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5 Maggio 2017

Il Suq fantasma di Torino. Cammelli, minareti e pubblica decenza

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In pratica a Torino c’è un suq. Frutta esotica, vasi d’argilla, incantatori di serpenti, cammelli, minareti in lontananza…

Un suq, davvero. L’ho letto sul giornale: appare al mattino presto in una nuvola d’incenso e scompare come un miraggio nello smog della sera.
Credo sia colpa di Salgari, o del Duca degli Abruzzi.

Ma la cosa veramente bizzarra è che a Torino, città amante dell’Oriente, nessuno sembra volerlo questo  fantasmatico suq. Ovunque vada c’è l’opinione pubblica che lo attende già, battendo il piede nervosetta: «I serpenti pungono, i cammelli sputano, le odalische offendono la pubblica decenza e i vasi d’argilla sono una porcheria». La pubblica decenza annuisce.

Sul principio il suq faceva finta di niente, incurante e rilassato come un fachiro sul suo letto di chiodi. C’è da dire però che l’opinione pubblica sa farti pesare le cose: ti guarda con aria di biasimo, apre pagine facebook di biasimo, appende striscioni scritti a bomboletta di biasimo…

Probabilmente l’opinione pubblica è cresciuta come me in provincia negli anni Novanta: un evo oscuro dell’umanità durante il quale, nella scuola primaria, non facevano ancora progetti educativi contro il bullismo.

Fatto sta che prima il suq era in piazza della Repubblica, vicino al Balôn, ma l’hanno mandato via. Poi si è piazzato nell’ex scalo Vanchiglia, ma l’hanno mandato via. Allora si è spostato nei paraggi: via Bologna, via Monteverdi… Ma l’hanno mandato via.

Per un po’ sembrava volessero piazzarlo su ponte Mosca, ma figurati l’opinione pubblica quando è venuta a saperlo: «Vanchiglietta e lungo Dora sono zone che vanno riqualificate: vogliamo gli studenti, vogliamo le birrette senza glutine, vogliamo le mamme che fanno jogging… Non i mercati arabi!».

«Ma Salgari…».

«Salgari un fico!».

Ed è qui che entra in campo la giunta che, per mettere tutti d’accordo, sceglie una nuova location: via Carcano, tra parco della Colletta e la Dora. Una zona tranquilla, periferica, poco abitata.

La giunta è diabolicamente scaltra: per evitare il rigetto da parte della solita opinione pubblica, escogita una raffinata strategia di marketing: «D’ora in poi non lo chiameremo più Suq ma Barattolo e diremo che è un libero mercato del riuso dove gli oggetti trovano nuova vita. Vedrete, i quartieri faranno a botte per strapparselo di mano!».

La manifestazione di protesta dell’opinione pubblica è molto viva, considerando che siamo di fianco al cimitero monumentale: ci sono negozianti, genitori del vicino liceo artistico, rappresentanti di circoscrizione. Ma Barattolo si farà, tutto è ormai predisposto.

Domenica 23 aprile è prevista l’inaugurazione del nuovo suq in via Carcano. E io ci sarò!

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Sfortunatamente il mio coinquilino ha ragione. Drammaticamente, ragione. Oggi ne abbiamo 24. Mi sforzo di ricordare cos’ho fatto ieri: vaghe immagini di un ukulele orribilmente scordato e di una vaschetta di plastica con delle fette di salame grigie.

Ma non importa, io volevo fare un reportage sui segni, sulle tracce lasciate dal suq nel suo nuovo quartiere. Andare alla ricerca dei dettagli, dei residui dei residui; pettinare le vie con sguardo vigile e assopito insieme, registrare impressioni estetiche nella pellicola della retina. Insomma, raccogliere indizi del passaggio della grande carovana: orme di cammello, mute di crotalo, cocci levigati dalla sabbia, echi di grida inintelligibili.

Sarà il racconto senza parole, ma per immagini, di un appuntamento mancato: uno sguardo sul palco vuoto, il grande post-sbornia di una festa a cui non sono stato.

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una storia disegnata di simone perazzone

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