La morte di Davide Bifolco è riuscita a mostrare, in contemporanea, le facce peggiori della nostra città. Una città in cui il tessuto sociale è talmente sbrindellato da dividere, quotidianamente e senza mezze misure, la sua popolazione in buoni o cattivi. I buoni sono quelli che rispettano le regole, che vanno sempre in moto con il casco, che non parcheggiano mai in doppia fila e mai comprano merce contraffatta. I cattivi sono tutti gli altri, quelli che girano senza assicurazione, che non fanno il biglietto sull’autobus, che fumano le canne e che alle marce contro gli inceneritori rispondono alle cariche della polizia lanciando sassi e tagliando filo spinato. Una volta data per buona questa visione del mondo, con tanti saluti alla complessità del contesto cittadino, alle eterogeneità sociali e urbanistiche che lo compongono, la lettura di qualsiasi avvenimento diventa elementare. La tragedia che ha portato alla morte di un diciassettenne ucciso da un carabiniere è, appunto, una tragedia. Ma è giustificabile perché i ragazzi erano su un motorino che non aveva l’assicurazione, senza casco, erano scappati a un posto di blocco, avevano una pistola di plastica addosso, e per di più due di questi tre avevano avuto problemi con la legge.
Il fatto che la quasi totalità di queste accuse siano state smentite dopo poche ore, non aggiunge o sottrae nulla alla questione: morire per mano di un “colpo accidentale” sparato da un poliziotto è considerato, da almeno metà della città, un rischio da mettere in conto per chi vive fuori dalle regole.
Di tutto ciò, ci ha parlato chi ha avuto il compito di raccontare questa vicenda. Televisioni e giornali, o quantomeno i grandi media cittadini e le emittenti nazionali, hanno cavalcato questa dicotomia. Il lavoro di indagine per verificare le ricostruzioni dei carabinieri è stato nullo. Già dalla mattina seguente i testimoni e gli abitanti del quartiere rifiutavano con decisione la versione secondo cui i tre ragazzi fossero pericolosi criminali, oltre che la presenza di una pistola di plastica (comparsa sul luogo dell’omicidio e misteriosamente sparita dopo poche ore). Denunciavano, inoltre, la fretta con cui le forze dell’ordine hanno “ripulito” il luogo del fatto, il blitz a mano armata del carabiniere all’interno di una sala giochi, la sparizione del bossolo dalla scena del crimine. Nel frattempo, seguendo l’onda delle agenzie di stampa, negli articoli tutti uguali già si parlava di latitanti ed evasioni dai domiciliari («Non c’era nessun latitante!», dicevano intanto gli amici di Davide).
Accanto agli articoli di cronaca si moltiplicano quelli di commento, tutti come al solito in un’unica direzione: la priorità assoluta di schierarsi, con le parole, dalla parte dello Stato, contrapposta all’increscioso sentimento con cui una parte della popolazione mostrerebbe avversione per le forze dell’ordine; le insinuazioni su cosa ci facesse un ragazzino di diciassette anni in giro di notte su un motorino; i carabinieri sottopagati e stressati, al lavoro in una “zona di guerra”; l’indignazione perché “quando spara la camorra nessuno scende in strada” (nulla di più falso: ricordate le marce e le fiaccolate per Silvia Ruotolo, Annalisa Durante, Lino Romano, Angelo Vassallo?) e per le condizioni di vita nelle periferie, descritte però come se lo squallore, la desertificazione, l’isolamento dal resto della città fossero sentimenti coltivati dai malcapitati che ci abitano e non determinati dalle scelte (e non-scelte) stratificate nel tempo e perpetuate nel presente da chi ha avuto e ha il potere e le risorse per governare.
Un approccio entusiasta, da parte della stampa e della società civile (che però ora comincia a spazientirsi per i continui disagi alla circolazione delle auto), è stato infine riservato al senso di responsabilità e alla scelta, da parte degli abitanti del rione Traiano, di non reagire con violenza a quanto accaduto, evitando durante i cortei di protesta “una Ferguson napoletana”. Anche di questo, ci hanno capito ben poco. Il racconto del rapporto tra gli abitanti del Rione Traiano e la camorra, è stato infatti articolato secondo i soliti schemi. Solo qualcuno ha accennato della presenza di figuri in sella a T-Max che sedavano ogni velleità di rivolta da parte dei più giovani. Un segnale – emerso a dire il vero fin dalla mattina successiva al fatto – della necessità da parte della camorra che le attività di spaccio non venissero ostacolate da un’inutile e fugace rivolta. Di questo, che è il dato più importante dei giorni che hanno seguito l’uccisione di Davide, si è parlato poco. In realtà, al di là delle flebili minacce successive a un lancio di lacrimogeni da parte della polizia, gli uomini del Sistema non hanno dovuto faticare troppo a mantenere la calma. Reazioni come quelle viste in casi simili in tutte le periferie del mondo, dagli Stati Uniti alla Francia, non sono mai state prese in considerazione dalla gente del quartiere, in bilico tra la rabbia, la voglia di farsi sentire e la rassegnazione all’immutabilità dello status quo. In questo modo si è rivelato il sottofondo ancora più drammatico della vicenda, una condizione di vita che riguarda non un solo rione ma le decine di ghetti disseminati per la città, e che in prospettiva è destinata a durare e ad approfondirsi: la doppia morsa in cui vivono migliaia di persone, strette tra l’indifferenza di istituzioni impotenti, quando non ostili, e la prossimità di un antistato che se ne serve come esercito di riserva – un esercito timoroso e abbrutito – ma non esita a scaricarle appena avverte che i propri interessi sono in pericolo.
In questo scenario gli unici a manifestare una reazione istintiva ed emozionale, sono stati i ragazzini che dopo il corteo di sabato non si sono rassegnati a tornare a casa. Ancora sono in giro per la città. Effettuano blocchi stradali, chiedono giustizia per il loro amico. Vorrebbero spaccare il mondo, fare qualcosa, ma da tutte le direzioni gli ripetono che è bene accettare quel che è successo abbassando la testa, perché alzarla potrebbe solo peggiorare la situazione. La lezione più amara che la morte di Davide consegna a questa città. (napolimonitor)