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10 Giugno 2019

Sotto il sole di via Argine. Passato e presente della Whirlpool in lotta

(foto di -gd)
(foto di -gd)

Lunedì 10 giugno

È l’undicesimo giorno di picchetto allo stabilimento Whirlpool di Napoli. Gli operai presidiano la fabbrica ventiquattro ore al giorno, distribuiti su tre turni da otto ore. Sono le dieci del mattino. Gli operai del turno A sono quasi duecento. Sulla lavagna appesa a sinistra delle scale d’ingresso dello stabilimento è riportato il calendario delle dirette previste con le principali emittenti televisive italiane. Di fianco alla lavagna una scatola di legno forata al centro con su scritto “sosteneteci nella lotta, grazie” funge da cassa di solidarietà per sostenere le spese del presidio: striscioni, cappelli, fischietti, acqua, caffè, pasti, ecc.

Il sole picchia forte. Alle undici il termometro segna già trenta gradi. Il blindato della celere staziona a pochi metri dal cancello d’ingresso della fabbrica. Nel piazzale gli operai siedono e discutono degli sviluppi futuri della vertenza. Sono le dodici quando Pasquale mi presenta Alfredo, un vecchio delegato sindacale. È in compagnia del figlio, uno dei tanti della seconda generazione di operai Whirlpool. «Io sono entrato in fabbrica nel 1968 a Varese e dopo solo nove mesi sono sceso a Napoli. Ero delegato esecutivo e di sicurezza della fabbrica. Sono uscito dieci anni fa e al mio posto è entrato mio figlio. Negli anni Settanta in quest’area lavoravano più di quarantamila persone. Questo era il centro dell’industria napoletana e il cuore della classe operaia napoletana».

La fabbrica di elettrodomestici napoletana nasce nel 1964 e fino al 1970 è controllata dalla Ignis, azienda di proprietà della famiglia Borghi. Nel 1970 il cinquanta per cento della società viene rilevato dalla multinazionale olandese Philips e contemporaneamente viene costituita la IRE (Industrie Riunite Elettrodomestici). Il nuovo assetto societario e i risultati negativi sotto il profilo finanziario spingono presto il management olandese a liberarsi dello stabilimento napoletano. La decisione di chiudere la fabbrica scatena una profonda conflittualità operaia che porta nel dicembre del ’70 all’occupazione della fabbrica da parte dei comitati di lotta. «L’occupazione durò sette giorni – racconta Alfredo –. Io ero nel comitato di lotta della Ignis e ricordo che negli uffici e negli impianti prima si chiudevano le porte e poi si firmava. Occupare una fabbrica è una cosa seria e devi essere in grado di farlo bene. Trecento lavoratori su turno presidiavano la fabbrica. A quei tempi eravamo 1.280 operai. L’occupazione fu una battaglia durissima, ma portò alla riapertura della fabbrica con il rientro di tutti i lavoratori».

L’occupazione della fabbrica e la vittoria dei comitati di lotta porta a un piano di ristrutturazione aziendale finalizzato a ottenere un consistente aumento della produttività nello stabilimento napoletano. L’accordo sottoscritto dopo l’occupazione tiene in vita la fabbrica di San Giovanni che continua a produrre lavatrici a marchio Ignis fino al 1991, anno in cui Whirlpool Corporation rileva per intero la Ignis. «Quando sono entrato io – continua Alfredo –, qui si lavorava senza metodi precisi, non c’erano ritmi stabiliti. Poi pian piano la proprietà ha introdotto metodi e tempi di lavoro sulle linee finalizzati a garantire redditività al capitale investito negli anni. Sono state introdotte nuove linee che nel 2007 hanno portato la fabbrica a produrre un milione e centomila lavatrici all’anno dando occupazione a centinaia di ragazzi senza ricorrere allo straordinario. Ancora oggi la fabbrica è leader del settore elettrodomestici in Italia. Se dovesse riprendere l’attività sarebbe in grado tutt’oggi di produrre più di un milione di lavatrici all’anno. Le nuove generazioni in fabbrica hanno dato tutto. Ora solo la lotta gli rimane, non possono cedere. Dopo l’occupazione del ’70, nel ’74 abbiamo lottato per avere la mensa e abbiamo ottenuto non solo la mensa nello stabilimento, quindi altri posti di lavoro, ma anche una pausa pranzo di quaranta minuti».

Sono quasi le tredici quando da un’ala dello stabilimento spuntano carrelli pieni di casseruole e bottiglie d’acqua spinti da uomini e donne in camice bianco. Sono gli operai della mensa aziendale degli impiegati che da undici giorni cucinano pranzo e cena agli operai e alle operaie in picchetto. Alle tredici e trenta quasi tutti hanno consumato il loro piatto di pasta con le melanzane. Pochi minuti dopo si radunano per un’assemblea spontanea. Discutono e bevono caffè. Operai e delegati ribadiscono la necessità di un’azione dimostrativa. Si decide per il blocco di via Argine, arteria di collegamento tra la città di Napoli e la sua zona orientale. Sono quasi le quattordici. Al presidio arrivano gli operai del turno B. Insieme sono più di quattrocento. Alle quattordici parte il corteo. Gli operai cantano: «Napoli, Napoli, Napoli non molla! Napoli, Napoli, Napoli non molla!». Dopo dieci minuti siamo a via Argine. Quattrocento metalmeccanici siedono sull’asfalto rovente. «È solo un assaggio», dice Pasquale. (giuseppe d’onofrio)

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