Napoli si è trasformata in una città “turistica” nel senso europeo del termine. In questi anni abbiamo provato ad analizzare le dinamiche urbanistiche e sociali collegate all’incremento dei flussi turistici. Abbiamo raccontato l’approccio al fenomeno degli abitanti del centro storico e la difficoltà nel gestirlo da parte delle istituzioni, incapaci di stabilire regole per tutelare chi vive quotidianamente la città. Abbiamo analizzato le conseguenze dell’improvvisa turistificazione su chi nel settore terziario lavorava o ha trovato nuova occupazione (nella maggior parte dei casi occasionale, stagionale o comunque part time).
Riproponiamo a seguire alcuni dei pezzi pubblicati in questi anni sul nostro sito e sulla rivista Lo stato delle città.
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La città del turismo. Vuoti istituzionali e rigenerazione dal basso
Fin qui, nella nostra inchiesta sull’esplosione del turismo, abbiamo provato a descrivere lo sviluppo di pratiche e strutture (economiche, sociali e culturali) che stanno trasformando Napoli in una città turistica tout court dell’emisfero occidentale. Nel frattempo, lo scenario ha suggerito ulteriori elementi di complessità. In primo luogo, l’attenzione alla “turisticizzazione” è aumentata, come testimoniano alcuni interventi (più o meno indignati) pubblicati sui quotidiani cittadini, che enfatizzano l’improvvisazione che sembra caratterizzare la governance del fenomeno da parte istituzionale (tanto comunale quanto regionale).
In secondo luogo, i ravvicinati ponti di primavera hanno visto un ulteriore incremento del flusso turistico, che ha determinato un sovraffollamento di alcune zone e conseguente criticità della mobilità complessiva, mettendo a nudo carenze in termini di coordinamento tra iniziative e trasporto pubblico, e più in generale la tenuta complessiva del sistema di gestione urbana.
Infine, si continua a registrare un entusiasmo diffuso per le potenzialità della nuova situazione, proveniente da settori disparati della popolazione, ed è su quest’ultimo aspetto che qui si vuole insistere, tornando ad approfondire alcune pratiche di appropriazione e “rigenerazione” dello spazio urbano da parte del sottoproletariato, da sempre considerato un freno, una tara, una iattura per le prospettive di sviluppo e modernizzazione. Crediamo, infatti, che uno degli aspetti singolari del fenomeno sia quello del protagonismo di settori importanti delle “classi pericolose”, la loro capacità di posizionarsi negli interstizi lasciati a disposizione dell’iniziativa privata dal laissez faire istituzionale che veicola la trasformazione turistica della città.
#1 La catena
Un martedì d’inverno, di buon mattino, quell’ora in cui il carico e scarico dei rifornimenti di negozi, bar e ristoranti, intasa la viabilità dei vicoli dei Quartieri Spagnoli, un falegname e un suo sodale hanno “reificato” la zona pedonale di vico Lungo Gelso, una delle dorsali principali del quartiere che corre parallela a via Toledo. L’area pedonale in questione fu istituita a metà della seconda sindacatura Iervolino ma mai attuata, sua unica traccia era un segnale stradale su sfondo blu che, tutt’oggi, recita: “Area pedonale. Escluso residenti”.
All’epoca la misura generò proteste della gran parte dei residenti, dei commercianti, dei pochi ristoratori (una trattoria e un bar), motivate dal rischio di isolamento del vicolo già fortemente penalizzato dalla chiusura al traffico della vicina via Toledo. Lungo la strada comparve una costellazione di paletti antitraffico posizionati in luoghi strategici, muniti di appositi catenacci per assicurare la sosta esclusiva alle automobili di proprietà dei residenti. Camminare a piedi diventò ancora più difficile. Altro che zona pedonale.
Sotto i ponti ne è passata di acqua, come si dice, e quel martedì mattina la catena dalle maglie spesse posizionata perpendicolarmente al senso di marcia, è stata accolta come simbolo di “riscossa”, come segno di legittimazione dell’ormai intervenuto e inarrestabile cambiamento del quartiere. “Finalmente qualcuno che fa rispettare le regole” potrebbe essere l’adagio sintetico registrato nelle ore immediatamente successive di quella mattinata. Ristoratori (diventati ormai la realtà economica prevalente) entusiasti perché i dehor sorti nelle estremità dei vicoli che sfociano su quella via Toledo diventata un torrente di turisti, non sarebbero stati più appestati dai gas di auto e motoveicoli; commercianti ben felici di un transito pedonale foriero di potenziali nuovi acquirenti; residenti non più ossessionati dal posto auto sotto casa; abitanti dei bassi residuali non più costretti a litigi continui per entrare o uscire dalla propria abitazione; operatori informali del settore turistico con improvviso spazio a disposizione per nuove iniziative e possibili eventi. Insomma, un insieme composito di popolazione (in larga parte di estrazione sottoproletaria) che plaudiva a un’iniziativa il cui motore non è stato istituzionale ma del tutto popolare, una rigenerazione urbana dal basso. In pochi minuti di lavoro si è attuata una misura di politica urbanistica fino a quel martedì rimasta disattesa, incompiuta, impossibile da realizzare per il disappunto popolare.
La catena ha resistito fino al sabato successivo, quando una pattuglia della polizia municipale – coadiuvata da tecnici comunali – ha rimosso “l’ostacolo alla viabilità non autorizzato”, ripristinando l’accesso incontrollato ai veicoli. I promotori della catena, supportati dal consenso popolare diffuso, hanno promesso di ripristinare la zona pedonale al più presto, stavolta utilizzando delle fioriere, manufatto più solido e di più difficile rimozione.
La pedonalizzazione de facto di un lungo vicolo dei Quartieri Spagnoli può essere considerata un indicatore di una mutazione in corso che coinvolge, per l’appunto, una categoria sociale fino a oggi ben lontana dall’immedesimarsi nell’industria turistica. La catena, infatti, ha liberato spazi per le attività commerciali della zona, che a negozi di tipo tradizionale (alimentari, tessile) ha affiancato l’apertura di trattorie e bar ma anche di un’agenzia di servizi turistici che offre l’organizzazione di visite guidate nella città e nei dintorni e perfino escursioni in elicottero, motoscafo e servizio limousine. Anch’essa aperta di recente al posto di un basso adibito per lungo tempo a deposito di cianfrusaglie. Inoltre, le attività commerciali preesistenti, come i coiffeur per donna/uomo, dopo la rimozione della catena, hanno realizzato un sistema di catenelle pendenti tra i paletti antitraffico, ma stavolta con l’obiettivo di impedire la sosta selvaggia di motocicli e preservare lo spazio antistante ai negozi e la viabilità pedonale. In pochi anni si è verificato un capovolgimento dei bisogni, una ridefinizione radicale delle priorità dell’uso dello spazio urbano.
C’è anche un altro dato da prendere in considerazione, almeno per il quadrilatero dei QS, e si tratta della diminuzione drastica di rapine e furti a danno di residenti e turisti. Sebbene, infatti, si ripropongano sporadiche sparatorie e ferimenti legati agli instabili equilibri malavitosi della zona, l’insieme di azioni che costituiscono la microcriminalità (come si dice) si sono rarefatte con il decollo dell’economia turistica. Se fino a qualche anno fa il turista era una potenziale preda, oggi viene considerato un finanziatore di attività commerciali e di servizi. I motocicli e gli appartamenti dei residenti hanno smesso di rappresentare fonti di pezzi di ricambio e oggetti di valore a costo zero. La dinamica turbocapitalista sta lentamente – ma inesorabilmente – soppiantando l’appropriazione violenta della ricchezza. Passeggiare a qualunque ora per i vicoli prossimi a via Toledo non è più un rischio, non offre più scariche adrenaliniche a buon mercato, sono perfino terminate le scorribande in motociclo nella zona pedonale di Toledo che per un periodo non troppo lontano hanno fatto scrivere fiumi d’inchiostro sui quotidiani locali (e nazionali). Si sta formando, insomma, un circuito di accumulazione basato su un meccanismo che si muove sul crinale tra formale e informale perché, nonostante tutto, molti dei lavoratori coinvolti nei nuovi scenari non sono contrattualizzati o, in ogni caso, si muovono nelle maglie della (de)regolamentazione del lavoro. Eppure è ormai consolidato un altro adagio: “Il turismo sottrae braccia alla criminalità”, almeno quella spicciola, perché da indagare sarebbero le origini dei capitali iniziali grazie ai quali sono stati avviate (rinnovate e ricollocate) le decine di nuove attività commerciali indirizzate allo sfruttamento dell’industria turistica.
La vicenda della catena non è la sola a indicare la mutazione in atto. Oltre ai fenomeni già investigati, anche a ridosso dei vicoli del Nuovo Teatro Nuovo,prossimi a largo Baracche, si è costituito un minidistretto dell’intrattenimento i cui poli di attrazione (per turisti e residenti) sono la trattoria folkloristica Nennella, la vineria (ex cantina frequentata da marginali) La Pignata e una gelateria aperta di fianco. Anche in tal caso la pedonalizzazione è stata effettuata de facto, come primo passo necessario per lo sviluppo di un nuovo orizzonte economico. Insomma, partendo da spinte provenienti da agglomerati sociali finora attivi in quelle che Marco D’Eramo ha chiamato le “industrie meno rispettabili del settore turistico”, la componente marginale della società partenopea diventa una sorta di avanguardia nel processo di stabilizzazione di Napoli città turistica, in quel complesso Apparato Produttivo Turistico delineato dal geografo Stephen Britton. (continua…)