Il corteo inizia intorno alle 18. Qualche centinaio di manifestanti si muove dal concentramento fuori la metro di Garibaldi verso la zona del Vasto. In gran parte sono giovani studenti, alcuni minorenni, molti fanno parte di collettivi; sono lì per contestare la manifestazione dei neofascisti di Casapound radunati con il loro leader nazionale, Simone Di Stefano, all’Hotel Ramada di Napoli.
Giungo dal porto risalendo corso Garibaldi. All’arrivo alla stazione centrale colpisce il dispiegamento di polizia e carabinieri, sproporzionato considerando gli intenti della manifestazione. Gli slogan sono quelli tipici delle marce antifasciste, i discorsi al megafono degli organizzatori ribadiscono l’impegno antirazzista, la lotta al sessismo, la difesa della costituzione. Il passaggio per via Firenze è caratterizzato da interventi in francese, che provano a coinvolgere i migranti che abitano la zona e sono per strada. Alcuni rispondono con applausi e incitamenti, molti si mantengono a distanza. La manifestazione, per diverse ragioni, non riesce a coinvolgerli.
Poco prima delle sette il corteo rientra a piazza Garibaldi. Vorrebbe proseguire sul corso Arnaldo Lucci, ma una cinquantina di agenti sono già schierati in assetto antisommossa. Solo su questo primo tratto di strada si contano cinque blindati e di fronte, a poca distanza, sul piazzale antistante la Feltrinelli, altri due dei carabinieri. Parte qualche slogan contro le forze dell’ordine, la rivendicazione del diritto a manifestare e l’accusa di difendere i fascisti. La situazione è di stallo. I giornalisti restano in attesa di una evoluzione.
Sono le 19,30, dalle parti del Ramada un gruppo di turisti osserva incuriosito e intimorito il dispiegamento di forze dell’ordine. Un agente spiega che è «per la manifestazione dei centri sociali». La presenza dei neofascisti scompare da questo orizzonte causale, mentre l’incrocio con via Ferraris è militarizzato: altri mezzi blindati e reti di metallo vietano l’accesso, è precluso perfino l’ingresso autostradale. Forze dell’ordine sono disposte su una delle carreggiate di corso Lucci, il traffico è in tilt, il caos paralizza l’ingresso della città. Poi arriva l’ordine di sgombrare l’assembramento fuori la stazione. C’è un po’ di tensione, gli agenti posizionano gli scudi, i manifestanti decidono di rimettersi in marcia in direzione della Maddalena. Naturalmente è un diversivo, l’obiettivo resta quello di raggiungere le reti che chiudono via Ferraris: nessuna velleità di varcare l’accesso, le forze in campo non lo consentirebbero, ma il gesto dimostrativo di raggiungere l’ingresso dell’area rossa, per poi defluire verso via Marina.
Così il corteo si riporta nella direzione della stazione, sull’area pavimentata con gli ingressi alla metropolitana. La polizia però avanza fino all’altezza dell’hotel Terminus. Una parte del corteo cerca una deviazione su via Pica per aggirare l’assembramento di polizia: si corre, il lungo serpentone si spacca, qualcuno resta indietro e non riesce ad arrivare sul corso Lucci. Qualche fumogeno, un paio di petardi, poi il “no” del vicequestore a far proseguire la manifestazione fino all’esterno della zona blindata: parte l’ordine delle cariche, i blindati vengono lanciati a spezzare ulteriormente il corteo, arrivano pure i carabinieri dalle spalle dei manifestanti in una manovra a tenaglia. Almeno due dei manifestanti riporteranno ferite da medicare in ospedale.
Un gruppo di giovani prova a trovare rifugio nella zona Autopark della stazione ma viene bloccato e portato sul marciapiede antistante. Sono una ventina, alcuni minorenni, costretti per interminabili minuti faccia al muro e mani alla nuca da un massiccio schieramento di polizia. La presenza di giornalisti e telefonini che riprendono la scena funge da deterrente, evitando il peggio, sebbene il vicequestore provi in ogni modo ad allontanare chi testimonia quanto sta accadendo.
Alla fine i ragazzi rimarranno bloccati contro il muro come criminali per un’ora, fermi, in piedi, sotto lo sguardo perplesso dei passanti. Vengono perquisiti e identificati, e a partire dalle 21,00 portati in questura. Il resto dei manifestanti, ed altri attivisti dei collettivi, si radunano in via Medina chiedendone la liberazione, che si realizzerà per tutti solo intorno all’una di notte, di fronte all’ennesimo dispiegamento di polizia che presidia questo distorto concetto di ordine pubblico.
Vale la pena ricordare in chiusura come, secondo il dettato costituzionale (XII disposizione transitoria e finale), sia vietata la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista, e che il divieto non possa “limitarsi a considerarne soltanto gli atti finali e conclusivi, del tutto avulsi da ogni loro antecedente causale”, ma debba “necessariamente riferirsi ad ogni comportamento che, pur non rivestendo i caratteri di un vero e proprio atto di riorganizzazione […] sia tale da contenere in sé sufficiente idoneità a produrre gli atti stessi”. Consentire le manifestazioni di gruppi che richiamano idee, comportamenti e simboli del fascismo, è insomma anticostituzionale, vietato dalla legge, così come è contrario alla legge consentire una propaganda elettorale che contiene forme di apologia del fascismo. Eppure dalle dichiarazioni della polizia, e nelle agenzie che rimbalzano in queste ore a mezzo stampa, quello che emerge è l’azione di disturbo da parte di manifestanti a un “appuntamento elettorale di Casapound”.
Al di là delle questioni giuridiche, naturalmente, è la tenuta stessa della democrazia a richiedere il contrasto al fascismo in tutte le sue forme, così come la tutela e la valorizzazione dei valori dell’antifascismo. Domenica sera a Napoli (come già in altre città d’Italia) questi cardini sono stati rovesciati, con la difesa dei neofascisti rintanati in albergo, e le cariche agli antifascisti in strada, manifestanti che il questore ha definito “un gruppo di manigoldi” con “una strategia mirata per colpire le forze dell’ordine”. De Iesu si è compiaciuto inoltre di essere riuscito a garantire “il regolare svolgimento della manifestazione di Casapound all’interno dell’hotel”, sebbene per farlo, vale la pena sottolinearlo, i suoi uomini abbiano militarizzato la zona della stazione, generando una situazione di caos, oltre che panico e violenza per incapacità (o mancata volontà) di gestire una manifestazione antifascista di un paio di centinaia di ragazzi.
Al termine di una campagna elettorale tra le più meschine, in cui il paradigma dei migranti è stato strumentalizzato per coprire il vuoto di idee e proposte su temi come il lavoro, la sanità, la scuola, questa legittimazione dell’utilizzo della forza in tema di ordine pubblico richiama alla mente il contesto in cui si svolse il G8 di Genova. E forse non è un caso che quest’uso della forza si metta in atto a partire dalle direttive di un ministro, Minniti, che ha portato, per dirne una, ai vertici della Direzione antimafia Gilberto Caldarozzi, già condannato a tre anni e otto mesi per la “macelleria messicana” alla scuola Diaz. (antonio esposito)