Da Repubblica Napoli del 6 settembre 2013
Un pomeriggio di inizio settembre. Il parco Mascagna, in via Luca Giordano al Vomero, somiglia a un formicaio. Decine bambini di ogni età si accalcano in file disordinate sulla scaletta dell’unico scivolo disponibile – l’altro è rotto – e intorno alle quattro altalene; c’è chi ha portato la bicicletta, chi si insegue sul prato di erba sintetica, chi tira calci al pallone nello spiazzo al centro del parco. Più ingombranti dei bimbi, e altrettanto numerosi, sono gli adulti: tante mamme con i passeggini, qualche nonno, i papà apprensivi che cercano di preservare dalla calca i più piccoli, quelli entusiasti che scambiano pallonate con i più grandi. Solo gli adolescenti e gli anziani hanno uno spazio tutto per loro – un campetto da basket, dei tavoli per giocare a carte – e sembrano indifferenti alla confusione che li circonda.
È uno strano spettacolo. A prima vista colpisce la vivacità, l’animazione di un pomeriggio all’aperto, in un luogo pubblico. Ma se si aguzza lo sguardo, alcuni particolari non tornano: la tensione che serpeggia tra gli adulti; le pallonate che sfiorano pericolosamente le carrozzelle; i rimproveri e i pianti più frequenti del normale… Il parco accoglie decisamente più gente di quanta ne possa contenere. L’affollamento è indice di una mancanza. Mancanza di scelta, di alternative. In effetti, il parco Mascagna è l’unico spazio per bambini dell’intero quartiere. La villa Floridiana è stata riaperta a maggio, dopo una chiusura di tre mesi, ma è ancora in gran parte transennata e inaccessibile. In ogni caso, non parliamo qui dei grandi polmoni verdi di cui è dotata la città – il bosco di Capodimonte, la stessa Floridiana, il Virgiliano, i Camaldoli, la Villa Comunale –, e che di fatto innalzano la superficie di verde urbano a standard almeno accettabili. E nemmeno si discute dei parchi di medie dimensioni. Quelli, per intenderci, costruiti in periferia con i soldi della ricostruzione post-terremoto e inaugurati nei primi anni Novanta. Qui parliamo di un’altra tipologia di spazi, quei “parchi a scala di quartiere” che si trovano disseminati in gran numero, come un elemento naturale del paesaggio, nel tessuto urbano di tante città europee del sud e del nord. A volte hanno le dimensioni cospicue e la varietà di funzioni del “Mascagna”, ma più spesso sono minuscoli fazzoletti di terra ricavati negli interstizi tra le costruzioni – la forma triangolare che lascia l’incrocio tra due strade, il cortile irregolare che si forma sul retro di una schiera di palazzi, un’aiuola sorta per riempire un dislivello – attrezzati con panchine, scivoli e altre strutture fisse adatte ai bambini dai 3 ai 10 anni. Sono luoghi che passano quasi inavvertiti nel frenetico andirivieni di una grande città, ma che “salvano la vita” a diverse categorie di abitanti: mamme, nonni e baby sitter che vogliono far prendere un po’ d’aria ai bambini senza dover aspettare l’autobus oppure spingere il passeggino nel traffico; ai bambini stessi, che possono socializzare con i coetanei senza allontanarsi troppo da casa (e senza pagare quote d’iscrizione). Luoghi che rappresentano un piccolo, grande indice di civiltà, e che nel centro di Napoli – per non avventurarci in periferia – non esistono affatto. A nessuno viene in mente di progettarli o di spendere risorse per allestirli. E nessuno ripara le poche strutture che ci sono, quando subiscono le ingiurie del tempo e dell’uso prolungato.
A piazza Cavour, alle spalle della stazione della metropolitana, per qualche anno ha resistito un’area attrezzata di piccole dimensioni, un quadrilatero con il pavimento morbido, scivoli, altalene, dondoli e castelli. Come il parco del Vomero, anche questo si riempiva sovente oltre i limiti della capienza. In questa oasi sovraffollata e per niente silenziosa, si riversavano genitori e bambini provenienti dal rione Sanità, da via Foria e forse anche dalla Ferrovia. Sottoposte a un impiego intensivo, le viti delle altalene cominciarono ad allentarsi, le molle dei dondoli a incrinarsi, gli scalini del castello a scheggiarsi. Man mano che i giochi diventavano inservibili venivano transennati – non aggiustati – mentre i bambini si affollavano su quelli restanti. Un giorno, i giochi danneggiati vennero portati via da un camion. Poco tempo dopo sparirono anche quelli ancora utilizzabili. Ai lati del quadrilatero vuoto rimasero le panchine in rovina e, al centro, il simulacro di una fontanella. Da più di un anno ormai l’oasi di piazza Cavour è ritornata deserto.
Certo, i problemi della città sono altri. Ci sono i grandi eventi che incalzano, le bonifiche mancate, gli stravolgimenti della viabilità e altro ancora. Ma quello che ci rende la vita quotidiana così faticosa, la sopravvivenza urbana così difficile, è proprio questa cronica inefficienza del servizio pubblico, questa indifferenza per il benessere collettivo così diffusa e sfrontata da non riuscire più a capire dove comincia né dove finisce, a chi chiederne conto. Sollevare i grandi temi è giusto e necessario, ma con la consapevolezza che i politici di questa parte di mondo, anche i sedicenti “rivoluzionari”, governano le grandi città tutti alla stessa maniera, dentro la stessa cornice. La lenta deriva della vita quotidiana, l’incapacità di amministrare l’ordinario, il degrado delle condizioni minime di vivibilità, si confermano invece una caratteristica peculiare della nostra ridente e maledetta città. (luca rossomando)
Leave a Reply