da: osservAzione.org
Quello che è accaduto lo scorso venerdì, durante e dopo la presentazione del libro di Maurizio Alfano, I rom la razza ultima, presso Archeobar in via Mezzocannone a Napoli, merita qualche riflessione per capire come muoverci e aiutarci tutti a ritrovare la bussola, per migliorare la vita dei rom e anche dei non rom. Nonostante Osservazione abbia una posizione precisa e molto critica rispetto all’operato delle amministrazioni locali campane sul tema rom, ho accettato di fare la moderazione dell’evento innanzitutto perché il libro di Maurizio Alfano esprime in maniera netta una critica delle politiche pubbliche di ghettizzazione e segregazione finora attuate e ancheper provare a percorrere una possibile strada di avanzamento della discussione a Napoli, da troppi anni ferma al palo. L’incontro è stato da un certo punto di vista disastroso, ma proprio per questo può aiutarci.
L’assessora Gaeta ha disatteso l’invito e l’unico amministratore locale presente era Angelo Pisani, presidente dell’ottava municipalità. Dopo l’introduzione mia e di Maurizio Alfano, ho chiesto a Pisani quale fosse la sua proposta politica per risolvere la situazione, dopo aver denunciato le condizioni disumane in cui vivono i rom. Dopo le prime affermazioni giudicate razziste, alcuni membri del collettivo antirazzista Versus hanno gridato a gran voce contro Pisani, probabilmente anche esasperati per il periodo di denunce contro il campo di Scampia. Pisani ha immediatamente chiamato la polizia e contattato i giornali. Il Mattino ha riferito di un’aggressione fisica che non c’è stata e dell’impedimento a proseguire gli interventi.
In realtà, dopo la contestazione Pisani ha proseguito il suo intervento affermando che il superamento delle condizioni disumane dei rom passa per la chiusura dei campi e l’inserimento dei rom nelle case come tutti gli altri. Un’affermazione, a mio avviso, importante se fosse seguita da atti concreti.
Da questo scontro quale vantaggio ne deriva per i rom?
I rom vivono a Cupa Perillo, privi dei servizi essenziali, in un luogo circondato dai rifiuti che vengono sversati da chiunque, da venticinque-trent’anni. Le uniche proposte che sono arrivate dalle amministrazioni locali a Napoli sono state: il campo dietro al carcere di Secondigliano, insediamento temporaneo dove ottocento persone vivono da quindici anni nei container tra il carcere e la strada detta “doppio senso”; il centro di accoglienza solo per rom nell’ex scuola Deledda di Soccavo, dove circa centoventi persone vivono da otto anni e devono segnare l’orario di entrata e di uscita consegnando i documenti; da ultimo, il progetto di un nuovo villaggio monoetnico a Scampia per circa sette milioni di euro.
Queste politiche, ormai per opinione consolidata a livello nazionale e internazionale, al di là delle buone intenzioni, sono profondamente razziste. Perché operano interventi differenziali e connotati etnicamente e considerano i rom non degni di avere condizioni pari a tutti gli altri, quindi inferiori. Non hanno mai portato a un miglioramento delle condizioni di vita dei rom, come dei non rom, né tanto meno hanno prodotto inclusione. In Campania il caso più grave è stato certamente quello di Giugliano, dove con quattrocentomila euro sono state piazzate trecentocinquanta persone, di cui duecento bambini, in un rettangolo di terra completamente isolato da tutto, nell’epicentro della Terra dei fuochi, all’interno della ex Resit, con i fumi tossici che circondano l’area. Ma la stessa matrice hanno anche gli altri interventi citati.
Se rispetto all’antisemitismo siamo ormai sensibili e abbiamo gli anticorpi, rispetto all’antiziganismo siamo ancora accecati e siamo portati a derogare sistematicamente a una visione egualitaria che offra ai rom le stesse possibilità degli altri. Ciò avviene, principalmente, perché offrire ai rom pari opportunità non conviene per il consenso elettorale. Stretta dalle destre che fanno campagna elettorale contro i rom, le sinistre o seguono la linea dura degli sceriffi – per citarne alcuni, iniziò Cofferati a Bologna, poi Veltroni a Roma che “deportò” tutti i rom fuori dal raccordo anulare, per finire con le recenti affermazioni di De Luca, candidato Governatore della Campania del PD – oppure offrono soluzioni di facciata e buoniste, ma differenziali e razziste. In questo modo il razzismo buono apre la strada al razzismo cattivo. Se i rom devono vivere nei campi o nei villaggi attrezzati ai margini delle città, saranno sempre attaccabili come gruppo. Se vivono nelle case come gli altri non vengono attaccati. Su duecentomila persone rom residenti in Italia, centoquarantamila vivono in normalissime case, ma nessuno lo sa. In questo senso abbiamo provato a raccontare alcune storie nel documentario Fuori campo di Sergio Panariello.
Le amministrazioni pubbliche dovrebbero sostenere percorsi di autonomia, di inserimento al lavoro e alla casa, per colmare le distanze dettate in primo luogo dal pregiudizio: chi prenderebbe un rom a lavorare se dichiarasse di essere tale o se è identificabile dalla strada in cui vive? Chi gli offrirebbe una casa in affitto? Leonardo Piasere, un importante antropologo che ha studiato a lungo la questione rom, ci suggerisce di sostituire la parola “ebreo” tutte le volte che troviamo quella “rom”. Che effetto ci fa sentire parlare di villaggio di accoglienza per ebrei, insediamento abitativo temporaneo per ebrei, piano ebrei, ufficio ebrei, e così via?
Concentrare tutta l’attenzione contro Pisani, che nel caso specifico ha sfruttato la bagarre a fini pubblicitari, distoglie, a mio avviso, l’attenzione dal guardare a quali obiettivi dobbiamo puntare per superare il razzismo verso i rom. Se Pisani dice che i rom devono avere la casa, bisognerebbe spingerlo a porre in essere atti concreti, per verificare se è in buona fede ed è intenzionato a spendersi in tal senso. Così come bisognerebbe respingere con forza ogni proposta differenziale che consideri i rom inferiori, come i villaggi costruiti sotto gli standard abitativi per tutti, monoetnici e temporanei, anche se hanno l’orto e i pannelli fotovoltaici. Perché sono ghetti della “solidarietà”, perpetuano il pregiudizio, rinforzano lo stigma, creano distanze. E ci pongono, subito dopo averli costruiti – non dimenticandoci lo scandalo a Roma di Mafia Capitale –, il problema di come eliminarli, con enorme dispendio di denaro pubblico, anche per la gestione (vedi pubblicazione Segregare Costa di Osservazione/Compare/Berenice e Lunaria). Tra l’altro, ormai, con la normativa europea – recepita nella strategia nazionale – è sostanzialmente impedito alle amministrazioni di farlo. E occorre che i gruppi sensibili siano vigili in questo senso. (francesca saudino)
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