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scuola
25 Gennaio 2011

Ci portate a fare una gita?

Salvatore Pirozzi
(disegno di cyop&kaf)

C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico tra i giovani dei Quartieri Spagnoli che frequentano corsi di pre-formazione al pre-lavoro pre-via pre-parazione con educatori sociali di lunga generazione. Un clima diverso, fatto di domande, richieste, più parole e meno agiti. Fatto anche di improvvisa e diversa curiosità, cioè cura, verso di loro.

Follia sociologica vorrebbe indagare le ragioni di questi cambiamenti, vorrebbe classificarli, prima nelle vecchie voci, ora magari in qualche diversa etichetta. Insomma dopo l’analisi dei bisogni e dei bisognini il precipitato non può che essere un’identificazione, una schedatura con tante percentuali.

La ricerca dei fattori spinge a cercare la causa del fenomeno: forse A dipende da B; epperò che cacchio, dallo stesso A non sempre succede B, ma qualche volta C.

Saggezza empirica suggerisce blandi fattori: sono giovani che vanno verso i diciotto anni, hanno preso qualche palo, forse sono anche, in virtù dei pali e per la virtù di chi non li ha bollati, capaci di riflettere. Sono un target diverso…

Saggezza empirica, rilassata curiosità rivelano che forse l’abbandono delle immarcescibili forme dell’aula, della spiegazione che precede il mondo, che sola ne renderebbe possibile la comprensione, che alimenterebbe la consapevolezza dei ragazzi e delle ragazze, facilita l’ascolto.

Se andate per scuole e centri di formazione quasi ovunque i ragazzi, i quasi adatti, fanno ohohohohohoh! e gli adulti fanno sssssccccchhhh! E anche quando cala il silenzio spesso significa solo che quelli stanno zitti, non che stanno attenti. In un’aula dove c’è silenzio, dice la Pontecorvo, vuol dire che nessuno sta imparando niente.

La mente della geometrica potenza pensa che finalmente ha trovato gli strumenti per realizzare la perfetta efficacia, l’onnipotente efficienza.

Saggezza empirica, ma basta un po’ di buon senso, rivela che forse questa novità deriva dalla familiarità, dalla fiducia che questi ragazzi trovano negli adulti che li hanno incontrati e presi in carico. Rivela che questo reciproco riconoscimento è il deposito di anni e anni di abitazione del quartiere da parte dei ragazzi che fanno lavoro sociale, delle istituzioni (sì) che incessantemente faticano per trovare risorse; che c’è fiducia n questi “pappici” che hanno bucato le noci. Un risultato che nessuno vuole vedere. Gli esperti bandi(s)ti dell’FSE non li prevedono, non hanno format utili.

La vera offerta formativa sta in questi legami, nella sorpresa di poter dire: Ce la fate fare una gita? Vogliamo stare un po’ insieme? Ma dovete venire, rivolti agli adulti, pure voi.

Questi giovani, molti di loro, vanno anche a lavorare, sono diventati capaci di stare in un posto quattro cinque mesi, alcuni vengono anche presi a faticare. Ma chiedono altro. Finalmente un posto e delle persone dove le loro aspirazioni sono prese sul serio, le loro richieste non sono evase come un disturbo non previsto. Degli adulti significativi con cui interloquire. Si è aperto uno spazio anche negli adulti.

I ragazzi non hanno letto Sen, né la Nussbaum e neanche Sennett. E neanche gli educatori li hanno letti. Ma sono tutti capaci di capire che i ragazzi cercano altro oltre l’offerta formativa. Chiedono un ben-essere, uno spazio e un tempo, un pezzo di città, uno spazio politico, dove poter disegnare qualcosa che per loro possa aver senso, che loro possano far funzionare, che li aiuti a fiorire.

Il loro inconsapevole manuale è la Dichiarazione dei diritti dell’infanzia, a partire dal primo: essere aiutati a domandare, poter chiedere.

È come se le vecchie forme e le vecchie maniere dell’offerta, declinata in tutte le sue salse, del pensare al posto dei ragazzi, dell’insegnare, del formarli secondo le forme già prestabilite del mismatching lascino il tempo alla lentezza, lascino il tempo ai ragazzi di fare loro le domande, senza violenza, senza pretese, quasi sapendo, da adulti, che la risposta non sarà un’ubbidienza a un capriccio, ma quel meraviglioso Mo’ vediamo se – com’è bello il “se”… – e come si può fare. (salvatore pirozzi)

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