La nuvolaglia minacciosa che si affaccia sul mare lascia presagire che non ci sarà alcuna calma dopo la tempesta. Il temporale estivo della scorsa notte ha lasciato il ricordo di una serata di burrasca. A Bagnoli restano le grosse pozzanghere, il vento fuori stagione e l’aria elettrica alimentata dai raggi del sole che sgomitano tra le nuvole. Via Coroglio è quasi deserta: qualche amatore fa footing in tenuta da maratoneta, un paio di pescatori rientrano a casa, mentre qualcuno si incammina verso il mare, sdraio alla mano, nonostante il tempo. Alle spalle della spiaggia di Coroglio c’è quel che resta di Città della Scienza, o meglio delle strutture del polo museale incendiate quattro mesi fa. Venerdì, i giudici che si occupano del caso hanno disposto il dissequestro dei dodici ettari che erano rimasti finora sotto sigilli per permettere gli accertamenti tecnici. Tra i ruderi, però, non si può ancora andare a passeggio: dalla spiaggia una recinzione scavalcabile ne impedisce l’accesso, mentre dalla strada i cancelli del museo sono chiusi da grossi catenacci e i curiosi sono scoraggiati da divieti di vario genere.
Dal lato opposto della strada c’è l’altra parte di Città della Scienza, quella che non affaccia sul mare, e che è stata risparmiata dai piromani. Le indagini della magistratura vanno avanti, il dibattito sulla ricostruzione prosegue, anche se l’attenzione dei media è fisiologicamente calata. Il comune, spinto da una delibera (che segue i dettami del piano regolatore) approvata a settembre per le pressioni del comitato cittadino per la spiaggia pubblica, dovrebbe sgomberare il litorale da tutti gli edifici che vi insistono al momento; dall’altro lato c’è la fondazione Idis, che sull’onda del leitmotiv sul ricostruire “subito e com’era”, vorrebbe ricollocare le strutture sulla spiaggia, nuovamente in deroga al piano. Sempre meno, nel frattempo, si dibatte sulle responsabilità dell’incendio. Non sembra essere più così importante capire chi abbia appiccato il fuoco e perché, come se la cosa non fosse legata al passato, al presente e al futuro del museo.
Alla biglietteria due persone annoiate mi accolgono con un mezzo sorriso. Per entrare devo pagare due euro, cifra che sembra essere un sostegno alla ricostruzione più che un vero biglietto d’ingresso, considerando la pochezza di quello che c’è all’interno. Sul muro risaltano tre cartelli che scandiscono i nomi degli addetti alla prevenzione incendi, all’assistenza in caso di emergenze e al primo soccorso. L’impressione è che si sia molto attenti alla sicurezza. Una volta dentro mi avvicino all’Infopoint, dove non c’è nessuno. Ne sono sollevato, prendo una piantina del museo e mi allontano. Sopra la mappa alcuni rettangoli rossi segnalano gli spazi che riapriranno “dal 1 aprile 2013, con un programma a tappe”. Tra questi i laboratori didattici e il ristorante, che si trovano dal lato mare, la cui ripresa del servizio è ritenuta cosa scontata, indipendentemente delle possibili decisioni sulla ricostruzione in altro loco.
L’atmosfera all’interno è pompeiana. Sarà che è sabato, e non ci sono visite per le scuole; sarà che si approssima l’estate e la gente avrà preferito andare altrove; ma nel piccolo giardino che costeggia lo Science Centre in costruzione ci siamo solo io e un paio di bambini che si rilassano sulle amache colorate. Alle loro spalle un telo verde scuro prova con scarsi risultati a celare i detriti, le sedie sfasciate, i mattoni e il materiale industriale depositato ai piedi del futuro mausoleo della scienza. Il silenzio del cortile parla di tutto fuorché di un museo didattico per bambini, e all’interno questa sensazione è amplificata. I due grandi capannoni, quello dedicato agli eventi e l’incubatore di imprese, sono completamente deserti, e così girare a vuoto per le sale dà l’idea di star facendo qualcosa di proibito. Quando mi imbatto nelle rare anime vaganti (addetti alle pulizie e custodi), ci guardiamo per un secondo chiedendoci reciprocamente cosa possa mai star facendo l’altro, di sabato mattina, in pieno deserto. Poi decidiamo che avrà una buona ragione, e tiriamo dritto senza fare domande.
Dopo aver studiato un po’ i progetti prodotti dalle imprese ospitate dal polo (in particolare mi affascina un “Contenitore urbano integrato a punti di sigarette”, che se ho capito bene è una specie di canestro a premi in cui buttare le cicche per strada), decido di visitare le due mostre più pubblicizzate della Città della Scienza del post-incendio. L’Avventura sui vulcani e la Mostra delle farfalle sono due stanze poco più grandi di una camera da letto, in cui si accumulano pannelli su cui è scritta la storia dell’Etna o è spiegato il rapporto tra l’arte e le farfalle, dal Rinascimento a oggi. Provo ad azionare alcune strumentazioni per gli esperimenti, ma non essendo pratico di crateri rischio di romperle, e così, non vedendo nessun addetto disposto ad aiutarmi, e soprattutto non volendo arrecare ulteriori danni al museo, decido di soprassedere. La validità scientifica delle esposizioni, in ogni caso, è assicurata (oltre che dal pannello “Le falene nell’arte”, la cui immagine principale è la locandina sgranata de “Il silenzio degli innocenti”) dalle dettagliate illustrazioni, dalle farfalle imbalsamate e da una spiegazione tecnica tradotta in un opinabile inglese. Nella stessa stanza delle farfalle spiccano quattro monitor a muro che illustrano la “mappa globale dei terremoti”, le modalità di vibrazioni della crosta terrestre, e (forse) le differenti reazioni delle farfalle al moto ondulatorio e sussultorio.
Sono questi, in sintesi, i risultati della “gara di solidarietà” partita dopo il rogo (le esposizioni sono state donate dal Museo Tridentino di scienze naturali, dalla Federico II, dai musei scientifici di Roma e dal Sissa MediaLab di Trieste). Non è dato sapere se un destino migliore lo avranno le altre iniziative nate in questi mesi a sostegno di un posto che ormai, come dice una canzone “provoca rumore e commuove gli ipocriti”: libri, raccolte fondi e partite di beneficenza, inchini di barche a vela, uova di cioccolata, pizze benefiche e tutto il corollario di promesse e parole, indignazione e notorietà che tanto fa gola ai soliti noti. I soldi raccolti da questo flipper impazzito, pare ammontino a più di cinquecentomila euro. Ci sono poi quelli del Cipe, e quelli promessi dal governo Monti ma in attesa di riconferma da parte dell’esecutivo Letta. Ancora, una parte dei fondi per gli stipendi arretrati che è stata appena sbloccata, dopo la solita manfrina di trattative, equilibri da salvaguardare, insulti, ancora trattative e finalmente strette di mano.
Una pioggia di euro che prima o poi arriverà e andrà investita, resta da capire come. Sul tavolo ci sono le posizioni della commissione interistituzionale (voluta dagli ex ministri Barca e Profumo) per una permanenza – anche se parziale – del museo sul litorale; quelle della fondazione Idis, che prosegue la sua campagna perché il museo venga ricollocato dov’era, e a tal proposito pensa di organizzare sull’area del rogo l’edizione 2013 di Futuro Remoto; nel frattempo Vincenzo Lipardi, che di Idis è consigliere delegato, ha lasciato in più di un’occasione trapelare che l’opposizione della fondazione a una delocalizzazione ha tra le cause il fatto che la stessa perderebbe il privilegio patrimoniale di strutture con accesso al mare; il comune, intanto, sembra ammorbidire la sua posizione sull’inderogabilità della ricostruzione in altro loco, e di conseguenza della destinazione del litorale a spiaggia pubblica.
Lascio Coroglio scalando la collina di Posillipo e poi riscendendola a folle, godendomi il panorama. Mi fermo per osservare dall’alto Bagnoli, e quella distesa di vuoti che è l’ex area industriale. Forse vorrà dire qualcosa, in un posto in cui si abita la casa, la strada, la metropoli gomito a gomito, fino a sentirsela spesso stretta, quest’abbondanza di vuoti; forse tutto ciò è frutto della dialettica tra la paura di riempirli male e l’incapacità di progettare una città nuova, in cui riempire uno spazio non voglia dire necessariamente demandarlo a un interesse privato, ma pensarlo come qualcosa di funzionale alla comunità.
Sono quasi le due. La luce che arriva è ancora intermittente, tra le nuvole e un sole che spunta sempre più raramente. Nonostante ciò, mentre mettevo in moto la macchina per andar via, fuori Città della Scienza, alcuni ragazzini si tuffavano dagli scogli anneriti di Coroglio nelle acque della fabbrica, sullo sfondo dei capannoni bruciati, ridendo e prendendosi a parolacce. Per qualche istante non ho saputo se invidiarli o pensare a cosa ci avrebbero trovato, in quell’acqua. (riccardo rosa)