Il museo PLART di via Martucci è uno dei punti chiave della vita artistico/culturale del quartiere Chiaia. La struttura ospita “un’importante raccolta di plastiche storiche – cito da depliant – di oltre mille e cinquecento pezzi, tra oggetti di design anonimo e d’uso quotidiano e opere di designer e artisti contemporanei”. È la collocazione naturale per l’incontro organizzato dall’associazione VivoANapoli e intitolato Napoli-Torino: investire nella cultura per cambiare la città. La locandina racconta che l’evento sarà il primo di una serie di incontri, con l’obiettivo di “costruire un Sistema della cultura”, dal momento che gli animatori del gruppo, presentato lo scorso maggio al museo PAN – avvocati, giornalisti, musicologi, commercialisti, critici teatrali – “per lavoro e per passione sentono di appartenere al sistema culturale della città”.
Protagonisti della manifestazione, sponsorizzata da Carpisa, da radio CRC e dagli alberghi Vesuvio e Santa Lucia, sono tre esponenti istituzionali piemontesi: Fiorenzo Alfieri, promotore del Piano strategico della città di Torino, Evelina Christillin, presidente del Teatro Stabile e Maurizio Braccialarghe, che sempre a Torino fa l’assessore alla cultura. A incontrarli, sette omologhi partenopei, una truppa trasversale che comprende gli assessori Miraglia (regionale) e Daniele (comunale), poi il vicepresidente vicario della Camera di commercio, il sovrintendente del San Carlo, il presidente della sezione “Sistema Moda” dell’Unione industriali. Gli abitanti di Chiaia, i membri e le persone vicine all’associazione, sembrano morire dalla voglia di incontrare i torinesi. La sala si riempie in fretta di un centinaio di persone, tra uomini brizzolati con camice a righe e begli orologi ai polsi, e signore abbronzate e profumate che annuiscono o scuotono il capo continuamente, dimostrando di saperla lunga in fatto di cultura. L’età media è intorno ai cinquanta-sessant’anni, ma non mancano i giovani (soprattutto giornalisti) e qualche anziana madama con borsetta e bastone.
La linea dell’incontro, in termini più prosaici, potrebbe essere tradotta in: I torinesi insegnano ai napoletani come si fa. Ci sono anche gli estremi per un po’ di bagarre, considerando che sulle poltroncine si accomoderanno i due assessori di comune e regione, istituzioni che per esempio sul Forum delle Culture hanno avuto attriti rilevanti. Qualsiasi potenziale frizione, però, resterà nelle speranze dei più inesperti e illusi. Primo perché tutti sanno che in queste circostanze la priorità è non rovinare la festa, e il fair play istituzionale è d’obbligo; secondo perché l’assessore Miraglia non si presenterà, inviando il proprio saluto e scusandosi per l’impegno improvviso.
Si comincia alle 18.21, nonostante l’assenza del sindaco atteso invano per i saluti. Già dall’introduzione di uno dei promotori dell’associazione si capisce che la cultura è il mezzo per arrivare a un vero cambiamento della città. Parte da lì la solita sequela di parole abusate negli anni e rispolverate senza troppo senso del pudore nella città capace di (non) organizzare il Forum delle Culture. Di quale cultura si parli comunque lo si capisce presto, ed è subito chiaro cosa dovrebbero insegnarci i torinesi.
Il primo a parlare è Fiorenzo Alfieri che racconta delle esperienze amministrative torinesi che si intrecciano con le sue personali (Alfieri ha fatto l’assessore per oltre vent’anni). Si parla del passaggio di Torino da città industriale e fordista a centro culturale, e del famoso Piano Strategico elaborato nel 2000 e poi rinnovato nel 2006 per coinvolgere nel rilancio del capoluogo sabaudo «tutti gli attori e gli elementi chiave della città, coordinati dall’amministrazione ma svincolati da qualsiasi mano politica». La palla passa poi a Evelina Christillin, che nel suo curriculum vanta la presenza nell’ufficio comunicazione della Fiat e nel Comitato organizzatore dell’Expo, la presidenza del Comitato promotore per le Olimpiadi 2006 e del Teatro Stabile di Torino, oltre che un centinaio di gettoni alla Domenica Sportiva, di cui è spesso ospite in qualità di intellettuale fanatica supporter juventina. La Christillin illustra le dinamiche che hanno portato Torino a guadagnarsi l’organizzazione delle Olimpiadi invernali 2006. Si parla anche delle Olimpiadi della cultura, una serie di eventi che il comitato olimpico pretende dal paese organizzatore per “valorizzare la cultura del paese ospitante”. La Christillin, che guarnisce la sua retorica con un frequente uso di termini inglesi (nell’ordine: best pratice, top sponsors, brand, melting pot, task force, connection), elabora i parametri che costruiscono il vero successo di un evento culturale: dal numero di presenze e prenotazioni negli alberghi fino alla quantità di sponsorizzazioni. Non si parla mai di qualità o di rapporto con la comunità. È chiara dalle parole di tutti, e nessuno ha intenzione di nasconderlo, l’identificazione totale della cultura con il concetto di grande evento.
L’intervento di Nino Daniele è su una lunghezza d’onda un po’ diversa. L’assessore comincia parlando come una guida turistica, foglietto alla mano, elencando tutte le bellezze culturali della città. Ne viene fuori che Napoli ha un potenziale culturale straordinario ma anche molti limiti, a cominciare dalla mancanza di risorse. Proprio per questo è necessaria la collaborazione interistituzionale e proprio per questo il neo assessore si sta impegnando a tenere dei buoni rapporti con l’omologo dicastero della regione. Quando, tra gli esempi di gestione comune e coordinata viene nominato il Forum delle Culture, il pubblico comincia a rumoreggiare. Qualcuno scatta come una molla etichettando la manifestazione come “buco delle culture” e accusando l’assessore di essere corresponsabile, assieme alla giunta, di una situazione devastante.
Come sempre manca un’analisi vera, o un mea culpa sulla questione Forum, che pure è l’emblema del disastro campano in materia di politiche culturali. Non un accenno al tempo perso per incompetenza, per avvicendamenti dirigenziali tutti politici, non una riflessione critica su una manifestazione che dopo anni di “lavoro” ha solo un nome e una mezza dozzina di piccoli eventi spot; niente, sull’occasione sprecata, sull’incapacità persino di mettere in atto la speculazione che è diretta conseguenza e spesso anche causa dei cosiddetti grandi eventi. Oltre a tutto ciò emerge il totale scollamento delle istituzioni, tanto partenopee quanto torinesi, da qualsiasi cosa vagamente degna di essere chiamata cultura. Dalla città, dalla sua comunità culturale, dalle iniziative che in un contesto mediamente vivo si guadagnano uno spazio, galleggiando tra difficoltà economiche e logistiche, a cominciare dallo scoramento dovuto al confronto con quella macchina (andate a vedere, cari compagni, chi ha organizzato il concerto di Manu Chao) lobbistica e clientelare delle politiche culturali in Campania. Tuttavia, è cosa nota: per imparare come (non) si fa, a volte è più comodo lasciarsi guidare da qualcuno per rifarsi il trucco, piuttosto che guardarsi semplicemente allo specchio. (riccardo rosa)