Quanto segue è il racconto in prima persona, spesso plurale, di due compagni del Coordinamento No Green Pass Trieste. Compagni ora nella lotta No Pass, dopo aver condiviso una lunga militanza cominciata negli anni dell’Onda e continuata in autonomia rispetto alle aree nazionali. Questi due articoli, frutto di interviste registrate il 25 e 31 ottobre e l’11 novembre scorso, raccontano questa lotta, perché non rimanga un’anomalia. (erasmo sossich)
Allora, cominciamo il racconto dall’evento che ha avuto maggiore risonanza, lo sgombero del Varco 4 del porto di Trieste avvenuto lunedì 18 ottobre.
Toni: Mobilitazioni come quelle di settembre e ottobre a Trieste non si erano mai viste, eppure anche qui erano passate inizialmente inosservate. Il 15 ottobre, quando il Green Pass sarebbe diventato obbligatorio anche per andare a lavorare, si stava avvicinando. Se i media locali avevano cominciato a prendere sul serio la cosa, a livello istituzionale non c’era stata nessuna apertura. Serviva un salto di livello.
E così che è nata l’idea di bloccare il porto. I portuali hanno creato il pretesto e hanno assunto il ruolo guida. Innanzitutto per motivi pratici, nel senso che i loro spezzoni nei cortei cittadini diventavano sempre più forti e influenti, e poi per il ruolo che hanno assunto dal punto di vista mediatico.
Già da prima del 15 qualcosa però ha iniziato a trasformarsi. Un po’ perché i portuali e Puzzer, che era il loro leader, sono stati in qualche modo mitizzati dall’intero paese e dagli stessi media, un po’ perché le pressioni a cui erano sottoposti diventavano sempre più forti. Sia da parte dell’Autorità Portuale, nella persona del presidente D’Agostino, che da parte degli organi di polizia. E così il blocco, lanciato per il 15 come un’occupazione a oltranza del Varco 4, alla sua vigilia si era già trasformato in uno sciopero della categoria dei lavoratori portuali, affiancato da un presidio permanente fuori dai cancelli. E questo presidio già dal primo giorno ha assunto una dimensione di massa, con migliaia di persone fuori dal varco che hanno reso inutilizzabile un’intera sezione del porto. Anche se delle aziende hanno continuato a lavorare, dietro di noi le gru erano ferme e non scaricavano, le navi non attraccavano.
Passati i giorni del week-end, durante i quali le attività sono sempre ridotte, il lunedì, il giorno di ripresa delle attività, è avvenuto lo sgombero.
Uno sgombero molto violento, inedito per la realtà triestina. Nel senso che non è stato un teatrino. Non è stata la rappresentazione di un conflitto. È stata una presenza massiccia fuori dal Varco 4 che ha cercato in tutti i modi di resistere allo sgombero della polizia, che ha innaffiato con gli idranti per una buona mezz’ora e poi è passata agli scudi e ai manganelli, infine ai lacrimogeni. Solo nell’arco di circa tre ore sono riusciti a sgomberare questo varco, da un numero di persone che man mano aumentava.
Liberato il varco la giornata è diventata estremamente caotica. Alcuni gruppi hanno continuato a resistere alle cariche e al lancio di lacrimogeni intorno al porto, bloccandolo di fatto, e quindi creando lunghissime code di camion fino a Valmaura. Per chi conosce Trieste: dai Campi Elisi fino a Valmaura e all’uscita della tangenziale c’era una coda lunghissima… Poi c’è stata un’accelerazione improvvisa. La maggior parte degli sgomberati si è mossa in un corteo selvaggio di migliaia di persone ed è arrivata in piazza Unità: qui è avvenuto un altro colpo di scena… che in realtà ci aspettavamo.
Stefano Puzzer, insieme all’entourage che nel frattempo si era creato intorno a lui, ha blindato la mobilitazione. Ha creato un comitato ad hoc, chiamato Comitato 15 ottobre, scavalcando il Coordinamento cittadino No Green Pass. E quindi ha assunto il ruolo di interlocutore: prima col prefetto e poi con la delegazione del governo, che qualche giorno dopo si è presentata a Trieste nella figura di Patuanelli, ministro dell’agricoltura, per aprire una trattativa tra i manifestanti e il governo.
Cos’è successo nei giorni successivi?
Dopo lo sgombero i giornali sono tornati a raccontare gli eventi secondo gli schemi canonici dell’informazione che copre queste piazze, definendole un po’ NoVax e molto folkloristiche, ignorando un contesto molto più ampio che in una prima fase avevano raccontato, seppure in maniera ingenua, cioè una mobilitazione di massa che metteva insieme lavoratori e lavoratrici di questa città contro la misura del Green Pass. E poi a fare due conti ci si poteva accorgere che tutte quelle persone scese in piazza non erano solo NoVax e sicuramente non erano solo persone non vaccinate.
Già dal 15 e sempre più nel corso dei giorni, a causa della mediatizzazione di questa lotta, tante persone da fuori si sono avvicinate al porto di Trieste, vedendo in esso il fronte più avanzato della mobilitazione contro il Green Pass. Ci siamo ritrovati così l’ingombrante presenza di un sacco di gente da fuori, una presenza che modificava la stessa composizione della piazza triestina.
Durante quei giorni di attesa, dopo lo sgombero del porto, si è creato un presidio permanente in piazza Unità. Parliamo di migliaia di persone, arrivate soprattutto dal Nord Est. Il grosso erano friulani, ma anche i veneti e i trentini erano centinaia. Poi, in misura minore, lombardi, emiliani, piemontesi e liguri, e anche parecchi toscani. E tra questi non erano pochi gli invasati ultracattolici e altri sbandati… che nel frattempo avevano raggiunto Trieste da tutta Italia senza alcuna organizzazione alle spalle, magari portandosi dietro solo uno zaino.
In quei giorni il Coordinamento, che era stato un po’ l’anima delle mobilitazioni, è riuscito solo in parte a far sentire la sua voce in piazza, mettendo un impianto e facendo le comunicazioni rispetto ai contenuti che aveva sempre assunto: cioè non vaccinati e vaccinati insieme; nessuna discriminazione sul luogo di lavoro, eccetera. Contenuti che erano stati un po’ oscurati dalle preghiere e dalle invocazioni alla Madonna e altre cazzate che nel frattempo abbondavano … e su cui i media avevano ricamato a modo loro. La ricerca minuziosa di ogni stronzata, di ogni elemento sopra le righe, di ogni persona con idee più o meno deliranti, è stata metodica, organizzata, scientifica. È vero anche che delle cose ci sono sfuggite di mano… per esempio il martedì l’Unione veneta dei coordinamenti contro il Green Pass, ha messo su un palco e ha fatto intervenire chiunque: preti, gente che recitava rosari, chitarristi che si inventavano canzoni contro il Green Pass. È diventata una pagliacciata enorme. Però le piazze triestine non possono essere ridotte a questo.
E mentre la gente interveniva al microfono in piazza Unità, dietro c’erano queste colonne di mezzi della polizia che si muovevano per Trieste, anche dieci camionette in fila che andavano a fare i cambi turno nei luoghi ritenuti sensibili.
E questo è da sottolineare: l’elemento del controllo di polizia e l’elemento mediatico-carnevalesco hanno collaborato nel sopprimere la forza, l’energia che si erano concentrati qui a Trieste. I media non se n’erano neanche accorti fin quando non abbiamo fatto il corteo da diecimila persone, il 25 settembre. Quando poi sono subentrati, queste sono state le conseguenze.
Tornando all’occupazione permanente di piazza Unità, nei fatti la piazza era già stata disinnescata lunedì 18, quando Puzzer, uscito dalla Prefettura, aveva creato questa aspettativa per un grande corteo il venerdì successivo, che avrebbe fatto un po’ da preludio all’incontro col ministro mostrando che la piazza era ancora calda.
Nel corso sella settimana però è cresciuta, soprattutto dal punto di vista mediatico, la paura delle infiltrazioni e dei black bloc, previsti su Trieste per le giornate di venerdì e sabato. È cresciuta ed è stata fatta crescere dallo stesso Puzzer, che il giovedì ha mandato questo video in cui diceva sostanzialmente: “Abbiamo prove certe di infiltrazioni che avverranno tra venerdì e sabato e di conseguenza annulliamo le manifestazioni previste”.
Una paura alimentata dalla stessa polizia, che a partire da giovedì ha organizzato un sistema di controllo in ingresso, anche questo del tutto inedito. Hanno posizionato dispositivi di sicurezza in tutti i principali punti di accesso alla città. Trieste è circondata dall’altopiano e le strade che la connettono all’altopiano si contano su una mano: il bivio ad H, il quadrivio di Opicina, la strada costiera, erano tutte presidiate, giorno e notte. Hanno fatto mille e cinquecento controlli tra giovedì e venerdì e hanno eseguito dodici fogli di via. Per me questo è un punto dirimente… dodici fogli di via per semplice appartenenza politica sulla base di segnalazioni della Digos. Di questi dodici, due erano compagne anarchiche trentine, gli altri dieci erano elementi dell’estrema destra, di cui otto appartenenti a CasaPound.
Poi giovedì sera Puzzer ha fatto girare questo video che diceva chiaramente: state a casa. E lanciava messaggi fuori Trieste dicendo: “Non venite a Trieste. Verrò io da voi”. E da qui si apre un altro discorso sul fatto che Puzzer stia costruendo qualcosa…
In realtà, venerdì e sabato tutto si è concluso con delle presenze in piazza molto sparute. Le giornate si sono risolte in un nulla di fatto, anche se sabato un qualche migliaio di persone si è radunato in piazza Unità per andare ad ascoltare i risultati dell’incontro di Puzzer e compagnia col ministro Patuanelli.
A posteriori, non è difficile immaginare che il Comitato di Puzzer sia nato per “pompierare”, per diventare un interlocutore con la Prefettura e per gestire l’arrivo di manifestanti a Trieste nelle giornate successive allo sgombero. Li hanno gestiti. Li hanno resi assolutamente innocui. Li hanno resi in alcuni casi un fenomeno da baraccone. Per una precisa volontà di calmare una forza che si stava scatenando, in una città in fondo piccola come Trieste che forse non era pronta a diventare il fronte più avanzato di una lotta popolare, non era abituata ad avere manifestazioni così ampie… Questa operazione è perfettamente riuscita.
Nella narrazione offerta dai media Stefano Puzzer è emerso come il protagonista di quei giorni. Quali sono le sue prospettive come leader della protesta?
Oscar: Puzzer sicuramente non è una persona stupida. Come diceva Sergio Bologna, bisogna riconoscergli un enorme fiuto nel “capire l’aria che tira tra la gente”. Molta della sua popolarità dipende dal fatto di essere un portuale, ed essere un portuale, qui a Trieste, ha un significato particolare. Trieste è il suo porto. E lo è da secoli. Per molti, essere un portuale significa incarnare la città stessa… immaginati poi dopo queste settimane.
Quando i portuali hanno cominciato ad assumere un ruolo più importante, da leader dei portuali Puzzer è diventato qualcos’altro. E grazie ai media ha assunto un ruolo talmente forte, talmente potente, che una sua parola, un suo discorso, poteva mobilitare e smobilitare le piazze a piacimento. Leaderismo puro. Personalismo puro.
Quando l’abbiamo messo di fronte all’evidenza che il suo entourage fosse composto anche da fascisti, per lo più di area CasaPound, ha detto più volte: “Ma guarda, sono disponibile a fare cento passi indietro”. Pronto a fare passi indietro, pronto a sciogliere il Comitato 15 ottobre per tenere unito il fronte, ma nel frattempo va avanti per la sua strada e non molla un cazzo… Non è facile decifrare quale sarà il suo percorso. È l’ennesimo ruffiano che cerca di ingraziarsi il popolo per costruirsi una sua piccola gloria? È un cerchiobottista. O, per ricorrere al dialetto triestino, un po’ misciamerda, che dice tante cose, che cerca di tenere buoni tutti e intanto porta avanti la sua linea.
E i fascisti? Che ruolo hanno avuto?
Oscar: Qua a Trieste i fascisti, intesi come forza politica organizzata, quindi CasaPound e le vecchie ruggini di Forza Nuova, non hanno nessuna internità nel movimento. Si sono semplicemente presentati in piazza. Al massimo potevano contare su legami personali, sviluppati per esempio in ambienti come la curva dello stadio. Ma non hanno fatto nessun passo avanti… un po’ perché a loro stessi è mancata l’intelligenza e la capacità di parlare con queste piazze, un po’ perché la nostra presenza, sia in testa ai cortei che in generale, li ha frenati.
Perché non è solo il grado di confidenza che abbiano con questo o quel personaggio o la nostra partecipazione al Coordinamento, ma significa anche supporto logistico, presenza costante. Banalmente, in alcune giornate, come sabato 16, quello che era il “bar” del Varco 4 era sempre gestito da compagni e compagne… e se noi due siamo dello stesso collettivo, per compagni intendiamo ovviamente qualcosa di più ampio.
In tutto questo il 15 CasaPound si è presentata al Varco 4, ma solo per fare una foto e un video patetico per dire: “Siamo qua anche noi e nessuno ci caccia”.
Toni: Su questo aggiungo alcuni elementi. In piazza i militanti di Forza Nuova sono stati presenti in alcuni scontri che si sono verificati in zona Campi Elisi dopo lo sgombero del porto. Ma senza nessuna intelligenza. Carne da macello che cercava un innalzamento del conflitto. CasaPound invece ha avuto un ruolo un po’ diverso. Era presente anche con gente da fuori in forze abbastanza organizzate e siamo stati costretti a tenerli d’occhio continuamente. Poi però abbiamo notato un progressivo smarcamento, una loro presenza sempre più marginale. E invece abbiamo notato un loro emergere da un punto di vista di intelligence e di infiltrazione ben più pericoloso.
Abbiamo ricostruito un po’ il ruolo del sindacato Fisi. Un sindacato molto attivo negli scioperi contro il Green Pass e su cui abbiamo elementi certi di infiltrazione di CasaPound. Abbiamo notato la presenza di Dario Giacomini, che dopo lo sgombero è entrato direttamente nel Comitato 15 ottobre. E Giacomini, esponente di spicco dell’associazione ContiamoCi, un’associazione abbastanza riconosciuta tra i sanitari contro la vaccinazione obbligatoria, è stato candidato con CasaPound nel 2013 alle elezioni politiche. È un dottore di Vicenza e ha assunto un ruolo preponderante all’interno del Comitato. Quindi non è nelle piazze che si gioca la partita di CasaPound. È gente in giacca e cravatta che si infiltra nei gangli della protesta: i sindacati, i coordinamenti e altre strutture di questo tipo. Un’infiltrazione assolutamente più pericolosa e sottile.
Rispetto al sindacato Fisi, a Trieste non è presente. Esiste un sindacato nazionale, che è stato l’unico a proclamare le prime cinque giornate di sciopero e poi le successive dieci rispetto all’introduzione del Green Pass sui luoghi di lavoro. Lo stesso Coordinamento ha rilanciato la possibilità di usufruire della copertura offerta dallo sciopero. E questo perché nel Coordinamento le anime sono plurali e non abbiamo potuto evitare Fisi per quei lavoratori che avrebbero voluto usufruirne. Chiaramente è un sindacato che si espande con la pandemia, ma quanto sia infiltrato, quanto sia un’operazione di CasaPound è tutto da chiarire: non abbiamo una risposta.
Qual è stato il ruolo degli altri sindacati nelle mobilitazioni?
Toni: Se siamo stati costretti a citare nel nostro volantino la Fisi è perché le organizzazioni sindacali si stanno rifiutando di dare copertura agli scioperi e alle mobilitazioni di lavoratori e lavoratrici rispetto alla questione del Green Pass… anche se in parte sono state costrette a seguire l’onda delle mobilitazioni, almeno qui a Trieste.
Per esempio, la Rsu Fiom dell’azienda Flex è stata costretta dai suoi lavoratori, per una particolare sensibilità del delegato, a proclamare uno sciopero aziendale nella giornata di venerdì 15 ottobre. Per il resto non abbiamo avuto alcun tipo di copertura sindacale, se non l’11 ottobre, per lo sciopero generale indetto dai sindacati di base molto tempo prima, su questioni che esulavano dal Green Pass, che solo in un secondo momento è stato inserito all’interno della piattaforma.
Quindi il rilancio dello sciopero Fisi è un errore che imputare al Coordinamento è estremamente parziale. Se avessimo degli alleati, come sta accadendo adesso a Genova, con l’Usb e il Calp, il Collettivo autonomo lavoratori portuali, che per due giorni hanno dichiarato lo sciopero al porto di Genova contro il Green Pass, non sarebbe andata così.
Non abbiamo un cazzo di sindacato, anche di base, che dia copertura a queste mobilitazioni. Ed è un errore di valutazione gravissimo, clamoroso. Hanno tutti i quadri, tutte le basi mobilitate contro il Green Pass e si rifiutano di prenderne atto. Hanno remato contro mentre i loro quadri, dirigenti e delegati all’interno del Comune, dei servizi educativi, delle fabbriche, si muovevano per difendere e tutelare i lavoratori iscritti. E anche l’11 ottobre, qui a Trieste, la stessa piazza dei sindacati di base è stata chiaramente contaminata. Nel senso che una buona parte delle persone erano là per dire: “No Green Pass!”.
Oscar: Intanto dopo lo sgombero del Varco 4 il Clpt, il Coordinamento lavoratori portuali Trieste, si è smarcato dalle mobilitazioni, e Puzzer si è dimesso dai ruoli direttivi nel sindacato. Si sono smarcati dicendo: “Va bene, non volevamo arrivare a questo punto, non volevamo assumere questo ruolo all’interno del movimento. Noi continuiamo a fare le nostre lotte perché i colleghi non vaccinati non debbano pagare i tamponi, per poter lavorare senza discriminazioni, eccetera…”.
Toni: Hanno fatto uscire un comunicato molto chiaro: punto primo, non partecipiamo più a nessun coordinamento, assemblea. Siamo fuori da tutto, anche se continuiamo a partecipare alla mobilitazione. Punto secondo: noi continuiamo la battaglia No Green Pass in porto. L’hanno anche ribadito in piazza. La loro intenzione è quella di ridurre il protagonismo dei portuali, soprattutto a livello mediatico. Sono comunque un soggetto corporativo, hanno messo il naso fuori dal porto e si sono scottati, mettiamola così. Adesso dicono: “Estendere la responsabilità a tutti i lavoratori”, perché non possono farsi carico di tutti, continuare a stare sulla ribalta su cui li ha portati Puzzer ancora prima del blocco. Se al corteo dell’11 ottobre c’era molto entusiasmo, una settimana dopo si sono resi conto che essere i primi della fila non era sempre una figata…
Ma non ci sono solo i portuali. Diverse altre categorie di lavoratori si sono organizzate grazie al lavoro del Coordinamento nel corso dell’ultimo mese e mezzo. Parliamo di una realtà che ha spinto le mobilitazioni di massa e che è frequentata nelle sue assemblee da un centinaio di persone, e qui non si vedeva un’assemblea con tante persone attive per mesi da tempo immemore. Una realtà mista, non perimetrata, in scambio continuo, osmotico con l’esterno. Si inseriscono elementi, escono elementi… E in questa realtà abbiamo una presenza riconosciuta.
Come si è mosso il Coordinamento No Green Pass Trieste durante la fase più intensa delle mobilitazioni?
Toni: Allora, comincio col dirti come si sta muovendo adesso. Dopo il 18 il Coordinamento ha messo una serie di punti fermi, tra i quali l’allontanamento di figure estranee alla realtà triestina all’interno del Comitato 15 ottobre. L’abbiamo scritto e dichiarato pubblicamente: Giacomini e Perga, che sono questi due elementi calati da fuori, li vogliamo fuori dal cazzo. Non sappiamo però come si evolverà la situazione, perché il Comitato 15 ottobre è stato un po’ il timone mediatico delle ultime mobilitazioni.
Oscar: Nel periodo tra venerdì 15 e domenica 24 ottobre, abbiamo fatto una o due assemblee al giorno, a volte anche di più. Sembrava di essere durante l’occupazione delle scuole, quando si facevano assemblee una dopo l’altra in un solo giorno, come durante le occupazioni studentesche che abbiamo vissuto prima di Occupy Trieste, dieci anni fa. Ma anche al Varco 4 ho visto scene che mi hanno ricordato molto l’esperienza, per noi adolescenziale, delle occupazioni studentesche del 2010-11. Solo che adesso abbiamo trent’anni… e siamo tra i più giovani.
Toni: Ci sono stati quarantenni, cinquantenni e sessantenni in assemblea permanente per dieci giorni. E da un mese e mezzo si ritrovano per organizzare le mobilitazioni. Per questo continuiamo a ribadire la natura di massa del Coordinamento: non è un’assemblea cittadina di compagni. C’è gente di ogni tipo. Si modificano comportamenti nostri, comportamenti loro, sulla base del portato di ciascuno. Un processo sorprendente, perché è la prima volta che ci troviamo in una reale mobilitazione di massa, e non è una massa facile, è una massa innervata da decenni di pensiero neoliberista di destra. Gente che noi, alle mobilitazioni in difesa di Linea d’Ombra, che accoglie i migranti della Rotta Balcanica, avremmo trovato dall’altra parte.
Questo è l’elemento sorprendente. Stiamo trovando persone con cui non avremmo mai comunicato in vita nostra, ma c’è anche tanta gente del nostro giro: c’è una sinistra sociale che non era assolutamente rappresentata dalle sue organizzazioni e che si è trovata completamente spaesata. E non sempre passa la nostra linea… Nella maggior parte dei casi passano soluzioni di compromesso, però sticazzi. È una realtà in cui ci piace intervenire, nonostante la stanchezza e le rotture di coglioni. Le persone ci riconoscono un ruolo, sapendo bene chi siamo. Oppure i portuali che ci chiamano tout court “gli autonomi”.
Così arriviamo all’esperienza soggettiva… In questo ultimo mese e mezzo abbiamo visto tutto nascere e crescere, abbiamo capito che in tanti casi è solo la nostra paura a impedirci di intervenire in queste situazioni, la paura di non avere più nulla a che fare con queste persone. Una paura ingiustificata.
Dovremmo starci a prescindere da tutto, anche solo per portare qualche persona dalla nostra parte. Ce lo siamo detti l’altro giorno, nel momento di massimo scoramento rispetto a quello che stava accadendo. Il Comitato 15 ottobre, la Digos, i neofascisti… Ci siamo guardati negli occhi: “Beh, perlomeno abbiamo conosciuto dei portuali compagni che sono dalla nostra parte”. Ma non è solo questo. La cosa continua a evolvere, continuiamo ad avere un sacco di contatti con gente nuova, con cui continuiamo a fare esperienza politica, in un processo che probabilmente modifica più loro che noi, che tutto sommato siamo anche abituati a situazioni del genere…
Oscar: Detta in maniera meno elegante, tutte queste piazze, questi movimenti, hanno aperto il ventre della classe operaia e dentro si è visto che non era tutto rose e fiori, anzi… era pieno di merda. E tanta gente di questa cosa qua era un po’ stupita.
Toni: E mentre succedono queste scene qua la Cgil, dopo quello che è successo a Roma, manda dei suoi delegati a dormire in Camera del lavoro a Trieste… Con rispetto parlando, perché chiaramente credono di essere in pericolo, chi è stato in strada qua si rende conto dello sprezzo del ridicolo raggiunto da queste persone. Fa ridere che un cigiellino di Trieste dorma in Camera del lavoro perché convinto che lo assaliranno… ma chi ti caga, vecchio? Hanno blindato la Cgil con quattro camionette, convinti che la Cgil di Trieste fosse in qualche maniera un obiettivo… E tutto questo mentre per la prima volta c’è una reale contaminazione, non proprio tra avanguardie operaie, però tra militanti e componenti operaie.
Le manifestazioni più importanti del movimento contro il Green Pass hanno avuto luogo durante le stesse settimane delle elezioni amministrative… che tipo di impatto ha avuto questo movimento sulle istituzioni cittadine?
Oscar: Rispetto alle elezioni, l’unico impatto è stato quello del movimento sulle elezioni, e non viceversa. Dopo il primo turno, il 3-4 ottobre, per due settimane a Trieste non si è parlato del ballottaggio Russo–Dipiazza… ma della marea montante, delle schegge impazzite, del blocco del porto. Poi il blocco del porto è coinciso con il week-end del ballottaggio, e Russo, il candidato del Pd che tutti, da quando si è candidato, sapevano essere perdente, a momenti diventava sindaco! Il retrivo, ignorante, fascista movimento No Green Pass a momenti faceva vincere il Pd…
Questa trasformazione politica e culturale che radici ha?
Toni: Il movimento No Green Pass si è enormemente incattivito, anche con quelli che erano i governanti locali: Fedriga [presidente Friuli, Lega] e Dipiazza [sindaco Trieste, Forza Italia] in primis… E questo per come è stata gestita l’emergenza sanitaria prima, e la questione del Green Pass poi. Per esempio, la Brandi, che era assessore all’educazione, ha emanato un’ordinanza rispetto all’accesso negli asili e nelle scuole comunali di Trieste. Chi era senza Green Pass non poteva prelevare o lasciare i propri figli all’interno degli asili nido e delle scuole materne! Certe cose hanno pesato enormemente… La gente, gente di destra, ha iniziato a chiamare traditori Fedriga e Dipiazza. C’era chi giurava la morte all’assessore Brandi perché queste misure colpivano la possibilità del proprio figlio di andare a scuola.
Te lo dico da genitore: è stato qualcosa di estremamente pesante. Cioè, io per portare mia figlia a scuola devo esibirti un Green Pass? E quella stessa bambina di dieci anni, che indossa la mascherina durante tutte le ore di lezione, è costretta a dei turni infami per andare in mensa a mangiare con i propri compagni… e la ricreazione è costretta a passarsela in classe? E questo perché, dopo due anni dall’inizio della pandemia, non hanno ancora trovato degli spazi adeguati per la ricreazione. Ste cose pesano, eh… capisco che poi si arrivi al discorso “giù le mani dai bambini”. Ste cose la gente le sta capendo e probabilmente sono le questioni che dovremmo essere in grado di generalizzare e che non siamo ancora stati in grado di fare. Ma sono l’elemento fondamentale. Questi mentre ci impongono il Green Pass non stanno facendo nulla… nulla per riorganizzare la vita delle persone, compresi i bambini, all’interno della società che vive una pandemia.
Oscar: E la questione del lavoro non è molto diversa. Perché non colpisce solo te, colpisce tutta la tua famiglia, i tuoi figli, i tuoi genitori. Una cosa mi aveva colpito molto, quando sulla falsariga del coro “giù le mani dai bambini” a una certa i cortei hanno cominciato a dire “giù le mani dal lavoro”. E continuo a interrogarmi, e a interrogare i compagni più critici, che magari alle mobilitazioni non partecipano. Quando mai un corteo della Cgil, con questa determinazione, ha cantato: “Giù le mani dal lavoro”? Non certo un coro che rilancia una posizione di avanguardia, anzi. Ma la rabbia di quel corteo! Così massiccio, così vivo! Questo è l’elemento fondamentale: la dinamicità, l’energia, la vitalità che trasmettono queste situazioni
Toni: Il discorso base dei portuali è stato: “Guardate che noi per un anno e mezzo abbiamo lavorato in mezzo a questa pandemia senza alcun tipo di tutela o di protocollo sanitario. E ora pretendete che un mio collega non vaccinato non entri all’interno del luogo di lavoro, perché all’improvviso vi preoccupate della mia salute? Quando noi al lavoro, ogni giorno, rischiamo l’incidente, rischiamo la morte?”. Se questo discorso si generalizza diventa molto più ampio della questione vaccinazione si o no…
Oscar: Te lo dico come persona che da due anni a questa parte è inquadrata come operaio, e che si è fatta non una, ma due ondate pandemiche in supermercato, quindi lavoratore essenziale senza se e senza ma… Io me li sono salvati i coupon della mia azienda, della mia multinazionale, che mi scriveva, a marzo, ad aprile: “Meno male che ci siete! Tò! Piglia cento euro in più!”.
Quando Puzzer dice: “Ci davano una mascherina a settimana”, qua c’è un compagno che era in prima linea e te lo conferma… Quando dice queste robe qua Puzzer parla direttamente al cuore della classe operaia. Perché eravamo davvero una marea… io non ho salvato nessuno, però non mi sono mai fermato, come tanti altri. Ed ero un operaio alimentarista, ma loro cazzo erano portuali! Saranno ancora più incazzati, e come tanti altri giustamente si saranno chiesti: “Ma perché io non sto a casa?”
Perché pare che tutte ste cose siano state dimenticate. Cioè sono un anno e mezzo, quasi due, che ci pigliano per il culo, e la salute di qua, la salute di là. Il Green Pass è la declinazione attuale dei dettami di Confindustria: che se nel 2020 diceva “siete tutti indispensabili”, mentre adesso, per garantire la continuità del processo produttivo, dice “estensione del Green Pass a tutti i lavoratori”. E quando Puzzer dice: “Io ad aprile 2020 lavoravo comunque, e nessuno sanificava la mia gru”, parla a tutti quanti noi! Perché a me nessuno sanificava niente, nessuno mi dava le dannate mascherine.
Toni: Al Green Pass si sta opponendo il rifiuto di massa dell’imposizione delle misure sanitarie. E l’idea che deve essere il lavoratore a decidere i criteri e le modalità con cui la propria salute viene tutelata. Se questo discorso si generalizza è dirompente. Se passa la versione NoVax, secondo la quale rifiutiamo il vaccino perché è sperimentale e tutto sommato un po’ dannoso, fondamentalmente vince un’altra parte. Questo è il momento in cui noi diciamo: esserci! Esserci all’interno delle mobilitazioni di massa per generalizzare questi contenuti e fargliela pagare. (fine prima parte / seconda parte / a cura di erasmo sossich)