La saggistica annoia tutti quelli che non sono addetti ai lavori. La saggistica sul carcere, poi, si rivolge a una nicchia di studiosi e operatori e risulta estranea a chi non si interessa in modo specifico del tema. Ma ci sono delle rare eccezioni che ti riconciliano con la scrittura. “Il Carcere Manicomio. Le carceri in Italia fra violenza, pietà e camicie di forza” (Sensibili alle foglie, 2011 pp.80, 13 euro), scritto da Salvatore Verde, sociologo, è un saggio breve e tagliente, non tanto e non solo sul carcere ma sul proliferare dei luoghi di internamento della sofferenza. Le ottanta pagine scorrono leggere, senza mai incespicare, e rivelano dispositivi che hanno una diffusa applicazione all’esterno delle istituzioni totali.
Il tema centrale sono le carceri, come recita il sottotitolo. Carceri sempre più affollate, in una progressione che ha visto la popolazione detenuta più che raddoppiare nell’ultimo decennio e in una condizione di perenne emergenza. E sono proprio i meccanismi di governo di questa emergenza al centro della riflessione. E il carcere non è più un luogo di eccezione, ma semplicemente uno dei luoghi in cui si sperimentano queste forme di controllo e dove se ne innestano delle nuove, provenienti da altri campi disciplinari come la psichiatria.
La domanda che Verde si pone è: “Come si trasformano le forme del potere che assicurano il governo del carcere?”. In altri termini, come è possibile che in un luogo così estremo e così allo stremo vi sia ancora un equilibrio? Questi i punti su cui si basa la risposta: 1) l’utilizzo delle misure alternative e della premialità a condizione del rispetto dell’ordine disciplinare interno; 2) la sostituzione dei servizi sociali con un sistema caritativo-filantropico e l’affidamento alle imprese sociali di parti di gestione del carcere; 3) l’integrazione dei dispositivi tipici delle realtà manicomiali nella gestione della sofferenza e della fragilità umana; 4) la rimodulazione dei regimi disciplinari e l’utilizzo della forza.
Di questi punti, tutti da approfondire, quello che vogliamo qui evidenziare è l’analisi della manicomializzazione della prigione. Nel carcere sono almeno ventiduemila le persone sottoposte a un protocollo psichiatrico. Scrive Verde: “L’ordine disciplinare della prigione interpella la psichiatria ogni qualvolta saltano i suoi dispositivi (…) e la psichiatria (…) interviene fondamentalmente nella definizione di protocolli finalizzati a riadattare il singolo all’ambiente detentivo”. E lo fa unicamente attraverso il canale della somministrazione farmacologica, con un approccio medicalizzante rivolto ad aggredire il sintomo.
Un trattamento chimico della sofferenza che evita accuratamente di connettere il disturbo mentale con la condizione di vita del prigioniero. E l’innesto di forme di controllo psichiatrico – per esempio nella gestione dei centri di detenzione per migranti – dimostra “la diffusa tendenza a psichiatrizzare il modello disciplinare della prigione” e la sua pervasiva diffusione. Attenzione, però. Il carcere non è il luogo esclusivo dove tutto ciò sta accadendo. Certo, è il luogo dove questo processo è più visibile, ma è nel “fuori”, nel progressivo smantellamento dei servizi di salute mentale e nella crisi del welfare, che vanno individuate le connessioni e le ragioni. E l’affermarsi di una pratica psichiatrica volta solo a contenere e controllare il sofferente psichico è testimoniata anche dai tentativi di rendere più stringenti, anche sul piano legislativo, le norme che impongono il trattamento sanitario obbligatorio.
Un tema questo che riguarda le decine di migliaia di persone che ogni anno si rivolgono ai servizi di salute mentale e che ricevono, sempre più spesso, risposte incapaci di una presa in carico del disagio. Una dinamica che dal carcere e verso il carcere produce nuovi saperi e poteri di gestione della crisi, sulla quale bisogna riflettere e intervenire. Che fare? Secondo il nostro autore, “bisognerà moltiplicare le vigilanze democratiche, le azioni di tutela, le pratiche di aiuto a tutta quella umanità che sarà vittima dei crimini di pace”. Sottoscriviamo, aggiungendo solo, che questo non è un compito che spetta ai tecnici della materia o agli specialisti democratici, ma che richiama ciascuno a una militanza quotidiana contro ogni forma di internamento e di medicalizzazione della sofferenza. (dario stefano dell’aquila)
È possibile, oltre all’acquisto in libreria, scaricare gratuitamente il pdf del libro dal sito www.ilcarceremanicomio.it.