Due giovani carabinieri sono di piantone all’ingresso della vela gialla. Con loro un reporter del nord, collaboratore di giornali tedeschi interessati alla demolizione delle vele, e un’anziana accompagnatrice. A giudicare dalle movenze il loro sembra più turismo che lavoro, un pomeriggio sul set di Gomorra con lo sguardo verso l’alto aspettando il fischio di Ciro l’Immortale.
In questi giorni alcuni abitanti della vela rossa ricevono le chiavi delle case a loro assegnate in via Labriola. Trecento metri separano le vele da questi palazzi gialli, grigi e verdi. Un parco nuovo di zecca e luccicante anche di sera, con i posti auto assegnati e numerati, un ulivo illuminato dal basso al centro del parcheggio, qualche famiglia che già si conosce e socializza dai balconi. Sono cento e ottantotto i nuclei familiari che popoleranno il parco, provenienti dal lotto M delle vele ma anche dall’ex Motel Agip di Scampia e da altre palazzine del comune di Napoli. A poco a poco si riempiono gli spazi vuoti sulle etichette dei citofoni.
Antonio si è trasferito da una settimana, non può farci vedere casa perché è ancora in disordine per il recente “sfratto”. Però «è una casa, questa è una casa», dice. Sono soddisfatti anche i bambini che scendono per ritrovare i propri compagni, vanno alla cornetteria poco distante. Al piano terra, fronte strada, ci sono numerosi locali vuoti e disponibili: in molti sperano che la zona sarà appetibile per i commercianti. Il desolante passeggio tra aiuole che sembrano discariche è già alle spalle, qui sembra di vivere in un altro quartiere. «Chissà come finirà per quelli abituati a non pagare niente, perché ce ne stanno. Io pagavo sempre tutto e mi pigliavano per fesso», spiega Antonio.
La pioggia è passata da un pezzo ma nelle vele continua a piovere, per quell’illogico sistema di scoli, rampe, canali e ballatoi, pareti fradice con barre d’acciaio in vista e scalini sbrecciati. I dipendenti della Napoli Servizi hanno il compito di murare le abitazioni della vela rossa appena si svuotano. Il termine tecnico, riportato nella disposizione 303 del comune di Napoli, è “tompagnatura”. I carabinieri nei giorni scorsi hanno arrestato una persona che cercava di occupare un appartamento lasciato libero da chi si trasferiva in via Labriola. Un’ordinanza sindacale del 13 settembre 2016 intimava lo sgombero dell’intera vela rossa perché, dopo sopralluogo di Protezione civile, polizia locale, personale del servizio demanio e patrimonio, veniva dichiarata “l’inagibilità della struttura in quanto è evidente il pericolo per la pubblica e privata incolumità”. Le “evidenti ragioni di celerità” giustificavano anche l’omessa comunicazione di avvio del procedimento. Ciononostante circa duecento nuclei familiari continuano a vivere nella vela rossa. Che dovrà essere abbattuta (come da delibera del 29 agosto 2016). Nel recente Patto per Napoli firmato da Renzi e de Magistris sono previsti cento e ottantuno milioni di euro per il “recupero” delle periferie. Di questi, quasi ventisette milioni serviranno per finanziare il progetto Restart Scampia, che annuncia le demolizioni delle vele A, C e D (rossa, gialla e verde) e la riqualificazione della vela B – quella celeste.
Al piano terra della rossa resiste un piccolo spaccio di generi alimentari all’interno di un’abitazione. Mamma e figlia sono stufe dei giornalisti, di quelli saccenti e di quelli tranquilli, di quelli che sorridono e poi approfittano, di chi racconta storie per fare spettacolo. «Noi siamo occupanti. Non abbiamo diritti. Se distruggono le vele distruggono casa nostra». I bambini s’affollano intorno al biliardino, fanno roteare le stecche, aspettano qualcuno che infili cinquanta centesimi. Totore ha occupato nella vela rossa dodici anni fa, quando la moglie è morta. Casa sua è al primo piano. I piani bassi sono i più ambiti, qualche balcone è già addobbato per Natale; dal quarto in poi ci sono gli stranieri, dal settimo al quindicesimo solo i fantasmi. Una scaletta in ferro arrugginito conduce all’appartamento di Totore. «Non te lo so dire che fine faremo. Ci sono cittadini della vela rossa di serie A, noi siamo ancora in serie B». Mentre Totore parla mi rendo conto di avergli sporcato casa con le mie scarpe. Gli chiedo scusa e realizzo che proprio in questi luoghi la pulizia tra le mura domestiche ha valore rigenerante. La casa è linda e luminosa. Varcata la soglia invece ti pioverà in testa, anche se non piove da una settimana.
Al secondo piano Peppe, quarantacinque anni e diversi problemi di salute, sta consegnando una sedia a due ragazzini slavi. I due indossano tute da scuola calcio e parlano un napoletano squillante. Peppe ha rifoderato e tappezzato la sedia per la loro famiglia. Ha utilizzato la foglia d’oro, rivestito le imbottiture con un tessuto bianco e viola e il risultato è notevole. «Io faccio l’artigiano, prima lavoravo in bottega, poi ho perso il lavoro e non ho famiglia. Ho dovuto occupare, sono qui da dieci anni». Casa sua è soprattutto un laboratorio. Nella piccola sala centrale, tra materiali e lavori non ritirati, resta un piccolo spazio per accomodarsi in poltrona e leggere qualche preghiera.
Mentre si procede alla tompagnatura delle case svuotate (i bagni vengono distrutti, la fornitura di gas disattivata, gli ingressi murati), nella vela rossa si effettuano lavori di messa in sicurezza. Tra i due padiglioni, sotto il celebre ballatoio che chiude lo spazio e proietta ombre inestricabili, è al lavoro un ragno cingolato. Costo delle operazioni: circa duecentomila euro. Che senso ha mettere in sicurezza una vela destinata alla demolizione e sottoposta a ordinanza di sgombero perché pericolante? Gli occupanti non hanno risposte, ma la sensazione è che la demolizione (tra i punti forti del programma che portò de Magistris alla carica di sindaco nel 2011) non avverrà, quantomeno non a stretto giro. D’altronde quali alternative offre l’amministrazione a chi, tra i secondi occupanti, è in graduatoria Erp magari da oltre dieci anni e ora si ritrova tra incudine e martello, tra la necessità di demolire – invocata da tutti – e il diritto alla casa che sembra ancora troppo lontano? Per ora lo sgombero è rimandato, ma il Comune ha firmato un patto con il governo centrale che prevede la distruzione delle vele. Se fosse possibile accreditarsi da ora per il momento dell’esplosione, migliaia di giornalisti da tutto il mondo sarebbero già in lista. “Demolite le roccaforti della camorra”.
Al quarto piano c’è Giusy, divorziata e con due bambini a carico. Il marito non le passa soldi, così quando sei anni fa ha perso il lavoro da segretaria a Giugliano ha scelto di occupare. Sta facendo le pulizie: «Da due settimane sono andati via gli inquilini di sopra e qualcuno deve aver rubato il rame, perché l’acqua mi cola in casa e d’inverno sarà terribile. Da quando abitiamo qui ci ammaliamo sempre per l’umidità». Ha cercato invano lavoro: «Quando vedono o sentono che abito nelle vele lasciano perdere. Chissà, forse hanno paura, non lo so…». Più su c’è una festa. Dalla torre centrale brillano le luci e spuntano sagome danzanti. La musica balcanica ci aiuta a trovare la strada nel buio che ormai avvolge l’intera vela. Una famiglia serba s’insospettisce al nostro arrivo: «Siete venuti per mia figlia?», chiede la signora. La rassicuro, lei torna a ballare, noi guidati dalla luce del cellulare scivoliamo via. (davide schiavon)
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