C’è più fila alle macchinette automatiche per il parcheggio della Stazione marittima che al seggio di Antonio Borriello alle primarie del Pd. I problemi col resto e le monetine sono gli stessi. È anche vero che di gente ce n’è, in sala, e un po’ di coda è normale. È sabato mattina. Democristiani, popolari, liberali. La spina dorsale del paese. E poi Denis. La firma la mette sempre lui. E Valeria.
Denis va sempre all’attacco. Deformazione professionale. Gli hanno fatto una domanda antipatica e lui ha chiamato in causa la mamma di qualcuno. Mai mettere le mamme in mezzo. Verdini è venuto a sostegno di Valeria Valente, candidato sindaco del Partito democratico. Si salutano come vecchi amici. La lista di Verdini si chiama ALA. Facili ironie. La signora de La Repubblica va in visibilio davanti al candidato figlio di un pregiudicato e inizia il suo piccolo show a voce squillante in favore di colleghi. Lui tiene botta senza sfigurare, ma il parapiglia è inevitabile. La Valente dice che non ci sono imbarazzi a stare con Verdini. Verdini abbraccia e bacia tutti. «Non è importante da dove veniamo, ma dove andiamo».
«Non esiste più l’ala di una volta», ho letto Zeman qualche giorno fa. Nemmeno i democristiani. «Abbiamo una lunga storia alle spalle», fa uno. «Siamo delusi da Forza Italia e ora ragioniamo sui programmi». I programmi per Napoli. Ma anche quelli per Caserta e Nola. Si vota a Napoli ma molti arrivano dalla provincia. Qualcuno si nasconde e millanta nascite posillipine. La rappresentanza più folta è quella nolana, trascinata in pullman dal vicesindaco locale. Tra il pubblico catalizzano l’attenzione un elegante dandy in giacca e pantaloni rossi e un omino in prima fila con sei smartphone, che li mischia come carte napoletane. Sul palco Verdini e il senatore D’Anna. Poi arriva Valeria.
Ha un look più elegante rispetto all’ultima volta che l’ho vista, sbarazzina e popolare tra gli operai del circolo Ilva. Completo viola con scarpa beige e tacco importante. Foulard al collo sottile e legato stretto che stuzzica qualche svogliata fantasia, subito sopita dal caldo. Le scale di corsa, un leggero affanno, poi il capannello di cronisti. Poi il bacio a Verdini e l’intervento. Liberare Napoli. Sugli impresentabili: «Molti hanno mascherato i loro trasformismi con le liste civiche. Noi abbiamo fatto tutto alla luce del sole». Ce n’eravamo accorti. Il sole è forte. So, why won’t you come on over, Valerie?
«Quant’è?».
«Signorina, il solito: un euro e cinquanta».
Valentina aprì il portamonete, contò gli spiccioli e pagò la sua Red Bull. Doveva correre dagli industriali, ora. Poi una riunione con l’Anpi, la presentazione della lista di Devolution Cristiana, l’inaugurazione del circolo S.S. Maria delle Grazie ai Vergini. La puntata del Segreto, bisognava pagare la colf guatemalteca, la notte bianca del pesce azzurro e la notte azzurra del pesce bianco. Era una giornata tosta. «Ma mai tosta quanto me», si disse guardandosi allo specchio e compiacendosi per la sua forma fisica. In cuor suo sperava di perdere, ed era quasi certa di riuscirci. Aveva una vacanza già prenotata, destinazione Formentera. La prova bikini era stravinta.
Sul suo volto un filo di trucco e nessuna traccia di rammarico. Così dovevano andare le cose. Lei non era pronta per i palcoscenici. Ma per le retrovie, sì, le quinte. La quarta, suo unico rimpianto. Si era legittimata alla guida della terza forza politica in regione. Secondo gli opinionisti, sconfitta al primo turno. Rientrò in macchina e Michele, il più bello del suo staff, le sorrise. «Sei stata bravissima!». Lei socchiuse labbra e occhi e lo guardò dallo specchietto retrovisore. Pensò a quell’isola deserta. Via da quel caos, via da quel partito. Ritrovò sul sedile il volantino: la foto non le rendeva giustizia ma lo slogan era perfetto. «Mettiamo le ali a Napoli!», c’era scritto. E così fu.
Era una notte buia. L’illuminazione era stata tagliata: McMadzee si chiedeva se fosse una nuova giornata del risparmio energetico o una nuova giornata dello sparagno (che mai collima con il guadagno). Costretto a ripiegare in strada dopo la chiusura del suo bar di riferimento, decise di non rincasare fino all’alba. Le suole calpestavano ghiaia e terreno, era stata una notte piovosa, buia e piovosa e a McMadzee piaceva mimare passi di danza facendo scivolare i talloni sui basoli. Era arrivato in città da cinque anni, McMadzee. Non era stato ancora rotto dalla camorra, corrotto dai poteri forti, interrotto dai clacson. In estate si lanciava nel mare di Nisida da punta Massomafia, d’inverno beveva spritz e negroni dallo stesso bicchiere, ascoltando i concerti estemporanei di Daniele Sepe.
Ne resterà solo uno. O al massimo due. E poi definitivamente uno, dopo quindici giorni. A Santa Lucia, McMadzee incrociò Letterman. Nel buio ne intravide le fattezze: i capelli brillanti, la giacca blu cobalto, i mocassini con le nappette. Stava correndo: i soliti trenta chilometri a passo svelto che all’alba gli aprivano le narici. Era l’adunanza. La resa dei conti. McMadzee lo chiamò. Era il momento giusto per chiudere la questione e poteva essere anche la giornata giusta per morire. Letterman si voltò.
«Ah, sei tu. Che fai, mi segui?».
«Letterman, preparati a morire. Oggi il sole non lo vedrai sorgere da Santa Lucia».
«Povero McMadzee. Quanto sei invecchiato! E che brutta cera, hai. Torni da una sbronza?».
«Sì, festeggio, caro. Ma stai indietro e getta quell’arma: ci batteremo a mani nude».
«Io sono pronto! Senza di te l’alba avrà un colore diverso, il colore della rinascita».
«Tu muori stanotte, villano!».
«Ti bacerò freddo!».
«Amico dei potenti!».
«Scem’ ‘e guerra!».
(to be continued…)
a cura di palanza&pazzaglia