Terre riemerse dalla decima glaciazione, regione afro-mediterranea, anno 2812. Lo scienziato prende appunti dettando a un microfono inserito nel suo casco: “Il paesaggio di questa città, che senz’altro fu una grande metropoli, è sconvolgente. Qui certamente il cambiamento climatico fu avvertito prima che altrove. Il drastico aumento della temperatura nei primi decenni del terzo millennio deve essere stato sorprendente e drammatico. I luoghi furono abbandonati in pochi giorni”.
Bagnolifutura, la società creata per risanare l’area dell’ex Italsider, non ha causato alcun disastro ambientale. Lo stabilisce la Corte di appello di Napoli ribaltando il giudizio di primo grado e assolvendo gli imputatati con una formula che non lascia dubbi: il fatto non sussiste. In pratica il Tribunale, dopo quindici anni dall’apertura del fascicolo per disastro ambientale e a otto anni dall’inizio del processo, riscrive l’ultimo ventennio di Bagnoli. (antonio di costanzo, repubblica napoli, 5 aprile).
Dieci anni fa, la bonifica – almeno sulla carta – era cosa fatta. Esisteva porta del Parco, la cittadella dello sport, il turtle point, le aiuole e una “spa”, al punto tale che l’area avrebbe dovuto ospitare la prima edizione della America’s cup, che venne invece dirottata tra le scogliere a baffo di Mergellina. (leandro del gaudio, il mattino, 5 aprile).
La realtà è che il vero disastro non quantificabile è quello degli anni perduti e sono ben quattordici e non si recupereranno mai quasi tre lustri di puro immobilismo. In altri siti dove c’erano le acciaierie sono già alla terza trasformazione urbana, a Bagnoli tutto è fermo al 30 ottobre 1990 quando venne spenta “l’area a caldo del centro siderurgico”, nella sostanza l’ultimo altoforno. Ma Bagnoli resta un paradosso, perché in questo girone infernale delle occasioni perdute qualcosa è stato fatto, ma è andato perduto assieme ai sogni di rilancio nel 2012 quando la magistratura sequestra i suoli per un processo che sappiamo come è andato a finire (luigi roano, il mattino, 6 aprile).
«Noi abbiamo realizzato il Parco dello sport, l’area fu sequestrata quando i lavori erano completati al 95%. Una struttura pubblica e immediatamente accessibile da due quartieri, Cavalleggeri e Bagnoli. Anche la Porta del Parco è stata completata, collaudata e inaugurata. L’auditorium progettato da Silvio D’Ascia e il più grande centro wellness della provincia, rappresentavano due attrattori turistici. Il parcheggio di seicento posti auto, a venti metri dalla stazione della Cumana di Agnano e cinquanta dalla facoltà di Ingegneria, non è mai stato aperto perché la magistratura ha sequestrato il cantiere della strada che ne consentiva l’accesso. L’acquario delle Tartarughe Marine: struttura completata e in attesa del collaudo, già riceveva richieste di visita da tutta Europa. Oggi è semplicemente devastato. I Napoli Studios per potenziare le produzioni audiovisive made in Campania: i lavori erano avviati. Il centro per il nuoto e la scherma: il progetto era stato approvato». (luigi roano intervista mario hubler, il mattino, 6 aprile).
“L’innalzamento del livello dei mari ha senza dubbio costretto gli amministratori a ripensare la promenade di quella che un tempo era una splendida cittadina mediterranea. La fase regressiva sta ora scoprendo territori che sembrano stati abbandonati ieri. Una vasta piazza desolante, una gru ancora in piedi, i simboli di un ripensamento urbanistico fuori tempo massimo”.
Dopo ben ventidue anni di slalom tra i cantieri e di viabilità provvisoria, piazza Municipio si svela alla città. Ecco la mega passeggiata che digrada verso il mare, il porto, la Stazione Marittima, immaginata e progettata da Alvaro Siza, uno dei più grandi architetti contemporanei, alle prese con la metropolitana più “archeologica” della città e d’Europa. […] Il presidente di Metropolitana Cascetta lo racconta con emozione: «Ricordo ventidue anni fa, nel punto in cui siamo adesso, camminavamo sul fondo del mare del porto romano. Ricordo le ancore delle barche, le lanterne, le navi affondate, è incredibile pensare che oggi siamo su una piazza ristrutturata, con una metro che funziona, finalmente, dopo tanti lavori e tanti soldi spesi». (tiziana cozzi, repubblica napoli, 6 aprile).
«Ho chiesto al sindaco di intervenire personalmente per mettere in atto azioni straordinarie di riqualificazione di quella che è diventata oggi piazza Municipio. Sono trascorsi ben venti anni, da quando tale meravigliosa piazza è stata interessata da questa opera infrastrutturale, fondamentale per il trasporto pubblico locale, pur essendo, piazza Municipio, storicamente, la porta d’ingresso dal mare della nostra città. Ebbene, dopo tanti anni di lavoro e dopo i tanti milioni di euro spesi, sinceramente non mi aspettavo di restituire ai napoletani questa piazza, in questo modo. Adesso è una landa desolata». A parlare così non è il cittadino qualunque al quale può piacere o no come stia venendo piazza Municipio, ma il presidente della commissione Mobilità e Infrastrutture Nino Simeone. (paolo cuozzo, corriere del mezzogiorno, 7 aprile).
A fotografare in modo perfetto la situazione, il meme pubblicato sul gruppo Facebook “Democratici oltre”, che paragona l’aspetto della piazza a quello di una pista d’atterraggio. “Ci sono voluti vent’anni per produrre questa piazza. L’ho percorsa a piedi salita e discesa: niente, nessuna emozione, duecento metri di tristezza”, ha commentato un utente su Facebook. (lorenzo ruben rampa, corriere del mezzogiorno, 7 aprile).
“E qui si notano alcuni elementi che, col senno di poi, possono essere definiti grossolani errori concettuali, che hanno probabilmente condannato un’intera popolazione prima del tempo”.
La nuova piazza Municipio ha creato polemiche e critiche in città. Massimo Pica Ciamarra, architetto apprezzato in tutto il mondo, che ha segnato il volto di Napoli con le sue opere, ha voluto ribaltare la discussione di questi giorni, lanciando un appello non su ciò che è stato sbagliato ma sulle idee da metter in campo poter risolvere i problemi. Cosa ne pensa della “nuova piazza Municipio”? «Il progetto è intelligente, c’è un’ottima impostazione, che poi però non è stata realizzata e questo perché manca un occhio affettuoso e attento. L’architettura richiede presenza e quando invece viene accantonato o strumentalmente utilizzato il progettista, ci ritroviamo questi guai. Credo che attraversare quegli spazi assolati, con quella pietra grigia che credo sia dell’Etna, perché il Vesuvio “lavora” poco, sia una follia. Una pavimentazione riscaldante che diventa infuocata per Napoli è proprio una pazzia». Come mai ci troviamo dopo venti anni con una piazza che è una pazzia? «Partiamo dal fatto che non possiamo mettere in discussione il valore di un architetto come Álvaro Siza: non commetterebbe mai errori così superficiali. Le dico, l’ho sentito in questi giorni ed è notevolmente incavolato e scocciato della situazione che si è creata». E allora qual è il punto? «Il problema è che qui da noi c’è l’usanza di dare incarichi di consulenza alle archistar. Poi però fanno tutto gli uffici tecnici». (claudio mazzone intervista l’architetto pica ciamarra, corriere del mezzogiorno, 8 aprile).
“L’impetuosità del mare ha trovato gioco facile in questa città. Camminando tra le rovine si ha la sensazione di rivivere quelle scene apocalittiche”.
È sembrato un film. Strade e incroci bloccati da quattro Tir per impedire l’arrivo di “curiosi”, mentre una enorme scavatrice con una benna larga cinque metri buttava giù come castelli di sabbia i muri della banca. E poi il braccio dell’escavatore che, dopo aver sradicato dal pavimento due maxi casseforti, le ha sollevate come fuscelli per depositarle sull’ampio cassone del camion parcheggiato lì davanti. Il colpo della vita per otto banditi, caos e rumore alle stelle nella notte, decine di persone sicuramente svegliate di soprassalto e rimaste impietrite alle finestre davanti a uno spettacolo impensabile, talmente impietrite che nessuno, da quella zona densamente abitata, ha pensato di telefonare alle forze dell’ordine. Un colpo di fatto riuscito. (marco di caterino, il mattino, 6 aprile).
“Ci sono voluti centinaia di anni e una nuova glaciazione per recuperare vita e biodiversità. Ora la natura sta ripopolando questi luoghi, ed è ipotizzabile che l’uomo possa tornarci presto. Si vedono già alcuni animali”.
Arrivano fino al sagrato della chiesa, sporcano e occupano spazi. Capre, mucche e finanche tori minacciano il santuario della Madonna della Libera a Castellammare. L’allarme è del neo rettore padre Vincenzo Ronga, che mal digerisce la convivenza tra i luoghi del Signore e gli animali che scendono dal Faito e ha pensato così di chiudere a tutti l’accesso. (fiorangela d’amora, il mattino, 7 aprile).
“Un’ultima nota: la rapida inondazione ha avuto l’effetto di cristallizzare uno stato del verde urbano pietoso. Questo disinteresse amministrativo ha avuto effetti sul lungo periodo ed è stato certamente tra i fattori che hanno accelerato la catastrofe. Mi chiedo a chi sia stata affidata una gestione così delicata”.
Non più fannulloni, non più privilegiati, non più assistiti, da ieri trecentocinquanta dei circa centomila percettori napoletani del Reddito di cittadinanza stanno “studiando” da giardinieri per essere poi smistati, dalla settimana prossima, tra le dieci Municipalità e l’apposito hub di Soccavo che da anni sono disperatamente a secco di personale, con evidenti e più volte lamentate ricadute sulla cura del verde e sul decoro della città. Da una parte casse vuote e turnover impossibili, dall’altra un fiume di persone mediamente giovani e presumibilmente in forze che intascano ogni mese un sussidio in cambio di niente (o meglio, a minima compensazione di un reddito da lavoro che non si trova, che non c’è, ma con il tempo lo spirito originario del provvedimento si è parecchio scolorito): rivolgersi a loro per tamponare l’emergenza è dunque molto più di un uovo di Colombo, è una misura di buon senso, una buona pratica non a caso da tempo raccomandata e incentivata dall’Anci, l’associazione dei Comuni italiani, ben pochi dei quali se la passano tanto bene da poterne fare a meno. […] Non venga in mente a nessuno, a Napoli come altrove, che un po’ di ore a rotazione possano sostituire il lavoro a tempo pieno e ben pianificato, nonché adeguatamente retribuito, di giardinieri, o manutentori, o bibliotecari. E non ci si abitui a considerare “normale” un lavoro senza tutele. Non lo faccia l’ente pubblico, ma neanche il “percettore”: perché anche se adesso sorride all’idea di potersi sentire utile, di “guadagnare” quei soldi invece di vederseli arrivare senza muovere un dito, finché avrà in mano le cesoie per non più di due ore al giorno rimarrà, purtroppo, solamente un disoccupato. (marilicia salvia, il mattino, 6 aprile).
a cura di davide schiavon