Da Repubblica Napoli dell’11 luglio 2013
Si può visitare in questi giorni, e ancora a lungo nei Quartieri Spagnoli, una mostra sui generis, un’esposizione a cielo aperto dei duecentoventitre dipinti che Cyop&Kaf hanno disseminato nell’arco di tre anni in un’area che va da Montecalvario a Sant’Anna di Palazzo, utilizzando come supporto muri di pietra e di mattoni, saracinesche e vecchi portoni. Non è la prima volta che i due artisti napoletani si confrontano con i Quartieri Spagnoli. “Buio”, nel 2007, si visitava a luci spente. Dall’oscurità emergevano i segni tracciati con vernice fosforescente sulle pareti dell’ex rifugio antiaereo situato sotto largo Baracche. Stavolta gli spazi espositivi si sono dilatati e abbracciano l’intero quartiere. Come accade per i loro progetti più ambiziosi, anche questo, dal titolo “QS”, travalica le modalità di una semplice esposizione. Le opere sono importanti, sono quel che si “mostra”, ma il processo di creazione, messo a punto in anni di attiva frequentazione dei luoghi, è il passepartout che consente di affrontare le grandi questioni, quelle che riguardano il ruolo dell’artista e gli interlocutori della sua azione. Ovvero, il “perché” e il “per chi” fare arte.
I Quartieri Spagnoli – come la Sanità, il Cavone o Forcella, come tanti rioni in periferia – godono di una robusta cattiva fama, che rimonta, senza andare troppo indietro nel tempo, all’epoca della prostituzione e del contrabbando. Lo scossone del terremoto, come altrove, ha segnato l’inizio di una mutazione, più graduale di quel che si crede e tuttora in corso. Le faide di camorra non sono un ricordo degli anni Ottanta, ma i clan odierni appaiono marginali sulla scala metropolitana. I tanti piccoli artigiani che proliferavano un tempo, sono stati soppiantati solo in parte da attività ricettive e di ristorazione. Negli anni Novanta i piani di risanamento sociale, spesso all’avanguardia, hanno coinvolto soprattutto donne, adolescenti e bambini; ma senza continuità le ferite fanno in fretta a riaprirsi. Agli abitanti storici si sono aggiunte nuove tipologie di residenti: gli studenti universitari; un ceto medio di professionisti e intellettuali; ma soprattutto le famiglie di migranti, di varia provenienza e di scarso potere d’acquisto, che spesso si sono insediate nei bassi sostituendo i napoletani. La struttura urbanistica impervia, le strade congestionate di persone e motorini, la scarsezza di attività commerciali notturne, rendono i Quartieri Spagnoli ancora un mondo a parte, facile da esorcizzare con qualche stereotipo – il sindaco assicurò che sarebbero diventati la “nuova Montmartre” –, ma poco studiati e ancor meno frequentati, buoni al massimo per rubare qualche immagine caratteristica puntando il teleobiettivo da via Toledo.
Cyop&Kaf non si sono limitati a colorarne le superfici. Hanno fatto del quartiere il protagonista dei loro dipinti. Come Enzo Moscato, che con immaginifica scrittura ha reinventato i Quartieri del dopoguerra, i due artisti hanno ridato forma al presente utilizzando la pittura e i pennelli. Hanno preso le mosse dalla realtà dei luoghi e delle persone, ma l’hanno spogliata, scomposta e poi rimontata. L’hanno ricreata, inventandosi un linguaggio. Gli esseri umani e le loro attività, il paesaggio fisico e mentale, la storia e i luoghi comuni si rincorrono adesso – ma in una veste inedita – lungo i vicoli, per i saliscendi, nei rari slarghi del quartiere, mescolandosi con i loro “ispiratori” in carne e ossa. C’è uno strano carceriere che sorveglia una piccola gabbia, un cameriere con il vassoio in equilibrio sul naso, un pifferaio matto che si sporge dalla porta di un basso, un rabdomante con un bastone nodoso che arriva al primo piano di una casa, un “giocatore” seduto sulla porta di una sala giochi, delle figure immerse fino al collo nell’acqua, un salvagente fuori dalla loro portata, guerrieri con lance e scudi, una testa che rotola, una clessidra con dentro la polvere magica… Gli elementi che formano l’identità del quartiere ci sono tutti; a volte solo evocati, aleggiano come fantasmi. Bisogna riconoscerli, intuirli, porsi qualche domanda. Quelle figure antropomorfe interrogano. Non solo il passante occasionale, ma soprattutto quello abituale: il suo vicolo si è popolato di sembianze enigmatiche. Come in uno specchio deformante, quelle immagini gli offrono una possibilità nuova: riconoscersi diverso da come gli altri lo pensano, da come è abituato a pensarsi lui stesso.
Le centinaia di murales che punteggiano i Quartieri Spagnoli, finché l’usura o la mano dell’uomo non li cancelleranno, ci riconsegnano un “altro” luogo, azzerano i nostri sguardi assuefatti, i riflessi condizionati con cui pensiamo la città e i suoi abitanti. Cyop&Kaf, senza giudicare nessuno, rimettono tutti in pari: ricchi e poveri, buoni e cattivi, indigeni e forestieri. Ci obbligano a osservare dettagli impensabili fino a un momento prima. Ci chiedono di aggiornare le nostre malcerte credenze. E dopo, solo alla fine del viaggio, ci invitano a riprendere i nostri strumenti, a ricominciare il percorso con spirito rinnovato.
Cyop&Kaf non usano più da tempo le bombolette spray. In questi anni si sono cimentati con la ceramica e con la serigrafia, con la scrittura e con il disegno animato. Hanno dipinto i muri di tante città, ma non hanno remore a esporre in galleria quando lo spazio più raccolto si adatta meglio alle loro esigenze. Confinare questa pratica dentro il ghetto della “street art” è un modo pigro e un po’ ipocrita per dare conto del fatto che artisti così “compromessi” con quel che li circonda prosperino felici e battaglieri al di fuori del mercato dell’arte, del sistema di musei e gallerie con il loro corollario di critici e mediatori. In effetti, la generosità, la dissipatezza di un lavoro del genere c’entra poco con le calcolate composizioni, con le simulazioni tutte cerebrali che ritroviamo impacchettate in occasione di tanti vernissage. Quel che importa – ci dicono Cyop&Kaf – non è stare dentro o fuori al recinto dell’arte contemporanea, ma sollecitare i propri simili sulle questioni fondanti, interrogarli con un linguaggio autentico ma non banale, non semplificato, confrontandosi se necessario in territorio alieno, lontano dai riti autoreferenziali e dagli ambienti protetti. E da questo punto di vista, su chi stia dentro e chi stia fuori, ci sono pochi dubbi. (luca rossomando)
foto di cyop&kaf – www.cyop&kaf.org
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