Si sono presentati ieri mattina, nell’aula 115 del tribunale di Napoli in piazza Cenni, Giosuè Del Vecchio e Antonio Sarno, per rispondere ad alcune domande del giudice Ludovica Mancini riguardo l’uccisione, il 5 settembre del 2014, del sedicenne Davide Bifolco, per mano del loro collega Giovanni Macchiarolo.
Sarno e Del Vecchio erano al Rione Traiano quella notte, inseguendo il motorino su cui si trovava Davide assieme ad altri due amici, e avendo scambiato il ragazzo per il ricercato Arturo Equabile. Le dichiarazioni rilasciate dai carabinieri in sede di indagine, tuttavia, non erano state ritenute soddisfacenti dal magistrato per prendere una decisione, tanto che – accettando una istanza presentata dall’avvocato della famiglia Bifolco, che punta a mettere in discussione l’involontarietà dell’omicidio teorizzata invece dal pm Persico – lo stesso giudice aveva chiesto di risentire i due agenti, unitamente al consulente balistico, che verrà ascoltato il prossimo marzo. Per la prima volta, così, gli attori di quella sventurata notte compaiono in tribunale (anche se l’udienza è chiusa al pubblico, giornalisti compresi) davanti a un magistrato.
Del Vecchio ha quarantacinque anni, ma ne dimostra almeno una cinquantina. Corpulento, con pochi capelli, indossa una felpa sportiva marrone. Davanti alle domande della dottoressa Mancini e dell’avvocato Anselmo (pur avendone facoltà, il pm sceglierà di non intervenire mai nella discussione), appare piuttosto in difficoltà. Spesso, quando incalzato dal giudice, l’appuntato si volta istintivamente in direzione dell’avvocato dell’imputato, e solo successivamente a domanda risponde. In alcuni momenti, anzi, lo stesso magistrato è costretto a richiamarlo a una maggiore precisione, davanti a risposte confuse e discordanti rispetto alle precedenti audizioni, del tipo: «Oggi ricordo così!».
Alla fine della sua lunga deposizione, durata circa due ore, le questioni rilevanti sono le seguenti: Del Vecchio dice di vedere, subito dopo lo sparo che ha ucciso Davide, il suo collega Macchiarolo in posizione eretta, lasciando alcuni dubbi rispetto alla caduta in cui quest’ultimo sostiene di essere incappato; Del Vecchio non ricorda se la sua pattuglia, quella sera, avesse una o due radioline in dotazione, e di conseguenza non è in grado di stabilire se Macchiarolo, dopo aver colpito Davide, abbia chiamato l’ambulanza dal luogo dello sparo o abbia dovuto farlo (dopo quanto tempo?) una volta rientrato nell’autovettura; Del Vecchio, in un video fornito dall’avvocato della parte civile, chiede l’intervento di due colleghi, nell’inseguimento a piedi di Vincenzo Ambrosio, che crede essere Equabile (sebbene fino a poco prima abbia riconosciuto Equabile in Davide Bifolco). Ora, Del Vecchio individua in uno di quei due agenti il maresciallo Sarno, che invece, subito dopo, dirà di non riconoscersi. È lecito a questo punto chiedersi chi siano questi due altri carabinieri presenti, una domanda che rimarrà però senza risposta.
Antonio Sarno viene ascoltato intorno alle 13,00. Alto e robusto, mostra tutta la sicurezza che il grado di maresciallo gli impone. È assai più preciso di Del Vecchio, e raramente cade in contraddizione con se stesso e con i suoi colleghi. Ha un atteggiamento spigoloso, e risponde in maniera infastidita ad alcune obiezioni che l’avvocato Anselmo gli pone. Tuttavia, le sue risposte, così come quelle di Del Vecchio, non sono sufficienti a chiarire i punti più ambigui delle loro deposizioni iniziali.
Del Vecchio, per esempio, dice di non essersi accorto del corpo di Davide a terra al momento dello sparo. Anzi, sostiene di aver pensato che fosse stato uno dei ragazzi a sparare al suo collega Macchiarolo, e di essersi tranquillizzato dopo aver visto quest’ultimo in piedi. Una tranquillità tale da lasciargli proseguire l’inseguimento di Ambrosio, lasciando Macchiarolo in balia di uomini che lo stesso Del Vecchio crede essere armati, senza accorrere in suo aiuto. Il maresciallo Sarno, dal canto suo, non fornisce chiarimenti efficaci sulle modifiche della scena del delitto, a cominciare dalla sparizione dal luogo del delitto del bossolo, che dice di non essersi mai preoccupato di cercare, essendo di lì a poco cominciato un parapiglia, una volta accortasi la gente del Rione dell’uccisione di Davide. Poco chiaro rimane anche l’episodio del ritrovamento, a due ore dal fatto e a pochi metri dal luogo del delitto, di una pistola giocattolo, che gli agenti avevano segnalato durante l’inseguimento in motorino nelle mani dei ragazzi, ma che non ha sull’impugnatura alcuna delle loro impronte, se non, anzi, quella dello stesso maresciallo Sarno.
Intorno alle tre l’udienza termina. Il processo riprenderà a marzo. I parenti e gli amici di Davide, rimasti per cinque ore in attesa nei corridoi del tribunale, sfollano, lasciando spazio per intervenire ad alcuni operai della ditta Romeo, allertati fin dalla mattina di un piccolo lago artificiale formatosi all’esterno dell’aula. Il problema da risolvere è quello di una grossa infiltrazione nella parete principale, e di un tubo che, pure lui, fa acqua da tutte le parti. (riccardo rosa)