Il 27 agosto 2017 un incendio, probabilmente doloso, ha distrutto decine di baracche, automobili e camper, bruciato terreni e cumuli di rifiuti, nel campo rom di Scampia a via Cupa Perillo. Dopo quell’incendio, sessanta rom sono stati alloggiati dal Comune di Napoli nell’auditorium di Scampia; gli altri sono stati fatti tornare al campo, nonostante le condizioni ambientali fossero ancora più insalubri rispetto a quelle precedenti all’incendio. Per oltre sei mesi i rom sono rimasti accampati nel teatro, in un contesto assolutamente inadatto all’uso abitativo (un unico bagno, acqua a intermittenza, nessun riscaldamento).
In quei sei mesi le promesse dell’amministrazione de Magistris – dalla sistemazione temporanea nella caserma Boscariello alla bonifica definitiva e riprogettazione del campo – si sono rivelate poco più che chiacchiere da bar. Ad aprile, una discussa delibera riconosceva ai rom che avevano “vissuto” nell’auditorium una modesta somma in cambio dello sgombero immediato della struttura, palesando tutta l’incapacità, e la mancanza di volontà, da parte del sindaco e la sua giunta, di immaginare un futuro diverso per i rom napoletani, rispetto ai campi spontanei, ai villaggi-ghetto, alle baracche.
In questi giorni abbiamo riproposto gli articoli sulla questione pubblicati sul nostro sito nel corso dell’ultimo anno. Oggi ne approfittiamo per fare un riepilogo e un aggiornamento della situazione, oltre che per inoltrare a tutti i nostri lettori un invito.
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Un incendio, un campo, un teatro. Scampia, un anno dopo
27 agosto 2018, è passato un anno. Un incendio, un campo, centinaia di persone coinvolte. La mappatura degli spazi pubblici è da riaggiornare: i campi di Cupa Perillo a Scampia – dove per trent’anni hanno trovato dimora le comunità rom che hanno deciso di far nascere a Napoli i loro figli e pronipoti – si sono ridotti a pochi nuclei ristretti, che sopravvivono tra la volontà di non sradicarsi e la rassegnazione per non poter ottenere una sistemazione più dignitosa.
Dal 28 agosto, giorno successivo all’incendio, l’Auditorium Fabrizio De Andrè si è trasformato in una grande casa di accoglienza. Sessanta persone, che poi diventano cinquanta e che adesso sono una decina. Dal 28 agosto, progressivamente, tutte le attività culturali e sociali che vengono faticosamente realizzate nello spazio, vengono interrotte.
Il quartiere accetta la cosa e, tranne qualche lieve accenno iniziale di isteria razzista, i rom nell’Auditorium vengono lasciati tranquilli, nel tentativo di ripristinare una “normalità”. La scuola, la ricerca della sopravvivenza, i piccoli conflitti e disagi causati da una convivenza forzata in un luogo non idoneo alla vita quotidiana; e poi un matrimonio, Natale, Capodanno, Pasqua, qualche festa estemporanea, l’attività politica, una nascita. L’incendio, traumatico e devastatore, ha intanto innescato un percorso mirato fin dall’inizio ad affrontare, in maniera radicale, il tema dell’abitare, provando a costringere l’amministrazione comunale a fare altrettanto.
È stato un anno di tavoli istituzionali, lettere aperte al sindaco, articoli e comunicati stampa, presidi e mobilitazioni, eventi culturali, dibattiti e proiezioni. Un anno in cui rom e gagiò insieme hanno portato all’attenzione pubblica l’invisibile questione del diritto all’abitare di una comunità che, nell’immaginario della collettivo (istituzioni comprese), resta e deve restare ai margini. In questo anno, a quella dei rom di Scampia, si è intrecciata la storia dei duecentocinquanta rom di Gianturco che, perennemente sotto sgombero, sono ancora in attesa di risposte da parte del Comune.
A colpi di promesse mancate e cronoprogrammi puntualmente disattesi, l’amministrazione ha raggiunto pochissimi e mediocri risultati, frustrando ogni istanza rivoluzionaria, nel senso di “ribaltamento”, di percorso di lotta, capace di sovvertire lo status quo: una società che lascia ai margini i più poveri, a partire dalle condizioni abitative, rendendone impossibile la mobilità, l’emancipazione, l’inclusione.
Per i nuclei familiari che in seguito all’incendio sono potuti restare al campo, nonostante l’area fosse fortemente inquinata e con una ordinanza di sgombero tuttora pendente, a distanza di un anno nulla è cambiato. Non sono stati sgomberati e non è stata intrapresa alcuna bonifica del terreno, esponendo a rischi incalcolabili la salute delle persone, nonostante le parole di un vicesindaco assai risentito della possibilità che qualcuno avesse potuto dubitare del suo piano. In compenso, una camionetta dei militari presidia giorno e notte l’ingresso dei campi, non riuscendo comunque a impedire gli sversamenti illegali in un punto del campo dove non viene effettuata la raccolta ordinaria dei rifiuti. I rom stessi provano periodicamente a denunciare, soprattutto quando non vengono minacciati dagli autori – italiani – degli sversamenti. L’unica pulizia – quando la strada era diventata completamente ostruita, in piena estate, con il rischio molto concreto di un nuovo incendio e la certezza di contrarre infezioni – è stata effettuata da un gruppo di scout volontari del nord Italia, legati ai gesuiti di Scampia. Encomiabile ma al tempo stesso surreale.
Non ha tardato intanto a farsi sentire il cambio di governo nazionale: il nuovo indirizzo politico si è tradotto in massicci blitz delle forze dell’ordine effettuati in contemporanea nei maggiori campi di tutta Italia, con lo slogan di “tolleranza zero verso le zone franche di illegalità”. Qualunque cosa significhi.
Gli abitanti del campo, comunque, resistono e vivono. Le piogge tropicali di agosto hanno già allagato varie volte le strade di collegamento, anticipando il già noto scenario autunnale. Si cerca di lavorare e di mantenere una dignità. A breve ricomincia la scuola: bisogna pensare a libri, quaderni e penne da comprare. Nascono nuove vite in condizioni difficili persino da raccontare, ma circondate da fratelli, sorelle, sorrisi e il calore di una rete solidale da tempo attiva. Per quanto riguarda le famiglie in Auditorium invece la saga non è ancora finita.
Dopo la sospensione di ogni (minima) fornitura di servizi pubblici a partire da ottobre 2017, la maggior parte delle famiglie è andata via nel mese di aprile, dopo aver ricevuto il contestato contributo una tantum da parte del Comune, per iniziativa dell’assessore al Welfare. Per loro si è delineato il triste scenario già ampiamente descritto, ma da parte dell’amministrazione non si ammettono repliche. Dal Comune rivendicano infatti a pieno il proprio operato: la cospicua elemosina ha funzionato per far allontanare in silenzio quasi tutte le persone presenti in Auditorium. Secondo l’assessore Gaeta e i suoi funzionari, si è trattato di “un percorso verso l’autonomia delle persone”.
Le persone in questione, hanno fatto quanto potevano. Tre famiglie hanno occupato un’area nel cosiddetto Villaggio della solidarietà di Secondigliano, con i bambini che hanno interrotto la scuola, e saranno ora costretti periodicamente a spostarsi. Un nucleo si è trasferito a Latina, occupando un terreno, con l’interruzione della scuola, dei laboratori di teatro, di musica e quant’altro. Un altro ancora ha trovato, già prima del contributo, domicilio presso un familiare a Sant’Arpino, trasferitosi in seguito ai continui problemi di salute dei figli. Un gruppo familiare più esteso ha trovato dimora a Mondragone. Altri ad Arzano. Risultato: sradicamento territoriale completo. Poco importa, di fronte “alla ritrovata autonomia”.
Qualcuno però ancora resta in Auditorium, un paio di spine nel fianco dell’amministrazione. Tre famiglie che non sono potute accedere al contributo per l’assenza dei permessi di soggiorno, ma che comunque sono rimaste vittime dell’incendio e non posseggono più nulla. Stando alle dichiarazioni pubbliche, l’amministrazione si sarebbe dovuta far carico di seguire l’iter giuridico per ottenere i documenti. Inutile raccontare come è andata a finire.
Per queste tre famiglie la soluzione proposta è la ex scuola Deledda a Soccavo, centro completamente decontestualizzato dal quartiere di Scampia, soluzione rifiutata a ben donde dalle famiglie, tanto più dopo le ennesime promesse a vuoto. Gli efficienti funzionari dell’ufficio rom del Comune si sono presentati e hanno dato un ultimatum alle famiglie: raccogliere tutto e andar via entro il 7 agosto, alla Deledda o altrove. Quel giorno le famiglie si sono barricate nel teatro. Tra di loro c’è una persona con una grave patologia, più volte ricoverata d’urgenza al pronto soccorso durante l’anno, e i restanti sono prevalentemente donne e bambini. Gli sgomberi coatti non sono arrivati, complice l’estate e il vuoto istituzionale.
L’intenzione è quella di non muoversi, rivendicando lo stesso trattamento delle altre vittime dell’incendio. Una lotta che ha oggi il volto di I., che quotidianamente spazza via dall’ingresso le foglie di tiglio che già iniziano a cadere. I. Intrattiene relazioni con il vicinato, comprese le forze dell’ordine del commissariato di polizia accanto, fa lunghe passeggiate e ogni tanto la trovi ferma a riflettere in un punto fresco del quartiere. Chiede gli stessi diritti che hanno tutti, e si chiede perché nessuno la ascolti. Oggi, 28 agosto, festeggerà con le altre famiglie la Festa d’estate, una specie di ferragosto ortodosso, che non ha potuto celebrare l’anno scorso per colpa dell’incendio. Cuoceranno il pane e le sarme da Chikù, sopra l’Auditorium, mentre il maiale e l’agnello per l’arrosto sono già pronti da un paio di giorni. Il pane verrà spezzato in un rituale di augurio: devono recuperare due anni di festa mancata, e ringraziare per essere sopravvissuti all’incendio. Siamo tutti invitati a festeggiare con loro. (emma ferulano)
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