Per oltre due ore, quasi mille persone hanno attraversato ieri il centro di Napoli, in segno di protesta per la morte di Ibrahim Manneh, il giovane ivoriano morto nella notte di lunedì, dopo aver chiesto invano per oltre dodici ore l’arrivo di una ambulanza, e aver, altrettanto inutilmente, peregrinato in giro per la città alla ricerca di aiuto. Il corteo è partito poco dopo le quattro da piazza Garibaldi, arrivando fino in prefettura a piazza Plebiscito, dove alcuni familiari e amici del ragazzo sono stati ricevuti per chiedere giustizia e accertare le responsabilità sull’accaduto.
Alla partenza della manifestazione, i partecipanti sono quasi tutti africani. Nigeriani, senegalesi, gambiani, ivoriani. Si dispongono dietro tre striscioni, prendendo a turno la parola al megafono e urlando la loro rabbia, per lo più in francese. «Basta razzismo», è tuttavia il coro secco, più frequente, che parte dalla pancia del corteo. Un tizio un po’ agitato urla qualcosa riguardo Allah, ma viene allontanato bruscamente: «Qui abbiamo un problema!», gli grida uno dei rappresentanti della comunità senegalese. «Ci lasciano morire per strada come i cani, non c’entra niente, adesso, Allah!».
Anche Mamadou è senegalese. Ci conosciamo da molti anni, ma non sono pochi nemmeno quelli trascorsi dall’ultima volta in cui ci siamo visti. Parliamo un po’ di quello che è successo. Più che arrabbiato è sconsolato. Mi racconta che non si è affatto stupito, quando ha saputo della morte di Ibrahim, perché «a tutti i neri che stanno per strada è successo almeno una volta di stare male e che al pronto soccorso non ti vogliono o ti vogliono far pagare soldi che non hai». Ci guardiamo intorno. È lui a farmi notare che di bianchi non se ne vedono molto in giro. Saluta i ragazzi di una scuola di italiano per stranieri di un centro sociale, e mi ricordo improvvisamente che quando l’ho conosciuto parlavamo francese. Mi fa notare che anche i neri dovrebbero essere di più, ma che «non sono tempi che si può uscire per strada a far casino, anche per una cosa così grave. Molti dei miei amici sono senza documenti. Chi se la sente di andare fuori la prefettura, con il rischio che ti prendono e ti mandano a casa il giorno dopo?».
Tanti tra i ragazzi che partecipano alla manifestazione provengono invece dai Cas della città e della provincia. I Cas sono quelle strutture private (alberghi soprattutto, ma anche grandi ristoranti) riconvertite in centri di accoglienza sulla base di un contratto tra la prefettura e le cooperative, nella maggior parte dei casi senza alcuna gara pubblica e di conseguenza garanzia di affidabilità. Anche per i rifugiati dei Cas non è stato facile partecipare, a causa dei regolamenti interni che disciplinano militarmente gli ingressi e le uscite dai centri. Anche nel caso di questi centri, il problema dell’assistenza sanitaria è oggetto di diverse denunce e sporadiche azioni di protesta da parte dei migranti, dal momento che la minaccia della revoca del provvedimento di accoglienza è decisamente preoccupante per i rifugiati che vi abitano. È successo recentemente a tre ragazzi che si sono visti ritirare il permesso con il pretesto di una rissa a cui dicono di non aver mai partecipato (sono i tre ragazzi africani che erano stati mandati, non si è ancora accertato da chi, a votare alle primarie del Partito Democratico), mentre non si hanno notizie delle evoluzioni giudiziarie sul caso del decesso di un bambino di appena sette mesi, morto senza ricevere le cure adeguate all’interno di un centro di Marano.
Il corteo arriva davanti la prefettura intorno alle 18:30. Qualche momento di agitazione da parte degli amici di Ibrahim si registra al passaggio davanti una delle farmacie di corso Umberto che ha sbrigativamente rimandato a casa il ragazzo, rifiutandosi anche di intercedere per la chiamata dell’ambulanza. Una volta sfilato il serpentone di persone, il titolare imbarazzato si difende biascicando alibi come la mancanza di ricette mediche, la pericolosità di restare aperti di notte, l’impossibilità per un farmacista, a dispetto dei medici, di prendersi qualsiasi responsabilità di diagnosi o di sollecitare l’arrivo di soccorsi.
Giunto in piazza Plebiscito, il corteo ha perso qualche pezzo, ma chi è rimasto si trattiene ad attendere l’uscita dei partecipanti all’incontro in prefettura. A dispetto delle parole di solidarietà rilasciate qualche ora prima, il sindaco e gli esponenti dei partiti di sinistra che affollano i banchi del consiglio comunale non si sono visti in giro, eccezion fatta per qualche militante di Rifondazione Comunista che sfila non rinunciando naturalmente a sventolare la sua bandiera. Qualcuno tra gli attivisti della rete antirazzista prova, come si dice in gergo, a “rilanciare la mobilitazione”, quando i migranti chiedono che cosa si potrà fare ancora perché la morte di Ibrahim non sia una morte impunita. Poi guardano gli orologi, i migranti, e si accorgono di dover tornare in fretta nei centri in cui sono “accolti”, se non vogliono rischiare di passare la notte all’aperto. (riccardo rosa)