da: Il Corriere del Meezzogiorno
In una città bloccata (non solo) dal punto di vista finanziario, incapace di assicurare standard minimi di servizi agli abitanti, sarebbe opportuno far leva sulle risorse e sulle competenze già presenti nell’amministrazione così come valorizzare pezzi inattesi del patrimonio civico. Sarebbe auspicabile una sorta di mobilitazione, pratica e simbolica, delle potenzialità inespresse capace di compensare l’inazione che mortifica lo sviluppo culturale e sociale. Da dove iniziare? Per esempio dal prendersi cura del patrimonio documentale conservato, o meglio ammassato, nell’archivio storico municipale. Lo scrigno in cui si trovano veri e propri tesori della città trattati, però, in modo pietoso. Per la mia attività di storico ho avuto modo di frequentare l’archivio a più riprese riscontrando un progressivo degrado negli ultimi dieci anni. Sia chiaro che la responsabilità non è, banalmente, imputabile ai lavoratori che – tra alti e bassi – fanno il possibile per garantire la fruizione e la salvaguardia di tale patrimonio. È doloroso registrare la totale assenza di interesse da parte della macchina amministrativa nel razionalizzare e preservare quella che potrebbe essere una risorsa eccezionale tanto per la ricerca quanto per la politica culturale cittadina. L’archivio storico municipale conserva, teoricamente, il patrimonio documentale che va dal XII secolo fino ai nostri giorni. Si tratta di fonti dal valore inestimabile che, adeguatamente inventariate, organizzate e valorizzate testimonierebbero la complessità dell’evoluzione della città e della sua società.
In una stanza abbandonata e inaccessibile, per esempio, sono malamente accatastati i documenti dell’attività di tre secoli del Real Albergo dei Poveri, una struttura da anni al centro di progetti di riqualificazione ma, storicamente, del tutto inesplorata. In altri locali, solo parzialmente accessibili, è possibile consultare – in modo del tutto casuale – cartografie, atti amministrativi, inchieste, dibattiti, fondi iconografici e fotografici, bilanci, resoconti: fonti preziose per scrivere la storia delle trasformazioni del territorio urbano. Anche se in una dimensione caotica e fortunosa, almeno fino al principio del XX secolo, si riesce ad accedere all’infrastruttura storica della città. Accesso che diventa impossibile per la documentazione relativa al periodo che va dal secondo dopoguerra agli anni Ottanta, perché la sede dell’archivio storico municipale di San Lorenzo (dove sono ammassati i documenti relativi agli ultimi settanta anni di vita amministrativa napoletana) è inagibile dal terremoto del novembre 1980. Lo stesso periodo soffre, inoltre, della carenza organizzativa dell’Archivio di Stato che rende inaccessibili i documenti a partire dal secondo dopoguerra nonché quelli recentemente ricevuti dall’archivio della Società del Risanamento.
C’è da aggiungere, purtroppo, che anche il mondo accademico napoletano non mostra dinamicità o protagonismo in relazione allo stato dei documenti che pur dovrebbero essere una risorsa fondamentale per la propria attività. Nonostante l’impegno di ricercatori, dottorandi e tesisti nel provare a recuperare fonti senza un coordinamento, sarebbe auspicabile una funzione di stimolo da parte dell’accademia nel migliorare l’accesso al patrimonio storico della città, attraverso proposte e progetti indirizzati all’accesso ai documenti e a una loro valorizzazione anche in un ambito più ampio di quello degli addetti ai lavori.
Ciò che colpisce, è il totale disinteresse per la valorizzazione di una risorsa che, con uno sforzo minimo, potrebbe rivelarsi una miniera inesauribile per la città. Lo stato in cui versa il patrimonio archivistico municipale è un sintomo drammatico, il rifiuto di riconoscere il carattere complesso e contraddittorio delle proprie origini. Un’opportunità sprecata foriera di quel silenzio assordante che trasforma (per quanto riguarda la città) la Storia da scienza sociale della complessità in folklore neopittoresco. (marcello anselmo)
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