La visita lampo del primo ministro Renzi a Bagnoli ha suscitato un’ondata di ottimismo, e in certi casi di entusiasmo, che a ben guardare non poggia su alcun dato concreto. Nel suo breve soggiorno napoletano Renzi ha firmato un documento, già predisposto da tempo, in cui si concede l’ennesimo finanziamento pubblico a Città della Scienza: più di quaranta milioni per ricostruire i padiglioni bruciati nell’incendio del marzo 2013, sulle cui responsabilità il buio resta completo.
A parte questo, non si registrano atti ufficiali sulle bonifiche, né sul modo in cui verrà organizzato il governo dell’area dopo il fallimento della società Bagnoli Futura; e naturalmente nessun provvedimento su altre zone della città, che pure il sindaco aveva provato a mettere all’ordine del giorno. In compenso, come accade da vent’anni, tantissime le promesse e gli annunci; numerose le dichiarazioni di politici, tecnici e imprenditori che dipingono con inspiegabile fiducia gli scenari futuri, ognuno assecondando il proprio ruolo e le proprie convenienze. Un gioco delle parti recitato sempre dagli stessi attori e che alla fine darà la consueta somma zero.
Se qualcosa cambierà per Bagnoli, infatti, se una svolta verrà finalmente impressa, è altrove che si giocherà la partita, lontano dal dibattito pubblico e dagli organi che rappresentano la cittadinanza; piuttosto sarà il frutto di relazioni riservate e di rapporti di forza tra interessi tanto concreti quanto ristretti. I cittadini, a cominciare dagli abitanti del quartiere, potranno prenderne atto e, più tardi, giudicarne gli esiti. È stato così fino a oggi, e nonostante l’incapacità dimostrata dalle istituzioni non si può dire che i cittadini abbiano avuto la forza per invertire la rotta.
In un contesto del genere lascia perplessi l’appello diffuso prima dell’arrivo di Renzi e firmato da centocinquanta notabili cittadini, che chiedono al primo ministro di affrntare i problemi della città mostrando al tempo stesso una vaga disponibilità a collaborare.
L’appello elenca dei punti critici e alcune sommarie linee d’azione. In calce, le firme di “politici, imprenditori e intellettuali”. E se ci si può sforzare di capire politici e imprenditori, che per interesse e statuto professionale devono fare buon viso a cattivo gioco in ogni circostanza, non si capisce che ragione possano avere degli intellettuali per firmare un appello del genere. Perché un intellettuale, oggi, a Bagnoli, a Napoli, dovrebbe accontentarsi di sottoscrivere un manifesto così approssimativo, perché dovrebbe ancora mostrarsi disponibile a collaborare con la classe politica? Le ragioni per farlo sembrano esaurite da tempo. Il disastro è noto in ogni dettaglio. E in tanti, nella società civile napoletana, sono stati coinvolti. Quei settori che nell’appello si offrono come sostegno a una prospettiva di rinascita, sono in gran parte gli stessi che hanno causato l’attuale depressione: istituzioni in profonda crisi come l’università e i centri di ricerca, tra i maggiori responsabili del fatto che questa città sia sconosciuta a se stessa, e anche per questo cronicamente ingovernabile; sindacati che ormai non provano nemmeno più a rappresentare quel poco di lavoro che resta ai giovani – temporaneo, flessibile, non garantito – mentre hanno avallato per anni le infornate clientelari che gonfiavano le ipertrofiche società pubbliche locali; i partiti e le loro fondazioni, ridotti da tempo a comitati elettorali, senza più alcuna presa sul tessuto vivo della società; e poi gli imprenditori – i privati! –, che nell’appello appaiono in filigrana come gli unici possibili salvatori della patria, quegli stessi che non investono un euro senza il supporto dei soldi pubblici e di sfacciate condizioni di favore – basta guardare alle vicende di di Zoo-Edenlandia, Porto Fiorito, Napoli est – per comprendere la natura di questi novelli deus ex machina.
La stagione della disponibilità (e della subalternità) verso la politica ha portato a questo sfacelo, e alcuni dei firmatari dell’appello ne costituiscono esempi viventi. Se c’è qualche intellettuale a Napoli con la voglia di esercitare il proprio senso critico in modo costruttivo, non gli resta che una parte da scegliere, quella dei suoi concittadini. Niente più mani tese e ottimismi della volontà, ma piuttosto una vigilanza assidua sull’azione dei governi, sul rispetto delle procedure democratiche, documentando senza ambiguità la natura degli interessi in gioco, rendendo pubblica ogni informazione di cui si dispone; Insomma, dispiegando attraverso le proprie competenze, e con spirito d’indipendenza, tutto il pessimismo della ragione di cui si è ancora capaci. (luca rossomando)