
Quanto segue è il racconto in prima persona, spesso plurale, di due compagni del Coordinamento No Green Pass Trieste. Compagni ora nella lotta No Pass, dopo aver condiviso una lunga militanza cominciata negli anni dell’Onda e continuata in autonomia rispetto alle aree nazionali. Questi due articoli (qui la prima parte), frutto di interviste registrate il 25 e 31 ottobre e l’11 novembre scorso, raccontano questa lotta, perché non rimanga un’anomalia. (erasmo sossich)
Com’è nato il Coordinamento No Green Pass Trieste?
Oscar: Quando penso alla nascita del Coordinamento o a fatti precedenti, come le fiaccolate contro il coprifuoco, dove c’erano tante persone che oggi continuiamo a vedere, la prima cosa che mi viene in mente è questo senso di straniamento.
Fin dalle prime manifestazioni, anche quelle lanciate dai ristoratori nel 2020, siamo sempre andati a buttare un occhio… magari ci aspettavamo di andarcene via schifati, ma almeno volevamo parlarne con cognizione di causa. Allo stesso modo siamo andati alle prime iniziative lanciate contro il Green Pass. E in qualche modo abbiamo avuto la sensazione di appartenere a quella piazza. E che la composizione di quella piazza ci appartenesse. Da un lato avevi la sensazione di essere nel posto giusto. Un po’ perché con te c’erano altri compagni, dall’altro lato, lo straniamento. Il totale ribaltamento dei codici: di comportamento, di linguaggio, eccetera. Sono piazze in cui le persone ti sono affini, ma parlano un’altra lingua e si comportano in un’altra maniera. Penso, per esempio, a un presidio antifascista, forse la manifestazione a cui più siamo abituati, quella in cui ritrovi tutti, dove non sarai mai fuori luogo perché sai che le persone condividono, bene o male, le tue posizioni… Qua non è così. Magari ritrovi dei volti noti, persone che sai essere di sinistra, con cui fino a quel momento non avevi condiviso grandi cose. E poi c’è tutto il resto. Di colpo ti trovi nel marasma. E, mollati gli ormeggi, tocca navigare. Tutte le chiacchiere, gli articoli che hai letto fino a quel momento… è tutto in ballo. Da un lato sono i tuoi punti fermi, i tuoi strumenti per navigare, dall’altro ti rendi conto che potrebbero essere una zavorra… E, come sempre, il gruppo è l’unica ancora di salvezza.
Questo per noi ha fatto la differenza. Per quanto pochi, eravamo comunque un gruppetto che veniva dallo stesso giro. Le prime persone che sono entrate in questa cosa ne hanno trascinate altre, fino a diventare un gruppo abbastanza compatto e definito.
Non c’è stato un momento preciso in cui abbiamo deciso di intervenire. Per lungo tempo abbiamo fatto come tanti altri gruppi: abbiamo semplicemente evitato l’argomento, intuendo che fosse divisivo, come poi si è rivelato essere. E quindi è stato lasciato un po’ ai singoli lo spazio per organizzarsi.
Questo è successo per esempio in primavera, quando ci sono state le fiaccolate contro il coprifuoco. Il collettivo di cui faccio parte ha promosso, quest’anno e l’anno scorso, delle piazze nitidamente connotate. Per esempio, la giornata del primo maggio. Ma anche il 5 novembre 2020 avevamo promosso, sull’onda che in quei giorni stava montando, una piazza. Era il periodo di “Io Apro”, e noi abbiamo deciso di promuovere una piazza a sinistra, ma su quegli argomenti là. La risposta è stata tutto sommato partecipata, ma sempre dalle stesse soggettività, non da quelle, ben più numerose, che animavano le piazze lanciate dai ristoratori. Eravamo sempre noi, il famoso giro: esattamente gli stessi che avremmo potuto mobilitare con una chiamata su un qualsiasi argomento.
A un certo punto certi compagni hanno avuto questa intuizione. E questo è dipeso anche da quello che è un po’ il nostro modo di fare: si lascia sempre la libertà ai singoli di organizzarsi, con o senza il cappello del collettivo. Anche l’impostazione del discorso viene lasciata a chi in quel momento ha più energie, e il resto del collettivo, in un certo senso, funge da mano d’opera. Così è nata l’assemblea per la casa, così è nata l’assemblea delle Falische Froce e così è nata l’assemblea contro il Cpr. Tutte da iniziative quasi individuali, quando qualche persona si metteva insieme per dare inizio a questi percorsi.
In questo caso, però, non ha funzionato. Non ha funzionato perché, appunto, le posizioni erano molto diverse. E quando dico diverse, intendo diametralmente opposte. Eppure, qualcuno ha cominciato a promuovere il suo percorso, a titolo praticamente individuale. Io stesso all’inizio non ero molto attento e solo quando mi sono ritrovato a un paio di assemblee, mi sono incuriosito e avvicinato.
La prima iniziativa in questo senso è stata un dibattito su metodo scientifico e ruolo della ricerca organizzato il 6 agosto in occasione del G20 Ricerca Sviluppo e Innovazione che si è tenuto a Trieste. Sono intervenuti compagni da tutta la regione e lì ci siamo un po’ riconosciuti. A posteriori si poteva individuare quel nucleo di compagni e compagne di diverse aree che oggi ritroviamo nel Coordinamento, o comunque nelle piazze No Green Pass. Poi a fine agosto il tema è stato trattato nel dibattito interno al nostro collettivo. Si sono scontrate le posizioni e la discussione non ha avuto nessun esito dal punto di vista organizzativo.
Da lì a pochi giorni, quel gruppetto che si stava ritrovando per conto proprio ha lanciato il primo presidio. Una cosa molto classica: impianto, interventi al microfono, uno striscione con scritto: “No Green Pass, No Apartheid”, in italiano e in sloveno. Uno striscione che è stato molto criticato per averci messo l’apartheid di mezzo… ma uno striscione bilingue. Qualcosa che denota subito un tipo di impostazione. Qualcosa che non può venir fuori da destra, e neanche dal centro. Ed è andata bene, con circa trecento partecipanti. E non dei soliti giri.
Lì abbiamo dato l’appuntamento a San Giusto, e a questa assemblea ci siamo ritrovati circa ottanta persone. Un numero che pone un tema a chi viene dalle assemblee di movimento, un numero che a Trieste si era visto solo nel 2018, quando si era costituito quel vasto fronte antifascista che aveva costruito il corteo contro CasaPound. Nel corso della prima assemblea si è deciso di organizzarsi su Telegram ed è venuto fuori il nome Coordinamento No Green Pass Trieste. Questa assemblea non era stata lanciata “in grande stile”, con eventi Fb o altri canali. La gente era arrivata per passaparola, o perché s’era già avvicinata durante il presidio. La maggior parte aveva saputo dell’assemblea direttamente in piazza, dai microfoni.
Capito che c’erano le forze, il Coordinamento ha lanciato un secondo presidio, con l’idea però di muoversi. E così c’è stato il primo corteo, che ha subito fatto duemila persone. E questo ha aumentato l’entusiasmo. Al corteo dopo eravamo già in diecimila… È stata una cosa rapida, che nell’arco di due settimane è passata da un presidio di trecento persone a un corteo di diecimila.
E così ci siamo ritrovati in un movimento che si evolveva di settimana in settimana. Qualcosa di turbinante, in cui chiaramente il controllo ce l’hai fino a un certo punto… Anche se continui a fare su e giù per la manifestazione, per esplorarla, misurarla, in qualche maniera controllarla, quello che vedi è sempre una frazione di quello che è realmente. Inoltre, la crescita esponenziale delle piazze ha portato a una crescita del numero di compagni in piazza. Anche del nostro collettivo. E alla fine, nei giorni del blocco al porto, tanti sono passati, e solo gli “irriducibili” sono rimasti a casa, anche se c’è comunque la relazione affettiva, e quindi ci si teneva d’occhio a distanza.
Come è evoluta la mobilitazione nelle settimane successive al blocco del Varco 4?
Oscar: Dopo quei giorni si è aperta un po’ una parentesi, orchestrata da Ciccio Puzzer, durata fino a sabato 22 ottobre, quando era previsto l’arrivo di Patuanelli. Quella, a posteriori, è stata la loro definitiva debacle…
Il giorno prima, venerdì, sembrava dovessero arrivare i black bloc da tutta Europa, fuoco e fiamme… e invece niente. Poi sabato, alle 9, è iniziato l’incontro col ministro. Alle 9:39 è finito. C’era gente che aspettava in piazza Unità dalle 8 di mattina, e invece si sono incontrati a San Giovanni. In tanti hanno capito che era una farsa. La bolla è esplosa. Più tardi Puzzer ha fatto uscire questo comunicato: chi c’era, chi non c’era, Patuanelli che si impegna a riportare al consiglio dei ministri… e quindi il rilancio di un’ennesima attesa.
In piazza Unità tutto pian piano è tornato alla normalità. I portuali che tornano a fare i portuali… e quindi vanno in bar a sbronzarsi. Fino a quel momento là, i portuali lontani dai bar rappresentavano una delle cose più strane di quella piazza. Vederli di nuovo al bar a fare caciara, in queste divise gialle fluo, nel loro ambiente naturale, è stato bellissimo. Una settimana dopo c’è stato il corteo di sabato 28 ottobre, che è stata forse la risposta più potente che ci potesse essere…
Era un’enorme incognita.
Dopo la nascita del Comitato 15 ottobre, il Coordinamento No Green Pass ci ha messo un po’ per capire come rispondere. Alla fine l’ha fatto, ha detto che le scelte di Puzzer non erano quelle del Coordinamento. E che non c’era spazio per la mediazione e il dialogo istituzionale. Si lotta per ritirare il Green Pass, c’è poco da mediare.
Puzzer intanto prendeva tempo. A parole sosteneva che il Comitato sarebbe stato presto sciolto, e tutto doveva tornare in seno al Coordinamento. Morale della favola, non solo il Comitato 15 ottobre esiste ancora, ma ha creato un’ulteriore realtà, che si chiama “La gente come noi – Friuli Venezia Giulia”. L’idea è quella di una federazione di coordinamenti su base regionale. Non è difficile immaginare che il passo successivo sarà un coordinamento nazionale…
Il corteo di giovedì 28 ottobre era già stato lanciato, quando Puzzer lunedì 25 lancia un corteo per mercoledì! Sarebbe stata anche una prova di forza… Ma la risposta è stata semplicemente travolgente! Il corteo è stato oceanico e chilometrico, come quelli precedenti. Di nuovo quasi diecimila persone!
Tutta questa parentesi, paradossalmente, ha “scremato” molto anche il Coordinamento No Green Pass. C’è molta più armonia adesso. E anche i messaggi del corteo erano più chiari, sempre più nettamente di classe. Sono stati tagliati fuori i discorsi astrusi, che pure continuano a essere una presenza nel corteo, e durante la manifestazione ci sono stati interventi dalla Val di Susa, dalla Sicilia, dalla Sardegna, con chiari riferimenti alle lotte antimilitariste e contro le grandi opere. Si comincia a dare una connotazione molto chiara.
Toni: Queste piazze sono nate spurie, interclassiste… chiamiamole come vogliano. Ci trovavi il ristoratore in lacrime di fianco ai camerieri che sfrutta e paga in nero. Oggi questa cosa qua tende sempre di più a sparire: da un lato i camerieri e dall’altro la Fipe, l’organizzazione dei pubblici esercenti, Federalberghi, eccetera. Che sul Piccolo sono usciti insieme al sindaco Dipiazza dicendo: “Basta cortei, fateci lavorare”. Gli stessi che piangevano, di “Io Apro” eccetera, adesso dicono: “C’è il Green Pass. Apposto. Non mi rompete i coglioni. Io voglio lavorare”.
Nelle piazze del 2020 la figura dominante era il commerciante, il piccolo imprenditore, il botegher. E queste figure imponevano la propria visione del mondo anche sui lavoratori e le lavoratrici che partecipavano. Le piazze contro il Green Pass invece hanno come figura di riferimento quella del lavoratore e della lavoratrice, a cui si aggiunge la presenza dei commercianti. Di conseguenza, l’ordine del discorso si è ribaltato. E se questa è una valutazione su Trieste, scommettiamo che sia qualcosa che possa essere esteso anche ad altre città.
Come è andato questo corteo del 28 ottobre?
Oscar: Il corteo era partito con alcune contraddizioni che si portava dietro da questa parentesi, per esempio le icone religiose… Sto cazzo di San Michele Arcangelo che appare su piazza Unità con questi quattro cesotti che facevano le processioni in quadrato pregando la Madonna, eccetera… Arrivati in corteo gli è stato detto gentilmente: “Tira giù sto crocefisso”. E San Michele è sparito. È la nostra politica “no bandiere”. C’era un bambino col tricolore. Ammainato anche lui, senza pensarci un secondo.
Il corteo è partito da San Giacomo, come il primo maggio, ma invece di andare verso il salotto buono è sceso verso la periferia, verso Trieste Trasporti, Ponziana, verso le Torri. Nelle zone dove non era mai passato nessun corteo. Sulla via del ritorno è passato per Campi Elisi, per le stesse strade dove il 18 c’era stata la guerriglia urbana e la repressione aveva direttamente colpito il rione.
Tra di noi c’eravamo detti: “Oh, guardate che passare di qua è importante, quando passiamo di qua dall’impianto bisogna far passare dei messaggi di solidarietà alle persone che si sono beccate gli idranti sulle finestre o i lacrimogeni sui portoni, sui balconi”.
Questa roba è stata detta. La risposta? Applausi a scena aperta… C’è una parte del rione che questa cosa l’ha sentita chiara e forte. Da un bar, un barista ha preso le casse, le ha portate in strada e si è messo a ripetere gli slogan del corteo… A una certa in Campo Marzio, ci sono anche i video che girano, la folla era proprio festante. Spezzoni interi di corteo che saltellano urlando: “Chi non salta Mario Draghi è!”. Una dimensione di festa, di lotta, di gioia proprio, che alle nostre processioni spesso manca. Io non l’ho mai visto un corteo antifascista ridere, ballare, scherzare in questa maniera qua; non la situazione fricchettona del tamburello, ma una gioia carica, molto carica. Sembrava una piazza dell’Onda, del periodo a cavallo tra il 2010 e il 2011. Quel tipo di energia là.
E anche per l’esperienza del Varco 4… la similitudine più calzante è proprio quella delle occupazioni studentesche. Devi pensare a tutte le cose belle, a tutte le cose brutte di quelle situazioni là: traslarle su un ponte a cavallo di una ferrovia, all’ingresso di un molo, con persone adulte… Ecco: tu prova a immaginare questa roba qua e avrai una vaga idea di cosa è stato. Tre giorni di assoluto delirio, di follia totale e meravigliosa. Uno spazio dove per tre-quattro giorni migliaia di persone hanno mangiato, bevuto, si sono sbronzate, eccetera e non è girato un euro. Sostanzialmente abolito il denaro. Una condivisione completa, e fatta da persone che non vengono dai nostri ambiti, anzi. Da altri giri, di altre generazioni, o gente che viene fuori dalla curva… I fasci erano quelli messi peggio. In balia delle onde, non ci capivano un cazzo. Molto più persi di noi.
Come è mutato il ruolo dei portuali dopo i giorni del Varco 4?
Oscar: Il momento in cui i portuali hanno fatto il loro primo ingresso in scena, durante le mobilitazioni di settembre, è stata un’altra roba folle, bellissima. Sono partiti, chiaramente, da un bar, e da là hanno marciato compatti, con un gruppetto già folto di persone che li seguivano. E sono arrivati per unirsi al corteo, aprendo fumogeni a ruota e cantando… era arrivata la cavalleria.
Dopo tutta la pressione a cui sono stati sottoposti nei giorni del Varco 4 le cose sono cambiate parecchio. Si erano stufati di questa enorme visibilità e centralità. Fin dal secondo giorno al Varco 4, non volevano essere loro gli apripista, l’avanguardia. Non ci sono riusciti granché, soprattutto a livello di immaginario. Però adesso diversi passi indietro sono stati fatti. E quello che è successo al Varco 4, le manovre di Ciccio Puzzer e non solo, hanno frazionato il loro fronte, un fronte in cui da sempre ci sono delle divisioni.
Al corteo di giovedì 28 i portuali c’erano, ma c’è stato un cambio di rotta. Erano in borghese. Lo stesso Puzzer non era in testa al corteo, non era acclamato… I compagni mi han detto che era in fondo, e sorrideva, ma con il sorriso di una persona che il giorno prima aveva lanciato un corteo che ha fatto duemila persone e il giorno dopo vede di nuovo un corteo cittadino, non più connotato dai portuali, che fa ottomila persone.
In tutto questo abbiamo stretto diverse amicizie in porto. E questa è una cosa da non sottovalutare… Abbiamo costruito relazioni, acquisito conoscenze, anche tecniche, dei nodi produttivi della nostra città. Che ti restano, e comunque un domani torneranno a prendere una valenza. Anche pensando a un percorso prettamente rivendicativo sul lavoro, eccetera. E non parliamo solo di portuali, ma di ferrovieri, sanitari, insegnanti.
Quali sono le prospettive future per la mobilitazione?
Toni: Il 30 ottobre c’è stata questa assemblea a Campo San Giacomo, che ha visto in contemporanea duecento lavoratori di diverse categorie riunirsi in assemblee autorganizzate. La più piccola di cinque persone, quella delle partite Iva, e la più grande di una trentina di persone. Ma c’erano diverse assemblee piuttosto grosse, con una trentina di partecipanti. Tu immagina vedere tre o quattro assemblee in contemporanea di trenta persone, più altre quindici. Tutte assemblee di lavoratori che si stanno organizzando nel loro settore, nei loro luoghi di lavoro, per agire su questa roba qua. Non mi sembra del tutto irrilevante, ecco. E non stavano sicuro discutendo di cosa c’è o non c’è nel vaccino: stavano parlando proprio di lavoro. E queste son cose che, appunto, restano. A noi, ma anche a tutte queste persone. E quindi è sui posti di lavoro che le cose stanno evolvendo in modo più rapido.
Che tipo di rapporto avete con il movimento nel resto del paese? Non con il movimento contro il Green Pass, ma con il movimento politicamente inteso…
Oscar: Come compagni, l’esperienza soggettiva è stata quella dell’isolamento. Lo vogliamo dire chiaro e tondo. Perché noi dei segnali li abbiamo lanciati. A molte persone abbiamo proprio scritto. Qualcuno si è anche premurato di rispondere, di chiedere, e fatte le opportune valutazioni è venuto fuori che “non era il caso”.
Abbiamo visto veramente poca attenzione. Anche di fronte alle nostre esplicite preoccupazioni, per esempio rispetto a venerdì 15 ottobre, quando immaginavamo che ci sarebbe stata una presenza cospicua di fascisti, da fuori non è venuto quasi nessuno. E questo discorso può essere esteso sia a prima che a dopo le giornate del Varco 4. Oltre al messaggino: “Come va, che succede, mi racconti un po’?”, non si è andati. E ad aver scritto e chiamato fuori non siamo stati solo noi. Ti parlo di persone appartenenti a tutte le aree politiche che hanno scelto di farsi coinvolgere in queste mobilitazioni e che hanno provato a contattare i loro amici in giro per l’Italia. La sensazione di isolamento, anche nel momento in cui i media mainstream sono venuti qua, è stata fortissima.
Toni: Capita poi di sentire da compagni più grandi d’età commenti del tipo “ma alla fine tutto sommato i celerini sono stati blandi con voi al Varco 4”, allora ti scappa di dire “dio cane, di che cazzo parli”. Parliamo di persone che di repressione ne hanno vista, ma non per forza devono averla vissuta sulla propria pelle tutta quanta. E ti vengono a dire che idranti, gas, comunque manganellate, sono “inusitata delicatezza”. E sempre questo paragone con “Genova”: “Eh, ma che ne sapete voi della repressione… io l’ho vista la repressione”.
Tant’è che a me è venuto da fare sto paragone: una volta avevamo tutti il nonno partigiano, mo’ abbiamo la generazione di quelli che erano tutti a Genova… Tutti erano in via Tolemaide, tutti erano alla Diaz, a Bolzaneto, eccetera… Certo, una grossa fetta di questa generazione militante italiana era là… però non eravate tutti là!
La cosa strana è che fuori dai social ste persone non le vedi… La maggior parte è ipocondriaca, ha troppa paura di morire o di far morire la gente, o vive altrove. E la maggior parte ste piazze non le ha viste neanche col binocolo. Cioè, uno, letteralmente, ha fatto le foto al corteo, il primo grosso corteo che c’è stato, ad almeno cinquecento metri, per poi andare su Facebook a mettere la fotina e dire: “Eh, io li ho visti, però non mi sono avvicinato, perché non voglio essere scambiato per uno di loro, ho anche paura di contagiarmi, eccetera”. Nel senso… se te ne sei tenuto alla larga ne puoi parlare come uno che avvista, non so, uccelli marini! Che ne sai? Non ti sei avvicinato, di che stai parlando? “Eh, una volta ho visto sbuffare una balena al largo dei bastioni di Orione!”. Ma di che stai parlando?
Parlando di rappresentazioni, qual è il rapporto del Coordinamento con i media?
Oscar: Noi, che veniamo da una certa cultura politica e ci portiamo dietro la nostra diffidenza nei confronti dei giornalisti, ci troviamo qua invece a essere quelli che devono spingere per un minimo di apertura. Chiariamoci: non parliamo di interviste, commenti, ma di inviare comunicati o rettifiche agli articoli e robe del genere.
Anche da parte loro l’atteggiamento è un po’ cambiato. Se all’inizio, per esempio, il TGR chiamava quasi ogni giorno per avere interviste, dichiarazioni o altro materiale, ora che hanno capito com’è la situazione quasi non si fanno più sentire.
Un’altra scelta importante è di non avere portavoce o figure di riferimento univoche. Per esempio, ruotiamo nelle comunicazioni delle manifestazioni alla questura, idem per gli interventi al microfono. E con la stessa sistematicità questo ci ha portato a scansare, per esempio, le televisioni.
L’episodio chiave in questo senso è stato l’intervento di una compagna del Coordinamento al programma di Giletti su La7, nei giorni immediatamente successivi allo sgombero. Il solito salotto in cui la gente si urla addosso commentando l’argomento del giorno… Essendo il tema caldo, hanno contattato il Coordinamento chiedendoci di fare un intervento, e non mi ricordo perché e per come viene valutato di farlo. Nonostante il format, la compagna è riuscita a dire delle cose molto giuste, rivendicando l’unità dei lavoratori vaccinati e non vaccinati e altre cose. I problemi sono cominciati quando ha parlato della cosa più importante, cioè la rivendicazione del blocco del porto. Ha detto: “Abbiamo causato un danno economico rilevante e solo attraverso questo abbiamo avuto modo di farci sentire, e le reazioni successive dimostrano che è stato il modo più efficace”. Immediatamente Giletti l’ha bloccata e le ha chiesto se lei percepisse il reddito di cittadinanza… Questa affermazione è stata poi rigirata da tutti i giornali, fin dalla sera stessa. Le hanno cucito addosso questo personaggio di invasata terrorista che vuole bloccare l’economia… ma non solo. Stava già diventando, dopo solo quindici minuti di televisione, un’altra leader. E questa è la ragione per cui non ci sono volti noti o portavoce del Coordinamento, in questo modo stiamo fuori dalla dinamica mediatica.
Quali sono stati gli ultimi sviluppi nelle piazze triestine?
Oscar: L’evento principale dopo il 28 ottobre è stato il corteo successivo, sabato 6 novembre. Il primo dopo l’offensiva mediatica e istituzionale seguita al corteo del 28. La campagna mediatica e politica contro il movimento si è concretizzata in un’ordinanza del prefetto, anzi un decreto prefettizio, che ha vietato le manifestazioni in piazza Unità fino al 31 dicembre. Subito dopo è arrivata l’ordinanza del sindaco Dipiazza, che è stata anche la sua prima del nuovo mandato. Questa impone il rispetto di distanziamenti, mascherine, eccetera… ma soprattutto prevede che gli organizzatori di qualsiasi manifestazione predispongano una sorta di servizio d’ordine, persone che nell’ordinanza vengono chiamate steward, come allo stadio, e che come allo stadio si prevede siano dotati di un sistema di identificazione, per esempio una pettorina gialla o arancione, in un rapporto di uno a cento manifestanti.
Oltre a ciò, l’ordinanza prevede che questa lista di steward sia poi comunicata alla Questura insieme al preavviso della manifestazione. E di questi bisognerebbe fornire nome, cognome, codice fiscale, residenza e numero di telefono. Ora, se pensi che il corteo più piccolo fa cinquemila persone, vuol dire individuare cinquanta persone. Per un corteo da diecimila, servono cento persone. E quindi questa richiesta, anche volendo, era proprio materialmente irricevibile: dove le trovi cento persone che si prestano a fare questo? Senza nemmeno pensare alle possibili conseguenze poliziesche e giudiziarie… Oltre a ciò, la Questura ne ha approfittato per emanare delle prescrizioni, prevedendo “la rigida osservanza” dell’ordinanza del sindaco, con in più l’obbligo per il servizio d’ordine di mantenersi in “stretta” comunicazione con le forze dell’ordine, “comunicando tempestivamente tutte le condotte illecite”.
Il gioco tortuoso di ordinanze e prescrizioni fa sì che la mancata osservanza da un lato apra a sanzioni amministrative, dall’altro assuma un profilo penale per “manifestazione non autorizzata”, ma anche per l’articolo 650 del Codice penale, ovvero “mancato rispetto delle prescrizioni della autorità”.
In definitiva, l’assemblea ha respinto queste richieste… Non è stato allestito nessun servizio d’ordine. Si è detto: “Il corteo si autotutela, verrà comunicato di indossare le mascherine e di pensare a chi si ha vicino, fine”. E come prevedibile, pare sia già scattato un procedimento per manifestazione non autorizzata a carico della compagna che in questo caso aveva fatto la comunicazione alla Questura… Inoltre, fin dalla sera prima, avevano disposto posti di blocco nei principali punti di accesso alla città dall’Italia, a Opicina e sulla costiera, come avevano fatto nella settimana del Varco 4… In sostanza, intorno alla giornata di sabato 6 è stato creato un clima di guerra.
Com’è andata la giornata?
Oscar: Si trattava anche del primo corteo regionale contro il Green Pass, con la partecipazione organizzata delle componenti di Udine, Pordenone, Gorizia e altri centri della Bisiacaria. Una giornata intorno alla quale si erano create diverse attese e che ha finito per essere un po’ surreale…
Fin dalla mattina ci siamo trovati in un’enorme scenografia distopica, con queste barriere di cemento e grate metalliche, gli stessi jersey usati per sigillare il Varco 4, che hanno letteralmente tagliato le rive della città, blindandone il centro.
La giornata è iniziata con l’arrivo di una nave da crociera, come tutti i sabati dalla chiusura dello scalo veneziano ad agosto, e con l’arrivo dei turisti sbarcati in quest’area a metà strada tra la Zona Rossa e il safari culturale, il cui accesso era interdetto ai residenti ma non ai turisti paganti. Va detto che i varchi di quest’area sono stati chiusi solo poco prima della manifestazione, verso le 15, da una calca di poliziotti e mezzi blindati.
Alla fine il corteo si è fatto senza troppi problemi. La solita fiumana, senza spezzoni inquadrati. C’erano però diverse presenze di lavoratori organizzati per categoria, ferrovieri, autoferrotranvieri, tassisti, un po’ di tutto… comunali, regionali, docenti, sanitari con il loro striscione; e questa volta diversi gruppi di sanitari sono stati particolarmente disposti a mostrarsi, nonostante sia di solito la categoria che ha più reticenza, per ovvi motivi…
C’era anche un gruppo di portuali, ma senza striscioni. Li riconoscevi però, perché alcuni comunque indossano la solita divisa sgargiante, perché fanno i soliti immancabili cori… Erano una trentina e hanno deciso di stare in piazza in un certo modo, smarcandosi dalla prima linea. Adesso che finalmente non sono più sotto i riflettori, li ho visti anche più sereni delle ultime volte.
Non c’era Puzzer, che era fuori Trieste, ma una piccola rappresentanza, tipo dieci persone, del suo nuovo movimento, “La gente come noi”, con uno striscione. Per il resto non è che sia successo molto di diverso dal solito, se non che a margine abbiamo litigato con una signora ultracattolica che continuava a tenere alta la sua croce, nonostante glielo avessero detto in quattro. Alla fine le abbiamo detto che il corteo non partiva finché non tirava giù la croce e si è rassegnata.
Il corteo si è concluso in piazza Oberdan verso le 18. Lì si è fermato il furgone, e con molta tranquillità, pure in anticipo sull’orario previsto, si è detto: “Il corteo finisce qua, la manifestazione è sciolta”.
A quel punto, chi l’avrebbe detto, in molti si sono diretti verso piazza Unità per manifestare il proprio dissenso. In Questura si sono molto arrabbiati… ma cosa speravano che succedesse? La gente fa quello che vuole fare. Se poi gli dici che non ci devono andare perché sono brutti, sporchi e cattivi, è molto facile che le venga di dirti vaffanculo, e che venga a dirtelo in faccia in Municipio, in piazza Unità. La maggioranza comunque alla fine è restata in piazza Oberdan o ha continuato a stazionare nelle strade lì vicino, bloccando il traffico… per poi pian piano rincasare o andare a farsi un giro.
In definitiva, grazie alle prescrizioni sono riusciti a imporre l’orario e il percorso che volevano loro, ben lontano da piazza Unità e da piazza della Borsa, ma poi è stato solo con le barriere che sono riusciti a impedire alla gente di arrivare dove voleva. Barriere che però hanno creato le condizioni per le cariche in piazza della Borsa, dove la gente ha contestato la polizia che vietava l’accesso a piazza Unità.
Ci saranno stati almeno cento poliziotti a presidiare l’ingresso in piazza, e dall’altra parte quattrocento manifestanti. La tensione era alta, ma non è successo quasi niente. Qualche spintone, qualche manganellata. Alla fine, quando in molti ormai si erano allontanati, è stata la Digos a colpire… non a casaccio, ma individuando chi volevano loro. Non gente del Coordinamento, di cui in quel momento non era rimasto più nessuno, ma alcuni dei volti più noti della protesta. E chi di noi era rimasto in zona lo ha fatto più per tenere d’occhio la situazione, non potendoci più fidare in alcun modo dell’informazione.
Come ha reagito il movimento a queste nuove misure e limitazioni?
La partita sta cominciando a farsi un po’ difficile dopo la stretta sui cortei, ormai a livello nazionale. Una misura ambigua, che evita di vietare del tutto le manifestazioni e lascia la massima discrezionalità alle autorità locali, limitando la collocazione geografica. Cortei lontani dal centro, zone rosse temporanee, forma statica… È prevedibile che in futuro aumenteranno le manifestazioni non autorizzate. Ed è interessante che in questo “popolo” No Green Pass c’è come una specie di incoscienza rispetto a questo. Soprattutto tra i boomer… I più preoccupati da queste misure siamo noi, che magari veniamo da componenti organizzate. Invece queste persone, con una naturalezza quasi sconvolgente, ti dicono: “Si fa lo stesso. È illegale, ma si fa lo stesso. Perché è giusto”. C’è una disponibilità a perseverare che è un dato nuovo ed è una delle cose che rende questo movimento qualcosa di reale, diverso dalle manifestazioni un po’ liturgiche a cui siamo abituati…
La forma dei cortei rischia di andare a esaurirsi. Questo va detto chiaramente. Siamo a un mese dall’entrata in vigore del Green Pass e il numero di resistenti duri e puri si va assottigliando. Io stesso lunedì sono tornato a lavorare, per banali ragioni economiche… In tanti stanno cominciando a erodere i loro magri risparmi. E bisognerà vedere cosa succederà. Secondo me in tanti finiranno nel lavoro nero… vedremo.
Il moltiplicarsi di iniziative di lotta più tradizionali contro il governo Draghi, come le manifestazioni a Napoli e a Livorno, la piazza di Firenze autoconvocata dai lavoratori, o il No Draghi Day lanciato da Usb e altri sindacati di base per il 4 dicembre, possono essere una cosa interessante. Bisogna vedere come evolveranno. E ancora una volta, se i compagni staranno fuori da questi percorsi lanciati dai lavoratori sarà facile che questi percorsi prendano strade che ai compagni non piacciono. Però, tant’è… (fine seconda parte – a cura di erasmo sossich)