Nella realtà non esiste il paese di Castelfermo, luogo in cui si sviluppano le vicende narrate da Giovanni Iozzoli nel suo ultimo libro (L’Alfasuin, Sensibili alle Foglie, 13 euro, 127 pagine). Eppure più si va avanti nella lettura e più ci si rende conto non solo di avere a che fare con un territorio reale e tangibile, ma con una storia vera. Siamo nel distretto agroalimentare modenese, la terra del maiale. Una dinastia di prosciuttai, la famiglia Cavedoni, è proprietaria dell’Alfasuin, un’impresa di trasformazione delle carni che per restare competitiva sul mercato deve adeguarsi ai nuovi modelli organizzativi e gestionali, all’imperativo di abbattere i costi esternalizzando il lavoro a cooperative spurie, reclutando manodopera tramite i meccanismi dell’appalto e del subappalto vigenti in Italia – più che un modello un sistema. Una di queste cooperative, la 2A Working, è gestita dai fratelli siciliani Alfio e Antonino, vicini alle cosche catanesi e giunti in Emilia in cerca di affermazione e prestigio nella metà degli anni Novanta. Sotto di loro, una forza lavoro variegata e precaria da cui prende le mosse la vicenda intrecciando rapide scene e dialoghi serrati, toni grotteschi, a tratti ironici e beffardi, riferimenti alla cronaca ed episodi di pura invenzione.
I reparti dello stabilimento Alfasuin vengono fotografati nel momento in cui cambiano pelle, nella transizione da una cultura aziendale a un’altra – dal vecchio Cavedoni ai suoi due figli –, con l’ingresso sul mercato di milioni di consumatori e di nuovi competitori su scala globale. Mentre la competizione passa dal livello d’impresa a quello delle catene di fornitura, questa immaginaria azienda a conduzione familiare risponde rivoluzionando i fattori di produzione, contenendo i costi, introducendo l’automazione, prestando massima attenzione alla logistica e ai flussi di materiali in entrata e in uscita. Tuttavia la catena dello sfruttamento e il sistema illegale che ne garantiscono il corretto funzionamento, camuffati dalle retoriche sull’eccellenza italiana, vengono smascherati da chi decide di rivoltarsi contro una condizione che diventa via via insopportabile.
Attraverso l’artificio letterario Iozzoli ci racconta la genesi del conflitto sociale che ruota intorno a settori produttivi strategici come la logistica e l’agroalimentare. I protagonisti, la maggior parte dei quali privi di qualsivoglia redenzione se si esclude il personaggio tragicomico di Antonino, sono delineati a partire da una conoscenza approfondita delle dinamiche politico-sindacali che li vedono coinvolti, dall’ultimo consulente del lavoro al sindacalista in prima linea, passando per il lavoratore e per l’imprenditore paternalista o sciacallo. Più si entra nelle storie e più l’immaginazione sembra superare la realtà, collocandosi in quello spazio trasparente della verosimiglianza, come nel capitolo che descrive la vicenda dell’estorsione architettata ai danni di un leader sindacale, o come la storia del lavoratore egiziano ispirata alla figura di Abd El Salaam Ahmed El Danf, ucciso a Piacenza il 14 settembre 2016 nel corso di un picchetto fuori ai cancelli del magazzino Gls.
A Iozzoli non interessa la fedeltà alla biografia dei personaggi cui s’ispira la narrazione, ma solo prendere spunto dalla realtà per riposizionarla su un altro piano. L’intermediazione delle cooperative di lavoro è descritta soprattutto attraverso i dialoghi, come quello tra il presidente della A2 Working e il direttore dello stabilimento dell’Alfasuin nel corso della trattativa per l’accaparramento dell’appalto. La narrazione svela tra le righe i meccanismi che quella realtà la determinano: i processi di segmentazione del lavoro, gli inquadramenti contrattuali, i diritti sindacali violati, le condizioni di una manodopera frammentata tra operai a tempo indeterminato, avventizi, stagionali, soci di cooperative.
Il racconto di Iozzoli suscita alcuni interrogativi. La prima questione è relativa ai modi possibili di raccontare il conflitto, la sua genesi, le forme di resistenza, le mobilitazioni. Mentre scrivo è in corso da giorni un’occupazione da parte dei lavoratori della piattaforma logistica di Zara a Reggello, nei pressi di Firenze; a Piacenza nelle piattaforme di Tnt-Fedex e Gls c’è agitazione a causa della volontà da parte delle due multinazionali di sbarazzarsi di trecento lavoratori sindacalizzati. Dentro e fuori ai magazzini, in altri termini, le lotte continuano, al di là degli arresti, le denunce e i decreti sicurezza, mostrando uno scontro in atto ormai da anni, nonostante la perdita presunta o reale di riferimenti politico-sindacali. Questo libro sembra rivolgersi proprio a loro, a quelli che le lotte le portano avanti ottenendo anche dei risultati, affinché possano specchiarsi in quelle parole e riconoscere se stessi in quella narrazione.
Ciò dovrebbe far riflettere chi affronta con la stessa sensibilità tematiche simili ma declinate in forme diverse, rivolte spesso a un gruppo ristretto di destinatari, soprattutto nell’ambito dell’università. Il libro di Iozzoli ha il merito di descrivere con semplicità disarmante certi meccanismi, riuscendo laddove la ricerca accademica spesso fallisce. Allo stesso tempo, proprio la potenzialità della forma di questo racconto svela due limiti: il primo è quello di non raccontare le contraddizioni interne alle lotte in corso da anni – si pensi agli scontri, anche cruenti, tra le organizzazioni sindacali di base –; il secondo è di non entrare troppo nel merito (per ovvie ragioni) di quei meccanismi strutturali che definiscono il contesto entro il quale le lotte si sviluppano. Ed è qui che gli studiosi dovrebbero venire in soccorso. A tal proposito, i conflitti e le tensioni evidenziano la posizione strategica, più volte ribadita, dei lavoratori della logistica, quest’organizzazione capillare come le arterie di un corpo umano che, come disse un sindacalista padovano nel corso di un’intervista, “è il sangue che scorre nelle vene del capitalismo”. Tuttavia, oltre alla necessità di comprendere la genesi delle lotte, viene da chiedersi cosa abbia determinato nei magazzini e nelle piattaforme logistiche il ricorso a un meccanismo di appalti e subappalti che fa leva sul peculiare sistema cooperativo italiano per il reclutamento di manodopera a basso costo. Basterebbe chiedere a qualche impresa di spedizioni internazionali per rendersi conto che in Italia la logistica è “usa e getta”, che nel nostro paese è considerata spesso un costo e non uno strumento di produzione di valore. Questa diversa percezione ha conseguenze a cascata lungo tutta la filiera, fino alla scelta dell’esternalizzazione del servizio da parte delle imprese. Anche da qui derivano fenomeni come la violazione delle condizioni contrattuali, contributive, fiscali, le infiltrazioni criminali, la svalorizzazione del lavoro. Tutto ciò non è stato reso possibile solo grazie alle connivenze del sindacalismo confederale, storicamente legato al mondo delle cooperative, ma anche da una cultura imprenditoriale tutta italiana, che relega quest’attività e il suo lavoro vivo a un mero costo da abbattere.
Il libro di Iozzoli è capace di fornire al lettore un’immagine reale e articolata dello scenario entro il quale si muovono i suoi protagonisti descrivendo la storia dell’industria e del lavoro italiani alla stregua di una “drammatica foto ricordo”. Una storia scritta nella forma più efficace che possa esserci. (andrea bottalico)