La settimana scorsa il Vesuvio è stato vittima di un disastro. Gli incendi, che già dai primi di giugno si erano sviluppati in alcuni punti delle sue pendici, nei giorni 11 e 12 luglio si sono trasformati nel rogo più esteso e violento che abbia interessato il vulcano dal 1944. Questo disastro naturalistico e ambientale ha messo in ginocchio la biodiversità del Parco Nazionale, ma allo stesso tempo ha reso manifesti due aspetti prettamente sociali e politici, quello della prevenzione dei rischi e quello della gestione dell’emergenza.
In merito al primo, le autorità locali e regionali si sono precipitate a denunciare il disegno criminale all’origine dell’incendio. Naturalmente, ci sarà tempo e modo perché la magistratura stabilisca le responsabilità di tale scempio, eppure è già possibile individuare un dato di fondo: il territorio vesuviano è abbandonato e ignorato, letteralmente in rovina. Definire “emergenza” una calamità che si ripete frequentemente, con regolarità e sugli stessi luoghi, non solo è fuorviante ma è profondamente sbagliato. Gli incendi che hanno devastato e che devastano il Parco Nazionale del Vesuvio non sono improvvisi o inaspettati, bensì fanno parte della categoria “ordinario disastro”. Passano i consigli di amministrazione, cambiano i presidenti, si susseguono i governi, eppure l’area protetta del vulcano napoletano è sempre, costantemente, indifesa. Che l’incendio sia riconducibile alla camorra o a un mozzicone lanciato da un’auto o, per assurdo, all’autocombustione, quel che non cambia è che l’intera area è lasciata a se stessa e che la prevenzione è una chimera.
Nello specifico, si possono individuare diverse e tante falle nel sistema di difesa del territorio, con responsabilità a tutti i livelli. La manutenzione dei boschi e delle strade è pressoché inesistente, non c’è un abituale e continuativo sfoltimento del sottobosco e delle sterpaglie, il fogliame altamente infiammabile e i rami secchi non potati restano sul posto, senza essere rimossi. La guardiania è assente, così come non è previsto alcun servizio (anche volontaristico) di osservazione del territorio durante l’estate; gli “osservatori civici” sono stati invocati tante volte, ma mai attivati. Da ciò si deduce che c’è un enorme vuoto di pianificazione, di uomini e mezzi, perché dovrebbe essere alquanto prevedibile che gli incendi avvengono durante questa stagione. L’organico del Parco è chiaramente sottodimensionato e, da quanto avvenuto negli ultimi giorni, bisogna prendere atto che tra i vari corpi di sicurezza e protezione civile non c’è un coordinamento adeguato con gli operatori del Parco, i quali sono i veri esperti della riserva e sanno muovercisi. La recente esperienza, anzi, rivela qualcosa di ancor più allarmante, dal momento che numerose testimonianze attestano quanto gli abitanti delle zone minacciate dal fuoco abbiano dovuto guidare le autobotti sui vari fronti dell’incendio o nelle stesse città. Altri volontari che avevano già contribuito a spegnere roghi nelle settimane precedenti, hanno constatato che il lavoro dei Canadair non era stato completato sul campo, in quanto parecchia cenere ardete era rimasta sul terreno; e la ragione è unicamente da attribuire alla mancanza di personale.
Altro grande limite emerso con chiarezza è l’agire unicamente in stato di emergenza, dunque perennemente in ritardo. I tagli nazionali ai corpi forestali si fanno sentire più che mai, soprattutto perché non si è avuto un aumento delle unità nei corpi di protezione rimasti. Dal canto loro, i comuni risultano ancora una volta impreparati, sia a causa dell’assenza e/o non-conoscenza dei piani d’emergenza locali, sia per l’ignoranza stessa del proprio territorio: un esempio su tutti è quello del Centro Operativo Comunale (C.O.C.) di Torre del Greco, che è stato attivato con lentezza e solo per le ore d’ufficio, lasciando la prima difficile notte senza qualcuno a cui rivolgersi. Ciò che più preoccupa, infine, è l’assenza di una visione d’insieme e di lungo periodo: nelle ore più terribili l’esercito ha presidiato Cava Sari, sede di una enorme discarica, molto contestata dalla popolazione negli anni scorsi; se le fiamme avessero attecchito in quell’immondezzaio ora staremmo parlando di una catastrofe ecologica e sanitaria.
Questa crisi, dunque, ha palesato inadeguatezze, incompetenze e incapacità. L’incendio è stato certamente di rara violenza e pompieri e volontari hanno compiuto sforzi encomiabili, ma è importante ricordare anche il ruolo che i cittadini hanno avuto nei soccorsi. I vesuviani, infatti, sono stati in parte spettatori, ma anche attori diretti delle operazioni di spegnimento. Sul versante di Torre del Greco, quello dove le fiamme, alte decine di metri, sono state particolarmente aggressive, gli abitanti di diverse strade più in quota hanno lavorato in prima persona per proteggere le loro case e le loro vite, insieme ai vigili del fuoco e ai volontari della Protezione civile.
Attraverso i social media è stato possibile documentare decine di interventi “autonomi”, nonché di appelli e testimonianze di residenti. Ciro Teodonno, docente liceale e giornalista locale, ha raccontato la sua esperienza di volontario tra il fuoco che il 12 luglio ha minacciato San Sebastiano al Vesuvio. Nelle sue parole si può avvertire il caldo infernale e la paura, la determinazione e la forza di volontà di quelle ore: “È una lotta tra i ragazzi della Protezione civile e le fiamme, una questione di principio per qualcuno e, nonostante la natura impervia nel vecchio flusso lavico, riescono a contenere le fiamme. A un certo punto, però, un nuovo focolaio si apre all’improvviso dal lato ercolanese, là dove una vera e propria ventata di fuoco investe chi si trova a valle per un’ispezione. Cataste di legna vengono raggiunte dal fuoco della sterpaglia e bruciano con una velocità straordinaria, raggiungendo subito la strada con fiamme alte. Buona parte dei presenti riesce a scappare e a prendere l’auto, ma un carabiniere rimane bloccato dal fuoco, così come la sua autovettura. Lui riesce a scamparla, ma non il veicolo, che viene avvolto dalle fiamme. Brucia la terra, brucia la campagna e una baracca, ma per fortuna tutti sani, salvi e impauriti”.
Il giorno prima, il biker Nicola Liguoro ha raccontato di come, insieme a una cinquantina di residenti di via Resina Nuova a Torre del Greco, abbia spalato e rastrellato a pochi centimetri dal fuoco per tracciare delle linee ferma-fiamme: “Oggi la gente di via Resina Nuova si è fatta Stato e ha difeso con i denti le proprie case strappandole al fuoco che le voleva prendere. Alle 12, quando ci siamo resi conto che i soccorsi non sarebbero arrivati perché impiegati altrove, […] ci siamo armati di pale, vanghe e rastrelli e abbiamo cominciato a scavare trincee tagliafuoco. Ci sono stati momenti in cui fermavamo il fuoco in un punto, ma lui ripartiva subito in altri posti. […] Alla fine siamo riusciti a fermarlo dappertutto, al momento le case sono in sicurezza, aspettando che chi deve intervenire, finalmente lo faccia fermando questo scempio”.
Tuttavia, qualcuno che ha davvero perso la casa c’è, come il dottore forestale Silvano Nostromo che, nonostante tutto, il giorno seguente ha dato appuntamento ai volontari in via Panoramica per riprendere la lotta contro il fuoco: “Stamattina ci siamo fatti in quattro per cercare di spegnere le fiamme, soli senza aiuto di nessuna forza terreste statale, né regionale […]. In un attimo, un cambio della direzione del vento ha innescato un fenomeno spaventoso… gli alberi hanno iniziato a prendere fuoco come torce, uno dopo l’altro, e il fuoco ha preso una velocità impressionante… nulla poteva più l’essere umano contro quelle fiamme, che andavano prevenute e arrestate in massa fino a quando era possibile. Abbiamo avuto venti minuti di tempo per scappare a casa ed evacuare le famiglie… la mia casa è andata a fuoco con fiamme di trenta metri come nei più spaventosi scenari apocalittici… eppure questa era realtà…”.
L’11 e il 12 luglio 2017 sono date da ricordare, sono giornate che devono insegnare. Quello che è accaduto è evidentemente doloso, criminale, eppure è allo stesso tempo anche il più tragico degli ammonimenti in vista di scenari ancora peggiori. Gli squilibri e le carenze messe in luce dall’incendio nel Parco Nazionale del Vesuvio devono essere colmate urgentemente. Come ha scritto Antonio Di Gennaro, “in un paesaggio curato e ben gestito, gli stessi abominevoli gesti avrebbero conseguenze limitate, sopportabili”. Quel fuoco ha scosso tutti, ha ridestato molti da un sonno collettivo, da un’amnesia territoriale; è il caso di farne tesoro e di restare allerta perché rischiamo di non avere più tempo per evitare che in futuro si ripresentino giornate simili. (giovanni gugg / clementina sasso)