Fine agosto. Sette del mattino. La città è ancora mezza vuota e i rumori sono un po’ diversi dal solito. Persi i broccoli e il verde, e dopo anche i cinema, la celebrazione delle Quattro giornate e i circoli di partito, il Vomero è rimasto il quartiere della Coin, di Zara e soprattutto del traffico. Non oggi però, non a fine agosto, quando appena qualche macchina transita per riprendere pigramente la routine lavorativa. Ancora per qualche giorno l’aria della collina avrà la meglio sul rumore delle marmitte e la puzza di frizione.
Nella ex scuola media Andrea Belvedere abitano dallo scorso mese di aprile una quarantina di persone. Sei nuclei familiari, con in tutto una decina di bambini, poi anziani, precari e disoccupati. Alcuni di loro sono ex operai dell’Astir, rimasti senza lavoro prima e senza casa poi. Quando l’edificio è stato occupato era abbandonato dal 2009, anno in cui la scuola era stata “sfrattata”, pare, non avendo pagato l’affitto per anni ai proprietari, l’Ordine delle suore del Buon Pastore; suore che in via Belvedere, proprio adiacente alla scuola, vivono in un piccolo convento. Fino a questa mattina le monache sembravano aver avuto un atteggiamento favorevole nei confronti degli occupanti, soprattutto da quando avevano constatato la presenza di anziani e bambini nella struttura. Una occupazione realmente a uso abitativo, così che tutti sembravano aver chiuso un occhio. Va da sé che, nel frattempo, l’Ordine si prodigava per inoltrare alcune denunce alle autorità, cui lo sgombero è stata diretta conseguenza.
Sono le sette, di fine agosto, e le camionette con gli agenti sono una mezza dozzina. Almeno altrettanti sono i dirigenti della Digos. Una volta forzata la porta gli agenti fanno scendere e identificano tutti, il che probabilmente vorrà dire denuncia. Tra modi sbrigativi e facce da duro, i soliti spintoni e le urla da sbirro americano, cinque persone vengono portate alla questura di via Medina, dove gli viene consegnata una carta che li identifica come titolari del provvedimento giudiziario. Le imputazioni sono quasi grottesche, e oltre all’occupazione abusiva spiccano, per esempio, furto e scasso. Una volta allontanate le famiglie l’edificio è posto sotto sequestro giudiziario, mentre alcuni ragazzi di colore, spuntati non si sa da dove, provvedono indirizzati dalle guardie sempre più sudate a rimuovere alcune barriere di sicurezza che gli occupanti avevano istallato.
È mezzogiorno, sempre fine agosto. Il caldo non dà tregua e la puzza di sudore nell’autobus è considerevole, nonostante lo spazio vitale sia superiore al solito. In piazza Municipio ci sono un centinaio di persone. Molti degli ormai ex occupanti, anche se ai bambini, con un po’ di buon senso, è stato risparmiato il supplizio. Poi militanti, attivisti, lavoratori e studenti, un po’ tramortiti dal caldo, un po’ presenti per senso del dovere nei confronti degli amici e dei compagni denunciati, e ancor di più delle famiglie rimaste senza un posto dove andare. Il presidio all’esterno di palazzo San Giacomo dura quasi un’ora, il tempo di riprendersi dallo shock del dover ricominciare le tarantelle (ammesso che fossero mai finite), e di elaborare quella che gli inglesi chiamerebbero exit strategy. Si decide di andare verso il Duomo, puntando dritti alla curia e salendo a passo lento come turisti svogliati, o come chi ha capito di avere davanti a sé un’altra lunga giornata. Il gruppone si è arricchito di qualche giornalista, fotografo e video maker. In molti si lamentano per il caldo, ma i più scuri in volto sono i capofamiglia della Belvedere, che cominciano a preoccuparsi di dove passare la notte.
Il punto di ritrovo è la cappella del tesoro di San Gennaro, di fianco al Duomo, dove i manifestanti entrano e si stanziano nell’elegante ingresso. A fargli compagnia, dopo poco, arrivano gli agenti della Digos, quattro tra volanti e blindati, con carabinieri e polizia che, per numero e operosità, si dividono equamente il lavoro. I turisti giapponesi osservano stupiti la scena, chiedendo informazioni al bigliettaio che blatera qualcosa su una protesta sindacale, mentre qualcuno col megafono spiega che l’intenzione è quella di essere ricevuti dal cardinale, dal momento che la curia aveva espresso, durante un tavolo istituzionale, un di parere favorevole nei confronti delle famiglie occupanti. Un Digos in camicia color cachi, auricolare, e una voce alla Fausto Leali prova a mediare, e dopo una mezz’oretta arriva alla cappella don Giuseppe Mazzafaro, segretario personale del cardinale Sepe. Il prete ascolta i manifestanti che gli espongono la situazione, ma si svincola dicendo che le possibilità di intervenire, per il cardinale, sono quasi nulle, dal momento che gli ordini religiosi non sono tenuti a rispondere al vescovato. Anzi, la curia aveva dato prova di tutta la sua buona volontà, quando invitata a un tavolo sulla questione «aveva mostrato comprensione nei confronti delle famiglie».
Mentre gli animi si scaldano un po’, si apprende che il cardinale è infortunato e non potrà incontrare nessuno prima di un paio di giorni. «’A dichiarazione l’adda fa’ c’a vocca! – fa notare qualcuno degli occupanti – …o si è infortunato là?». Dopo una mezz’oretta di discussioni, e dopo aver segnato tutto su uno stropicciato foglietto a quadretti, don Mazzafaro si allontana, promettendo di dare notizie del cardinale a breve. Progressivamente, soprattutto tra gli occupanti, diminuisce però l’interesse per la solidarietà del prelato, anche perché l’orologio avanza e una soluzione su dove andare a dormire ancora non c’è.
Sono le sei del pomeriggio, è ancora fine agosto. Le giornate si stanno accorciando, e il sole rende giusto un po’ di tregua alle persone riunite in assemblea all’ex scuola Schipa, anche questa occupata, ormai da quasi tre anni, a scopo abitativo. I partecipanti al simposio sono meno rispetto alle prime ore del pomeriggio. Qualcuno ha mollato, ma chi è rimasto discute sulle possibilità di una soluzione per le famiglie rimaste senza casa. Per una notte o due, forse, verranno ospitate qui, dal momento che risulta difficile trovare qualcuno capace di garantire a ognuna di loro almeno due o tre letti.
Sul muro della scuola trionfa un grande disegno con una scritta che recita: Home sweet home. Sono passate le sette, il sole se ne va meno lentamente del solito, e per una volta il buio, o il fresco, che pure ad agosto prima o poi arrivano, non sono accolti con grande entusiasmo. È stata una lunga giornata, come previsto. Ancora qualche ora, e sarà il momento di andare a letto. O meglio di andarselo a cercare, un letto. (riccardo rosa)
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