Il 27 agosto 2017 un incendio, probabilmente doloso, ha distrutto decine di baracche, automobili e camper, bruciato terreni e cumuli di rifiuti, nel campo rom di Scampia a via Cupa Perillo. Dopo quell’incendio, sessanta rom sono stati alloggiati dal Comune di Napoli nell’auditorium di Scampia; gli altri sono stati fatti tornare al campo, nonostante le condizioni ambientali fossero ancora più insalubri rispetto a quelle precedenti all’incendio. Per oltre sei mesi i rom sono rimasti accampati nel teatro, in un contesto assolutamente inadatto all’uso abitativo (un unico bagno, acqua a intermittenza, nessun riscaldamento).
In quei sei mesi le promesse dell’amministrazione comunale – dalla sistemazione temporanea nella caserma Boscariello alla bonifica definitiva e riprogettazione del campo – si sono rivelate poco più che chiacchiere da bar. Ad aprile, una discussa delibera riconosceva ai rom che avevano “vissuto” nell’auditorium una modesta somma in cambio dello sgombero immediato della struttura, palesando tutta l’incapacità, e la mancanza di volontà, da parte di de Magistris e la sua giunta, di immaginare un futuro diverso per i rom napoletani, rispetto ai campi spontanei, ai villaggi-ghetto, alle baracche.
Riproponiamo a seguire alcuni dei pezzi pubblicati nel corso dell’ultimo anno sul nostro sito.
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Neve a Scampia. Un’alba qualsiasi per i rom dell’auditorium
Anche stamattina il nonno si sveglia circondato dalle urla dei suoi nipoti e di molti altri bambini che suoi non sono. Avrebbe volentieri dormito ancora un po’, di notte è dura prendere sonno con quelle vetrate enormi da cui filtra la luce fioca di un lampione inopportuno. Per quanto abbia provato a coprirle con teli di qualunque dimensione e fattura, non c’è niente da fare, quel piccolo fascio di luce è implacabile. Anche spostarsi è impossibile: sono in sette nella stanza e i bambini una volta addormentati diventano sassi.
Il freddo è insistente, anche se sono riusciti a ottenere i riscaldamenti accesi di notte, e in genere sono sufficienti, basta dotarsi di qualche strato in più. Così non c’è nient’altro da fare che cedere alle urla, alzarsi e iniziare la giornata, constatando quel dolorino alla gamba destra che anche oggi lo accompagnerà senza dargli tregua.
Beve un bicchiere d’acqua a metà e decide di prendersi un caffè al bar tabacchi di fronte. Fruga nel vecchio pantalone e trova qualche spicciolo. Si pettina i folti capelli grigi e i baffoni sfruttando il riflesso sulla vetrata. Il bagno è sempre occupato, troppa gente lo deve condividere. Si avvia verso l’uscita attraversando il grande atrio gelido. Ci sono altri uomini già vestiti, seduti a fumare e a giocare con i telefonini, non capisce se non sono mai andati a dormire o se si sono alzati all’alba. Gli sembrano drogati da lucette e suoni metallici. Lui è troppo vecchio per queste cose ma i suoi nipoti meriterebbero di averle, come tutti i loro coetanei. Chissà, magari salta fuori qualche affare in provincia…
Osserva le donne, nervose, lente, in pantofole, sempre con il mal di testa e indaffarate a separare vestiti e pannolini, circondate dai loro bambini: i piccoli in carrozzina, i grandi a rincorrersi e aggrapparsi (ma non dovevano già essere a scuola?). Mettono a posto i contenitori di acciaio dove quasi tutti i giorni preti, suore, volontari o chissà chi, porta da mangiare per tutti. A volte si sente fortunato perché arriva qualche zuppa come si deve, fumante e con la carne, ma quasi sempre arriva la pasta. Pasta condita in tutti i modi, tutti i santi giorni. Ma come fanno gli italiani? All’inizio, e per un lungo periodo, è stato costretto a mangiarla, con grande senso di gratitudine per carità, ma senza piacere né gusto. Poi per fortuna sua moglie si è procurata un frigorifero e una piastra elettrica. Così sono riusciti a passare un Natale quasi come si deve, così come si predispongono a passare la Pasqua, che pure ha la sua importanza. Ora possono cucinare qualche piattino delizioso e dal sapore forte, e persino invitare amici a tavola senza fare brutta figura. Al momento è questa casa loro, tanto vale ricreare un ambiente accogliente e dignitoso, anche se quella vera, perduta nell’incendio ormai sette mesi fa, non gliela restituirà più nessuno. Avevano anche un piccolo orto che i nipoti avevano imparato a curare, qualche gallina e un po’ di spazio per il maiale. Niente a che vedere con la natura della sua infanzia in Serbia e con i villaggi in Francia e Germania dove ha vissuto, ma era comunque qualcosa. (continua a leggere…)
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