Un caldo giovedì di giugno. Via Tarsia è un via vai di motorini e macchine. Dopo qualche minuto di disorientamento, imbocco il vicolo cieco accanto al teatro Bracco dove ha sede l’associazione Napolinsieme. Un piccolo scantinato ben organizzato, su un tavolino bianco nel mezzo della stanza sono già predisposte le buste con i panini e le bevande da portare la sera per il consueto giro. Sulla destra una scaletta in legno unisce conduce a un soppalco zeppo di scatole con vestiti usati. Le persone sono tutte prese dall’organizzazione serale. Salvatore aspetta quasi a metà tra il vicolo e la strada, è un ex professore di lettere con alle spalle altri svariati mestieri che racconta con riservatezza e discrezione. Una fuga dall’Italia e un ritorno a Napoli con l’animo purificato. È stato lui ad avere l’idea di un’associazione di volontari per aiutare i senza fissa dimora. Napolinsieme è nata nell’aprile 2014, organizzazione apartitica, aconfessionale e completamente autofinanziata. Il martedì e il giovedì, i volontari (dieci nel 2014, oggi circa un centinaio) escono con le macchine cariche di vestiti e cibo e si dirigono verso la Galleria Umberto e la Galleria Principe di Napoli. Per lo più sono lavoratori, studenti, neolaureati, pensionati, casalinghe. Sembrano tutti molto affiatati, pur avendo età e vissuti diversi. Hicham ha una polo gialla e un cappellino grigio. È nato a Casablanca ma abita da venticinque anni in Italia. Nei primi mesi di permanenza a Napoli ha vissuto per strada, poi ha trovato lavoro e da parecchio tempo vive per conto suo. È stato custode all’ex Asilo Filangieri quando la struttura ha ospitato undici senza tetto. Napolinsieme ha cercato in questi anni di fare rete con altre associazioni e collettivi. Ha rapporti con l’ex Opg, Santa Fede Liberata e lo Scugnizzo Liberato.
Sono le 19, altri volontari arrivano per raccogliere i dolci e i rustici che rimangono nei bar e nelle pasticcerie del circondario. Una scatola di polistirolo, delle buste di plastica e una fascetta gialla al braccio con su scritto il nome dell’associazione per rendersi identificabili, anche se non ce ne sarebbe bisogno visto che sono conosciuti ormai da tutti. Dopo il giro, è tempo di caricare le macchine per arrivare alle zone di distribuzione. Salvatore spiega che ognuno di loro ha un compito diverso in base alla disponibilità della giornata. C’è chi prepara solo le buste e non va in giro, e chi arriva dopo perché magari lavora e accompagna il percorso della distribuzione che avviene sul tardi. Salvatore mi parla dell’idea di creare degli ambulatori per l’assistenza medica e psicologica, una mensa popolare e corsi di italiano per stranieri.
Sono circa le 20, comincia il giro. Alcune macchine vengono parcheggiate di fronte alla Galleria Umberto, nello spazio affianco al San Carlo. È serata di musica nello storico teatro e la gente ben vestita è già in fila davanti al botteghino. Più avanti, sulla strada che sbuca verso il Maschio Angioino, si forma una fila ben diversa. Le persone arrivano e si posizionano dietro le macchine. Si aprono i bagagliai, c’è un po’ di ressa, ognuno ha una richiesta specifica: scarpe aperte, magliette, pantaloncini, il caldo si fa sentire. Una donna cammina tra la folla con la sua bambina, una volontaria le si avvicina e l’abbraccia: «Ti ho portato i vestiti per la piccola». Neanche il tempo di completare la distribuzione che arrivano tre vigili urbani a chiedere di spostare le auto. Alcuni si dividono i compiti e altri parcheggiano più avanti; chi ha già scaricato fa il giro di piazza Trieste e Trento per aspettare gli altri. Antonio, uno dei volontari, è un ex detenuto. «Dovevo farmi dieci anni e invece ne ho fatto solo uno… Ora sento di poter dare qualcosa agli altri». Camminiamo per qualche metro. Sotto l’insegna luminosa di Sephora, accanto alle serrande ormai chiuse, vive Clemente. È molto magro, disteso su una grande coperta, appena vede Antonio mostra un grande sorriso sdentato. Da una decina d’anni dorme nella galleria, i negozianti lo conoscono e lo aiutano.
Ritorniamo verso le macchine, l’odore di urina impregna il legno dell’impalcatura posta nel corridoio che collega la galleria alla strada. Sono quasi le 21, l’altro appuntamento è di fronte al Museo Archeologico. Parcheggio la macchina sul lato della strada, stavolta i vigili non ci sono. Ancora una volta si forma una lunga fila. In pochi minuti finisce tutto quello che i volontari avevano preparato in più di due ore. Ci si ferma per quattro chiacchiere e una sigaretta. Una ragazza con i capelli rasati chiede a una delle volontarie di un ricovero di cui ha sentito parlare a Scampia, dove ci sarebbe la possibilità di fare colazione e lavarsi.
All’interno della Galleria Principe di Napoli male illuminata, le coperte sul pavimento formano un piccolo percorso a ostacoli. Puzzo di urina misto al disinfettante utilizzato dagli addetti della pulizia comunale. Si convive con questo odore come con l’idea che loro siano lì. Che non si possa fare altro che scansarli e passarci accanto. Sono circa le 22, alcuni dei volontari finiscono di versare il tè freddo e altri cominciano ad andare via. Salvatore racconta che è un po’ di tempo che cercano aiuto da parte delle istituzioni, ma con l’amministrazione comunale non si è ancora arrivati a nulla. Basterebbe poco, magari un aiuto economico e la possibilità di avere un posto dove organizzarsi per la distribuzione. Ci salutiamo, mi dicono che il prossimo sabato andranno a mangiare tutti insieme in una pizzeria con alcuni dei senzatetto che hanno aderito. Ci sarà musica e si potrà mangiare gratis. Salgo in macchina, l’aria è pesante e appiccicosa. Il traffico del ritorno imbottiglia la mia auto e i miei pensieri. (marzia quitadamo)