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25 Dicembre 2018

Abbandonati da de Magistris, minacciati da De Luca. La diaspora dei rom di Scampia

(disegno di cyop&kaf)
(disegno di cyop&kaf)

Esattamente un anno fa, per alcuni di quelli che si ostinano da sempre a restare immuni al clima di letizia, bontà e irrefrenabile voglia di comprare regalini, e che sono anche un po’ riluttanti ai pranzi di beneficenza fatti per le grandi occasioni, il Natale era arrivato portando una diversa luce e dando un nuovo significato a termini ormai desueti e irritanti come solidarietà, carità, comunità, condivisione, convivialità.

Nell’Auditorium di Scampia, abitato da oltre cinquanta persone che nell’agosto 2017 erano scampate a un incendio doloso dei campi rom non autorizzati di via Cupa Perillo, in quei giorni che sembrano veramente lontani, ci si riuniva per celebrare insieme almeno tre ricorrenze, il Natale cattolico, il Natale ortodosso, ma soprattutto il fatto di essere ancora vivi e circondati dalle voci dei bambini, di quelli più grandicelli e di quelli appena nati in quella grande grotta di tufo, vetro e ferro. Vivi, speranzosi e persino ottimisti, sebbene ancora più poveri, senza una casa, senza prospettive abitative certe, con una faticosa trattativa in corso con l’amministrazione comunale per cercare di ottenere soluzioni dignitose e anche in tempi umani. La speranza ha cercato anche appigli simbolici, per esempio attraverso la piantumazione collettiva di un albero della solidarietà nelle aiuole circostanti l’auditorium, un grande rito circolare a cui rom, gagiò, giovani e vecchi si sono dedicati con cura, semplicità, amore. Una comunità eterogenea, critica, propositiva, sempre unita quando si tratta di fronteggiare i cambiamenti e le prove difficili, e che anche in quei mesi aveva fatto fronte compatto per supportare le famiglie rom, alle prese con l’elaborazione del trauma dell’incendio, la necessità di andare avanti, la volontà di vivere e non limitarsi a sopravvivere.

L’albero è lì che cresce. La giornata in cui è stato piantato è proseguita con una bella lunga tavolata nel foyer dell’auditorium che non è mai stato così vivo e utile come in questo lungo anno abitato dai rom. Musica, sarme, gulash, pani intrecciati che nascondono la moneta della fortuna per chi la trova e vino, qualche risata, un po’ di gioia nell’aver trovato nuovi amici, anche queste sono cose che contano per tutti.

Dopo il Natale, abbiamo continuato a trascorrere insieme il carnevale, la Pasqua, la neve alta per la prima volta in molti decenni, le elezioni a cui per la prima volta nella storia giovani rom cittadini italiani hanno partecipato esprimendo il loro voto, e una svolta storica nel cambio di governo che, forse per la prima volta, mette davvero paura. Subito si vedono gli effetti con l’intensificarsi di controlli di polizia nei campi, quelli residui, motivati solo dalle circolari ministeriali e da un pugno di ferro che non vuole essere solo una brutta espressione linguistica, ma anzi si traduce in un esasperato cinismo ed esplicito razzismo, di cui non ci si deve più vergognare.

Le famiglie rom dell’auditorium progressivamente sono andate via a partire dall’aprile successivo al nostro Natale, la maggior parte accettando come unica possibilità un piccolo contributo economico da parte del Comune e nessun altro tipo di accompagnamento alla ricerca di una casa. L’ultima famiglia, che non aveva diritto a nessun supporto istituzionale per mancanza di documenti, è andata via qualche giorno fa grazie al supporto informale della parte cattolica della rete che ha seguito la sua vocazione in parte ancora assistenziale. Tutti si sono sparpagliati nella provincia o fuori Napoli, alcune nuove coppie di giovani, che si sono formate nel frattempo, hanno invece lasciato l’Italia. Uno sparuto gruppo di famiglie resiste per il momento a Cupa Perillo, dove non è mai partita la bonifica promessa dopo l’incendio e dove questa estate sono piovute decine di denunce e segnalazioni, anche da parte dei rom stessi, per gli sversamenti illeciti di rifiuti tossici, il mancato prelievo ordinario e l’ennesima conseguente emergenza.

Il Comune, da prima dell’estate, ha smesso di rispondere e di ricevere il comitato di cittadini rom e italiani che per lungo tempo ha provato a portare la questione su un tavolo di trattativa istituzionale, chiudendo porta e orecchie, fino a una divisione delle deleghe delle politiche sociali e a un cambio di assessore che ha riacceso la speranza, in attesa che venga delineata una nuova progettualità. La municipalità è rimasta a guardare in questi mesi di occupazione dell’auditorium, un silenzio preoccupante ma dovuto soprattutto al fatto che, una volta liberato l’auditorium, non saprebbero comunque che farsene e come gestirlo.

Da qualche giorno, in vista dell’inaugurazione della nuova stazione della metro di Scampia, con una impressionante accelerazione del cantiere, con qualche disagio di un paio di mesi per i passeggeri che tuttavia hanno sempre il buongusto di non lamentarsi, ci sono stati nuovi movimenti nel campo e nell’auditorium. Abbiamo visto un presidente di municipalità solerte e attivo aggirarsi per Cupa Perillo e ragionare della bonifica e dell’apertura dell’asse mediano. Lo abbiamo visto aggirarsi per l’auditorium e denunciare la scomparsa di materiali e attrezzature. Abbiamo letto le sue imperiose dichiarazioni contro i gesti di inciviltà e sulla necessità di liberare le aree per consentire alla macchina istituzionale di ripulire e riqualificare la zona. Poi abbiamo visto, per la prima volta in assoluto, il presidente De Luca e lo stato maggiore del Pd in visita a Cupa Perillo, per i quali rom, rifiuti ed emergenza sanitaria sono un unico pacchetto, da rimuovere con forza, decisione e soddisfazione.

Nel silenzio e nell’approvazione generale, forse sta iniziando una nuova politica anche per i rom. I giornali iniziano a fomentare la necessità di fare pulizia anche a costo di includere in questa spolverata generale esseri umani che fanno parte del territorio e sono in prevalenza giovani, donne e bambini che ci sono nati e che non hanno molte possibilità di opporsi. Un implacabile sguardo discriminatorio che proviene da molto in alto giudica le minoranze e di fatto ammette di non accettare la povertà e le forme di resistenza/sopravvivenza. La comunità che continua a fare il suo lavoro di attivismo, denuncia e controinformazione, accusa a sua volta una certa stanchezza e se prova a fare un bilancio degli ultimi quindici anni in materia di rom non può che ritrovarsi con una schiacciante prevalenza negativa. Le comunità rom, forse per la prima volta definitivamente, hanno preso atto che il futuro in questo paese è solo mortificante – per tutti.

La speranza, che con molta buona volontà e forse un’eccessiva dose di fiducia nell’umanità è comunque durata fino a questo nuovo Natale, ormai vacilla pericolosamente. Non possiamo che ripeterci in un sussurro e come un mantra rigenerante, quanto diceva un vecchio nonno kossovaro, un pioniere di Cupa Perillo, che aveva visto la moglie schiacciata da un tetto crollato in seguito ai bombardamenti della pulizia etnica delle guerre balcaniche e che si era messo in viaggio con i figli e tutti i nipoti verso le più accoglienti terre del sud, “andiamo avanti piano piano, avanti andiamo”. (emma ferulano)

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