Napoli Monitor propone ai suoi lettori, per i mesi di luglio e agosto, alcuni degli articoli pubblicati su Lo stato delle città nel corso di questi tre anni di attività della rivista.
Fuori dalla scatola. Imparare nonostante la scuola è un articolo di Marzia Coronati, pubblicato all’interno del numero 4, nell’ottobre 2019
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In una delle prime settimane di quarantena mia figlia Viola ha proposto a cinque compagne della sua classe, una quarta elementare, un gioco via Whatsapp. L’ho aiutata a creare un gruppo che abbiamo intitolato “Favole al telefono” e a scrivere un piccolo messaggio introduttivo. Viola avrebbe inviato un vocale raccontando l’inizio di una storia di sua fantasia, poi a turno, in un ordine prestabilito che abbiamo proposto, le altre avrebbero dovuto continuare. Alla fine del giro mi sarei occupata di raccogliere gli audio e cucirli in un unico file, che poi avremmo rispedito in chat. Viola ha scelto l’immagine del gruppo, un lupo che balza in avanti, e ha registrato il suo incipit. La proposta è stata accolta con entusiasmo, nel giro di poche ore la favola era pronta e la sera l’ho riconsegnata intera a tutto il gruppo; una bambina, con l’aiuto del padre, ha anche sonorizzato il racconto con musica e rumori. Riascoltarlo è stato divertente, nonostante la storia fosse costellata di tragedie, dalla morte dei genitori della protagonista all’affogamento di una zia, ma poi arrivava una sirena e la faccenda si faceva più colorata.
Il giorno dopo sul gruppo è giunta una proposta di una delle mamme: perché non chiediamo all’associazione dei genitori della scuola di pubblicare la storia sul loro sito, magari allegando un disegno per ogni pezzetto di racconto fatto da ciascuna delle bambine? Viola in principio non era entusiasta, ma ha accettato e la sera ha disegnato una bellissima illustrazione a cui ha lavorato per quasi un’ora. Disegni e audio sono stati pubblicati sul blog dell’associazione e Viola ne è stata timidamente felice. Dopo qualche giorno un’altra mamma fa una nuova proposta: perché non giriamo il lavoro alla maestra di italiano? Viola non ne era per niente convinta, ho provato a chiederle cosa le dava fastidio ma non è riuscita a spiegarmelo oppure io non sono riuscita a capirlo. Alla fine, riluttante, ha accettato. La maestra ha ricevuto il link alla favola sonora illustrata e ha mandato indietro cuoricini e pollicioni alzati che Viola ha accolto facendo spallucce. A distanza di un paio di settimane dal battesimo del gruppo “Favole al telefono” arriva una terza proposta da un’altra mamma: perché non allarghiamo il gioco a tutta la classe, proponendolo sulla chat e coinvolgendo le maestre? Qui Viola è crollata. Non era per nulla d’accordo e non avrebbe partecipato. Il gioco è partito ma lei non ha dato il suo contributo. A distanza di qualche giorno ho provato a parlargliene, a capire il motivo del suo rifiuto; mi ha spiegato le sue ragioni, sono riuscita a condividerne alcune e ho dovuto accettare le altre. Uno: il gruppo lo aveva selezionato lei in base alle voci e alla capacità dei suoi compagni di raccontare storie, allargando il gioco a tutta la classe certe parti della storia sarebbero venute peggio. Due: il gioco era una sua invenzione e non le andava che se ne appropriassero anche gli altri. Tre: non si capiva perché la maestra avrebbe dovuto ascoltare le loro favole di fantasia.
Faccio fatica a condividere con gli altri genitori problematiche e sentimenti scaturiti in questi giorni di quarantena. Viola è entusiasta all’idea di non andare a scuola, non ha voglia di videochiamare i suoi compagni in conferenze collettive, ha chiesto forse tre o al massimo quattro volte di telefonare a un amico o un’amica, non è per nulla preoccupata all’idea di un possibile rientro che preveda misure di distanziamento o divisioni per piccoli gruppi, non sente la mancanza delle attività sportive. Sin dal primo giorno di quarantena ha recuperato un entusiasmo che da anni non vedevamo, adora cucinare con noi pizza e torte, cosa che da qualche tempo non voleva più fare, ci aiuta nella cura delle sorelle piccole, cosa che non aveva praticamente mai fatto, ha ripreso dopo mesi di bronci a giocare in cortile a nascondino e acchiapparella, finalmente ha tempo per leggere i suoi fumetti e i suoi libri per ore. Sembrerebbe che il problema sia la scuola, la relazione con le maestre e a cascata quella con i compagni, ma la lettura non è così semplice e questo arresto forzato mi sta aiutando a comporre un puzzle molto più complesso.
A seguito di una serie di test che ha svolto l’estate scorsa, Viola ha diritto a seguire un cosiddetto Pdp, piano didattico personalizzato. Dopo una decina di giorni dalla chiusura delle scuole le maestre sono faticosamente riuscite a gestire una specie di diario digitale che non includeva nessuna indicazione particolare per lei. All’inizio non ho chiesto niente perchè mi sembrava fuori luogo in un momento di panico generalizzato, poi mi sono accorta che quello che facevamo io e Viola insieme ogni pomeriggio era molto più personalizzato del piano personalizzato che nei mesi scorsi ha seguito a scuola e perciò non ho mai più avanzato pretese in tal senso. Scegliamo liberamente che materia svolgere in base alla volontà, concentrazione, energie del giorno e arriviamo fin dove possiamo. Certo, la lista delle notifiche dei ritardi nei compiti assegnati si allunga ma si fa quello che si può. Viola non è mai stata autonoma nello svolgere i compiti, di certo non si può pretendere che lo sia in questo momento, non posso allontanarmi neanche durante un copiato perché le distrazioni sono dietro l’angolo e ogni pretesto è buono per interrompere il lavoro, perciò il nostro momento di studio dura al massimo un’ora, quanto concedono le altre figlie e la pazienza (invero sottilissima quando si parla di compiti) di Viola. Dopo circa due mesi dalla chiusura delle scuole sono arrivate anche le lezioni online, un’ora e mezza al giorno. Il primo giorno Viola alla fine della videochiamata ha pianto per mezzora di rabbia e nervoso, la seconda è andata un po’ meglio, perché, mi ha spiegato dopo, la maestra di turno ha permesso distrazioni e svaghi.
Faccio fatica a seguire i dibattiti e le riflessioni di queste settimane sulla scuola e il suo immediato futuro. Non ho la minima idea di come gli strumenti didattici digitali possano aiutare Viola, non ha grande dimestichezza con i device, anche se sta migliorando a poco a poco, e per ora le piattaforme non stanno diminuendo la sua impazienza o aiutando la sua concentrazione, ma soprattutto non la stanno avvicinando ai contenuti proposti dalle insegnanti. D’altro canto non penso che sia una questione di fisicità, del contatto dei corpi, se riaprissero oggi le scuole sono certa che io e il mio compagno dovremmo riprendere la lotta quotidiana che ogni mattina, ormai da quattro anni, affrontiamo per trascinarla fino in classe. Non penso neanche che abbia a che fare nello specifico con le sue insegnanti; certo, non hanno contribuito a farle amare la scuola ma ognuna ha un approccio diverso e anche quella che a lei è più simpatica in fondo è sempre una noia o, come dire, un intralcio tra lei e la felicità.
Viola rifiuta l’istituzione scuola. L’unica cosa che potrebbe restituirle la gioia rubata è una rivoluzione, un ribaltamento totale degli obiettivi, delle aspettative, degli schemi. A volte perdo la pazienza, le dico che non è possibile che non ci sia una materia che la appassioni, “capisco che non ti piaccia grammatica, ma allora fatti piacere scienze, inglese, religione! Insomma, fatti piacere qualcosa”. Mi innervosisco e perdo insieme alla pazienza anche la lucidità, perché una bambina che sfoglia per ore l’enciclopedia degli animali e legge venti fumetti a settimana non può essere una persona poco appassionata. Ma se rifiuta anche educazione fisica, insomma, c’è qualcosa che non va nel suo insieme, e di certo non è questa pandemia ad avermelo fatto capire. Quello che oggi però inizio a intravedere è che quel cambiamento di cui molti parlano in questi giorni, quel mai più come prima che ronza nelle orecchie di tutti, non è un orizzonte di speranza per Viola, né per i bambini come lei. Non basta una didattica multimediale, non bastano i gruppetti di lavoro per svolgere i compiti, non basta che la maestra guardi nelle stanze dei bambini e loro nella sua. Non è sufficiente, non è l’obiettivo. Viola impara fuori dalla scatola, quando non c’è valutazione, quando non c’è comparazione, quando non c’è obbligo, quando non c’è orario. Impara a misurare quando ha bisogno di ragionare su una costruzione Lego, a scrivere quando deve lasciarmi un biglietto con delle indicazioni, ad argomentare quando deve ritagliarsi spazi di autonomia e allora sfoggia la sua arte diplomatica con le sorelle per convincerle a lasciarle la stanza. Niente di nuovo, direte. Se ne discute da tempo e gruppi come il Movimento di cooperazione educativa hanno approfondito questi temi producendo libri, strumenti, laboratori fin dagli anni Settanta; molti di questi approcci suonano ormai naïf, fuori tempo, lontani dalle nuove generazioni e stanno adattandosi ai nuovi costumi, ampliandosi anche grazie ai supporti digitali. Tutto questo è sicuramente vero e chi ha la fortuna di incappare in un maestro attento a questi percorsi sicuramente ha la strada facilitata. Ma quello che imparo in questi giorni e che auspico per l’immediato futuro è qualcosa di diverso, uno scarto laterale: provare come genitrice a preoccuparmi un po’ meno, a smettere di cercare sempre uno spazio organizzato, a stringere l’obiettivo, personalizzare al massimo il piano personalizzato, aumentare il volume dell’ascolto senza pretendere risposte, accogliere la rabbia e la noia, accettare che qualsiasi cambiamento difficilmente sarà la rivoluzione che vorrebbe Viola, e supportarla nell’approfittare al massimo di questo tempo libero per imparare quello che vuole e come vuole, lasciarle scoprire i suoi punti di forza e apprenderli io stessa osservandola; questo forse potrà aiutarci ad affrontare il nuovo anno con più serenità.
Una cosa buffa che è accaduta nella nostra famiglia fin dai primi giorni di quarantena è che ci è sembrato da subito una follia il “prima”, il trascorrere del tempo con le bambine solo pochissime ore, tra le 16,30 e le 21, impiegate poi spesso in attività sportive o altri corsi. Ancora oggi, quando ci pensiamo, ci viene un po’ da ridere, come se fosse uno scherzo tutto quello che c’era, e non quello che c’è. Viola qualche giorno fa mi ha chiesto di comprarle una pianta, perché vuole prendersi cura di qualcosa. Ecco, voglio usare questo tempo per imparare a “prendermi cura”.