Dopo aver diffuso nei giorni scorsi un accorato Manifesto, le forze positive della città di Napoli si sono date appuntamento venerdì scorso a Il pozzo e il pendolo, la “galleria del giallo e del mistero” di palazzo Venezia, in piazza San Domenico.
L’atmosfera è intima, nell’attesa che la riunione cominci si sta seduti ai tavolini ascoltando la musica di Debussy suonata da un giovane pianista. Nella Galleria si alternano giovanissimi democratici (ormai trentenni in odore di direzione nazionale) a dinosauri che hanno evitato la glaciazione indossando un foulard. L’iniziativa è promossa dal comitato “per Napoli”, una formazione che non ha esplicite connotazioni politiche ma che si raduna intorno alla figura di Marco Sarracino, ex promettente candidato alle primarie del Pd per le amministrative.
Qualche giorno fa, durante una tribuna politica televisiva, l’ex ministro del Pd Piero Fassino ammoniva un esponente dei Cinque Stelle che faceva alcune previsioni di spesa. «Ma come si fa a dire cosa succederà tra qualche anno? – si chiedeva indispettito Fassino – Concentriamoci sui problemi del presente». Il conflitto tra chi vuole governare il presente e chi vuole invece imporre una visione del futuro esplode anche in Galleria, tra le forze positive della città. Entrati nella sala che ospita il piccolo teatro, di colpo i giovani invecchiano. Sul palco si alternano avvocati, magistrati in pensione, professori e giornalisti. Tra loro anche Cesare Moreno, maestro di strada che ha sottoscritto il manifesto “per Napoli”. Un manifesto che Sarracino ammetterà essere stato ispirato da un editoriale in cui Marco Demarco lodava la manifestazione di Torino dei “Sì Tav”, sperando in un simile moto “di rivolta” da parte della borghesia napoletana.
Il dubbio è che tutto scaturisca da vecchia e lacero-contusa politica che in città ha fallito non una ma dieci volte, e che questa sia l’occasione buona per contarsi un’ultima volta, per dire “siamo tanti, è stata una sfida vinta”, suscitando anche i dubbi dei presenti, che a ben vedere sono trenta, e se le forze positive di una metropoli si contano su otto mani la ritirata è dietro l’angolo. Il sovversivismo delle classi medie auspicato nel manifesto si realizzerà davvero qui, tra questi tavolini da caffè sorretti da libri posticci?
Le forze negative si riuniscono intanto nel sottoscala di una friggitoria in piazza Immacolata. Le proposte su come peggiorare la città sono molto concrete. «La necessità di un comitato come questo – spiega Attilio Mascalzoni, promotore del manifesto “contro Napoli” – è chiara: qui si torna a parlare di sviluppo, gli intellettuali, i corpi intermedi, la borghesia che negli anni Novanta indossava le giacche a quadretti. Ma noi siamo i fautori della decrescita infelice. Noi questo non lo possiamo permettere». Il segretario Furio Camorro elenca i risultati dei primi sei mesi di forze oscure: «Siamo riusciti a chiudere sette librerie nel centro storico, offrendo capitali che quei borghesi possono solo sognare. Ora siamo pronti a lanciare una catena di panzarotti per turisti, le panzarotterie che gli intellettuali temono tanto. Abbiamo, d’accordo con il nostro sindaco, fissato un tavolo tecnico con Ryanair. Da marzo confidiamo di attivare le tratte verso Dubai, Mar Morto, Johannesburg. Entro il 2020 il turismo toccherà le vette del novanta per cento, per ogni residente in città ci sarà un turista. Parallelamente siamo in contatto con gli scafisti bulgari per il ripristino di un sano contrabbando via mare. Abbiamo l’appoggio del primo cittadino che si è detto felice di rendere omaggio in questo modo al sindaco Valenzi. Stiamo costruendo l’ottava linea della metropolitana, senza peraltro aver mai concluso la linea 1. Questa linea parte da Miano e a Miano ritorna, facendo il periplo della metropoli, entrando nei bassi, nelle catacombe, nel cuore molle della città». Si leva un applauso. «Proporrei – insinua timido il noto pluri-pregiudicato Fausto de Trituris – di fare qualche decesso, così, solo per ribadire la nostra brutale volontà di potenza. Le chiavi della città ormai le abbiamo, dico io, ma cosa stiamo aspettando?». «Calmo, calmo, giovanotto – risponde Carlo De Maledetti, multimilionario –. Ma che vogliamo per caso dare ragione ai riformisti in panciotto? Noi qui si sta buonini. Lei è tra noi solo in quanto braccio armato in caso di eventuale scontro. Ma si moderi e lasci fare a noi, che modestamente abbiamo studiato».
Il comitato “per Napoli” si è riversato nel teatro. Sul palco c’è un avvocato, docente di diritto costituzionale, che punta il dito contro il sindaco de Magistris: «Parla di Pulcinella, Inter-Juventus, fa i trenini alle feste degli amici e intanto il Collana sta crollando». Invece il modello deve essere Rudolph Giuliani e la sua teoria delle “finestre rotte”. Possibili soluzioni? «Vendere il porto alla Cina che adesso vuole comprare e sviluppare la città urbanisticamente, perché da Le mani sulla città di Rosi a Napoli non si può toccare una pietra, e francamente è troppo».
Il promotore Marco Sarracino sale sul palco, la telecamera lo segue. Cita Sales, Machiavelli, Macry, Demarco. «Non se ne può più. Io ho ventinove anni», dice. «Ma che ho fatto di male per avere ventinove anni?», immagino stia per dire, disperato. Invece no: «Ho pensato a lungo a una parola per descrivere la situazione attuale. Ne ho scelte due: degrado e declino. Si chiudono librerie e si aprono fast food. E allora ragioniamo, discutiamo per un nuovo riformismo. […] Vogliamo il nuovo. […] E usciamo dalla palude del presentismo».
Nella palude del presentismo sprofonda invece la riunione del comitato “contro Napoli”. Senza fretta il sottoscala della friggitoria si è popolato. Aderiscono al comitato grandi fette (fettoni) di società civile, quella che orgogliosamente ha votato Cinque Stelle solo per far arrabbiare i bacchettoni. «Propongo di cambiare sede per la prossima assemblea», sentenzia Sergio Crivelletti, imprenditore del settore caseario (produce provole affumicate con legno di Ikea recuperato). Mozione inascoltata perché l’intero comitato, pago dei traguardi raggiunti, si è riversato verso il banco buffet per rigenerare le membra.
Sul palco della Galleria di piazza San Domenico sale ora un magistrato in pensione, noto per il suo pamphlet Il processo pretorile nel nuovo processo penale, pubblicato subito dopo la caduta del muro di Berlino. «Nessuno parla più di modernità», insinua il giudice. La voce arriva flebile, il microfono è un altro dei problemi da risolvere. «Il turismo, certo, fiore all’occhiello, ma non è molto rispetto a Venezia. E noi non dobbiamo avere paura dell’innovazione. Si torni a parlare di sviluppo». Un’ultima voce sembra stonare, è quella di un giornalista e sociologo che si chiede se de Magistris sia proprio da buttar via. «Il vero problema è la mancanza della sinistra», spiega il sociologo citando il fumettista americano Trudeau, che aveva immaginato Trump alla Casa Bianca trent’anni prima che succedesse: «Non sono un ornitologo ma se vedo un papero lo riconosco».
Chiudendo lo sportello del suo Suv, Attilio Mascalzoni sorride alla moglie, la signora Dora. «Dal cinese non mi porti mai, caro – sbuffa la donna –. Non ti riconosco più. Da giovane eri pieno di ideali, deciso a fare soldi a palate ma con stile. Ora ti ingozzi con i tuoi amici del comitato, metti in bella mostra la macchina ma non vedi l’ora di goderti i mille canali del tv-color. Insomma, io ho ancora appetiti socialisti, sai? Desidero lo sviluppo, il sol dell’avvenire. Ho sentito dei giovani parlare l’altro giorno, m’hanno messo in testa certe idee che… guarda, lasciami qui. Sì, bravo, accosta. Io e te non siamo più nulla. Volo dal mio bel sarracino». Sul volto fritto di Attilio Mascalzoni scorre una lacrima. (davide schiavon)
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