affidata la Mediateca Santa Sofia è da sempre latitante, tanto che il Comune ha dovuto inviare un impiegato per aprire e chiudere lo spazio, coadiuvato da un paio di ragazzi del servizio civile.
Sulla strategia dell’assessora Lieto, abbiamo già scritto. Di recente ha incontrato i rappresentanti della Rete dei beni comuni, insistendo sulla necessità di una regolamentazione più serrata (ma un regolamento esiste già, si chiama Dichiarazione di uso civico). L’intenzione è di aumentare il controllo su questi luoghi, e il possibile passaggio di Sgarrupato ed Eta Beta nell’ambito delle strutture “a uso civico” si inserisce proprio in questo quadro, nonostante la soddisfazione espressa da gran parte degli attivisti.
Seguendo il mantra della depoliticizzazione (“gli spazi vanno aperti anche a chi non si riconosce in quei collettivi o movimenti”) e della messa a reddito, l’assessora ha fatto approvare lo scorso 14 luglio una delibera per il riconoscimento di un gruppo di lavoro che scriva un nuovo regolamento. A questo gruppo parteciperanno l’ufficio gabinetto del sindaco, la direzione generale e l’avvocatura, oltre a una serie di figure che già lavorano al fianco dell’assessore, tra cui esponenti di associazioni che si occupano di operazioni simili, ricercatori universitari e altre figure ibride, tra cui – ma di questi paradossi abbiamo già parlato – persino attivisti dell’ex Asilo Filangieri, che si districano così su entrambi i fronti della barricata.
Di fronte a questa stretta sul regolamento, nella Rete qualcuno ha già mostrato perplessità. C’è chi, dopo dieci anni di chiacchiere, non vuole più sentir parlare di co-gestione e altre amenità; altri hanno capito che un’ulteriore stretta normativa svuoterebbe l’efficacia di certe pratiche, altri ancora contestano il metodo, che è l’antitesi della partecipazione: lavorare a un obiettivo con soggetti esterni e presunti esperti per poi sottoporre gli esiti ai cittadini, guardandosi bene dal coinvolgerli nell’elaborazione delle proposte. Ora che il Comune sta scoprendo le carte, è sempre più evidente che le trattative e le concertazioni in cui i collettivi hanno perso fin troppo tempo negli anni passati non possono essere riproposte con ulteriori modalità al ribasso e che il riconoscimento delle pratiche di autogestione deve tornare a passare attraverso il conflitto e l’autonomia, l’affinamento delle pratiche e la ricerca di alleanze programmatiche con altri pezzi di città, contestando punto per punto le mosse di questa amministrazione che non fa mistero della direzione intrapresa – svendita ai privati, guerra ai poveri, turistificazione – per disegnare il futuro della città.
Intanto, vanno avanti altri processi. Tra i “beni comuni” della delibera de Magistris ci sono due situazioni particolari, quelle di Scugnizzo Liberato ed ex Opg. Nel primo caso ci sono sette milioni di euro disponibili per una messa in sicurezza dello spazio, stanziati dal Contratto istituzionale di sviluppo – Napoli/Centro Storico. Grazie alla legge sul federalismo demaniale la struttura è stata infatti trasferita a titolo gratuito dallo Stato al Comune, e per la sua “valorizzazione funzionale” sono stati presentati dei progetti dopo un lavoro fatto dagli attivisti insieme ai tecnici comunali (iniziato con la vecchia amministrazione e proseguito con la nuova). Nel caso dell’ex Opg, invece, i finanziamenti per la ristrutturazione dello spazio ammontano a circa sedici milioni.
Il Comune finora si è mostrato inaffidabile nella gestione di questi processi, tanto che quando non c’è stata una spinta da parte delle comunità, non ha ritenuto opportuno procedere in autonomia, perdendo la possibilità di assorbire i beni del demanio. È il caso dell’ex ospedale militare dei Quartieri Spagnoli: nonostante un processo partecipativo nell’ambito del programma Urbact che ha coinvolto la cittadinanza per due anni nell’elaborazione di un piano per la riattivazione del bene, il Comune non ha portato avanti il procedimento per incamerare la struttura e adesso deve restituire allo Stato gli edifici monumentali del complesso chiedendo di mantenere in concessione d’uso gratuito il parco e alcuni edifici di più recente costruzione e minore volumetria.
Nel corso del vertice con la Rete dei beni comuni, l’assessora Lieto ha espresso la volontà di entrare in prima persona nel processo di rifunzionalizzazione di ex Opg e Scugnizzo, e il prossimo incontro è previsto a settembre. Importante, a questo punto, pretendere che gli indirizzi su cui ci si è faticosamente messi d’accordo con i tecnici in questi mesi non vengano rivisti al ribasso e che il modello di coprogettazione venga esteso a tutti gli altri spazi.
Infine, a proposito della questione della privatizzazione dei beni culturali della città, nell’ambito del piano ancor più grave di svendita degli immobili pubblici avviato con il Patto per Napoli, nelle ultime settimane il coordinamento che si oppone alla svendita ha ricevuto dall’amministrazione una serie di obiezioni generiche alle proprie dettagliate rivendicazioni e – ancora una volta – delle richieste di incontro sul modello “dividi et impera”, che sono state rimandate al mittente. Nel frattempo i quotidiani locali battono la grancassa fantasticando sui prossimi investimenti delle multinazionali nei grandi eventi turistico-culturali, sul modello pubblico-privato promosso da Manfredi e persino – proposta lanciata dal Corriere del Mezzogiorno – su un fantomatico “anno della cultura napoletana”, cui hanno aderito gli intellettuali più bolliti e mediatizzati della città, peraltro muti sugli enormi rischi del piano di privatizzazione avviato da Manfredi. Il coordinamento, nato a seguito del lancio di una petizione lo scorso aprile, parteciperà all’assemblea prevista questo pomeriggio alle 17:30 a Palazzo Venezia e lavora a una manifestazione cittadina da organizzare a settembre per provare a estendere ulteriormente il fronte del no alle privatizzazioni. (
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