Quest’anno il primo maggio dei movimenti inizia nella stessa piazza di quello dei sindacati confederali, davanti al pronto soccorso dell’ospedale Loreto Mare, dove Cgil, Cisl e Uil hanno convocato una manifestazione dalle dieci di mattina per parlare di “diritto alla salute e lotta alla corruzione”. Poco dopo le 11, quando un gruppo di ragazzi dell’Ex-Opg “Je So pazzo” arriva per contestarli, la manifestazione volge già al termine. Rimane aperto solo lo striscione del Comitato dei lavoratori interinali della Campania.
«Siamo circa mille e duecento precari in tutta la regione – spiega Dario, che ne fa parte – e lavoriamo in tutte le strutture ospedaliere. Ci sono interi reparti che si basano e riescono a garantire l’assistenza grazie a noi». Anche se hanno partecipato alla manifestazione, gli interinali sono completamente dissociati dal sindacato. «Essendo assunti dalle agenzie, che fanno un contratto di tipo privatistico, non possiamo farne parte. Però cerchiamo di farci notare perché non vogliamo essere trattati come lavoratori di serie B. Garantiamo i livelli assistenziali alle strutture sanitarie da quindici anni e anche di più», conclude sottolineando che sul lavoro lui e i suoi colleghi hanno molte meno garanzie di chi viene assunto direttamente dalle aziende ospedaliere. Nel frattempo, i ragazzi dell’Ex-Opg si sono vestiti da fantasmi per denunciare la condizione “invisibile” di chi lavora a nero, senza diritti. Al megafono, circondati da qualche poliziotto, leggono le testimonianze raccolte dal loro Sportello legale del lavoro. Lo slogan è: «Non esisto, ma ci sono».
Non esiste, ma c’è, Ludovica, che studia filosofia e ha lavorato a nero in un locale del centro dove «non si sapeva cosa fosse la mancanza di clientela». Dopo alcuni mesi è stata licenziata, senza preavviso e senza motivo. «I turni andavano da un minimo di sette a un massimo di dieci ore lavorative, la paga base era di venticinque euro. Il resto erano mance, e molte volte ci venivano anche sottratte, se non c’era molta attenzione da parte nostra». Ludovica non ha ancora capito perché da un giorno all’altro l’abbiano sostituita: «Forse perché non apprezzavo le battute viscide dei miei datori di lavoro, tra cui un padre sessantenne, oppure perché un giorno in cui avevo finito di preparare tutto, anziché fare zapping, come era nostra abitudine per passare il tempo, ho sfogliato un libro… Forse il mio atteggiamento non è stato ritenuto consono al luogo di lavoro».
Dopo il blitz dai sindacati, i “fantasmi”, circa una sessantina, sfilano per le vie del centro, suscitando l’attenzione di turisti e passanti. Nel corteo c’è anche Rossella, trentasei anni, che ha dovuto abbandonare la sua attività da tour operator («Troppe tasse, volendo fare tutto in regola non ce la facevamo») e ora si barcamena tra diversi lavori, tutti a nero. Rispetto alla recente ondata di turismo che ha travolto Napoli «non c’è un ritorno sulla cittadinanza – dice – e lo vediamo, per esempio, con le associazioni che fanno lavorare le guide per sei o sette ore senza un contratto, facendo firmare carte in cui si dichiara di essere volontari, per poi ricevere, a nero, venti euro al giorno, in una città dove di turismo si parla tanto come “elemento di svolta”, capace di portare lavoro. Ma deve essere un lavoro reale, dignitoso e con diritti».
Lavora a nero anche Nicole, studentessa di giurisprudenza che nel week-end fa la cameriera. Partecipa al corteo indetto nel pomeriggio a Bagnoli dall’assemblea Bagnoli Libera, di cui fa parte. La manifestazione è la settima che si tiene nel quartiere flegreo per il primo maggio. L’appuntamento è stato lanciato con un’ampia piattaforma di rivendicazioni, che vanno dall’antimilitarismo alla precarietà, dai diritti sociali e ambientali all’antirazzismo fino alla lotta a privatizzazioni e speculazioni. Quando parte, intorno alle 16, dalla stazione della Cumana di Agnano, il corteo è abbastanza nutrito: circa mille persone attraversano le strade semivuote della zona, inneggiando alla rivoluzione del proletariato, suonando la tammorra o accendendo qualche fumogeno e un po’ di petardi. Si sfila fin dentro l’ex base Nato, sotto gli occhi annoiati di una manciata di poliziotti che presidiano l’ingresso.
Riuscire a entrare «non era scontato, perché in questi anni questo spazio è sempre stato chiuso», dice Eduardo di Bagnoli Libera durante l’assemblea che si tiene all’interno della struttura. Dal microfono si parla del decreto Minniti e delle nuove spese militari annunciate dal governo Gentiloni, ma anche della vertenza Alitalia e delle lotte dei lavoratori della logistica, della repressione subita dai disoccupati di Giugliano e della protesta contro i box interrati al Vomero. Tra la folla spuntano anche il sindaco de Magistris e l’assessore Clemente.
Uno degli interventi più chiari è quello di alcuni esponenti del movimento “7 novembre”, che raccoglie i disoccupati dell’area flegrea. Secondo loro, quest’ultima «può ripartire solo con un piano per il lavoro utile, stabile e sicuro, tramite il coinvolgimento di giovani e disoccupati, che vanno formati per lavorare alla bonifica e alla realizzazione del parco e della spiaggia, alla loro gestione così come a quella dei tanti servizi e spazi sociali che potrebbero essere messi a disposizione dei cittadini».
A oggi, in ogni caso, gli unici che hanno trovato lavoro nella zona della ex base da quando gli americani sono partiti, sono i pochi impiegati nelle attività private che hanno aperto qui: un campo da rugby e un pub, oltre a una piscina-discoteca poi chiusa a causa di una gestione poco limpida. «Il piano elaborato dall’assemblea di quartiere per gestire la zona senza affidamenti diretti è rimasto sulla carta», spiega Luca. «La Fondazione (Fondazione per l’infanzia Banco di Napoli, proprietaria dei suoli, ndr) non ha voluto negoziare, giustificandosi con il fatto che dovevano mettere a reddito la struttura».
Sono le sette di sera, la giornata dei movimenti finisce in una metropolitana affollata e diretta a Montesanto. Da lì, qualcuno si unirà ai Terroni Uniti che hanno organizzato il concerto a piazza Dante, altri stanno già pensando al lavoro che li aspetta il giorno dopo e, forse, soprattutto, a quello che non li aspetta. (giulia beat)