La popolazione del comune di Poggiomarino, lembo di terra da ventimila abitanti tra Terzigno e Scafati, uno degli ultimi prima che la provincia di Napoli lasci spazio a quella di Salerno, ha una forte devozione per la Madonna Assunta. La Madonna Assunta si festeggia, secondo il calendario cattolico, il giorno di ferragosto, anche se spesso i festeggiamenti cominciano prima, come ad Avellino, dove il Pannetto dell’Assunta viene issato già dal 26 di luglio. A Poggiomarino durano tre giorni, dal 15 al 17 agosto, con una serie di manifestazioni sacre e profane per le vie della cittadina.
La chiusura di sabato 17 è un concerto in piazza il cui protagonista è il cantante Pino Mauro. I manifesti sul corso lo annunciano pomposamente come “la stella del firmamento della canzone napoletana e nazionale”, e anche la presenza del pubblico, accorso numeroso, conferma l’attesa. Chiunque abbia un po’ di memoria storica della canzone napoletana ricorda bene il personaggio basettone e guascone di Mauro, che dal secondo dopoguerra in poi ha conteso lo scettro del più amato dei vicoli all’amico-rivale Mario Merola. In quel tempo, soprattutto tra la fine dei Sessanta e l’inizio degli Ottanta, sembrava non esserci scelta: o uno, o l’altro. Il resto – scomparsi i maestri della canzone classica, e ancora da venire il fenomeno neomelodico – era quasi nulla, e non era raro che le discussioni tra chi fosse il numero uno, tra il cantante di Villaricca e l’ex scaricante del porto di Napoli, finissero a mazzate.
Erano gli anni, in cui l’“ultimo dei grandi” – così si chiama lo spettacolo che Pino Mauro ha portato al teatro Trianon lo scorso inverno – veniva accolto all’aeroporto di New York dai pezzi grossi della comunità italo-americana, e attraversava gli Stati Uniti in tournée con lo stesso Merola, poi con Albano e Romina, Toto Cutugno, trionfando nei più grandi templi della musica internazionale, a cominciare dal Madison Square Garden. Pino Mauro, come Merola, è stato una cerniera tra la musica classica e tutto ciò che è venuto dopo a Napoli. È nato cantando canzoni scritte per lui dai grandi autori e musicisti partenopei, da Bovio a Cioffi, da Ernesto Murolo a Salvatore Palomba, che mentre scriveva Carmela a Sergio Bruni non disdegnava di confezionare per Mauro i testi per le cosiddette “canzoni di malavita”, che lui preferisce definire “di giacca”, o “ispirate a fatti di cronaca”. Ha riportato in vita la sceneggiata, a Napoli ma anche nei teatri di Milano e New York, «quando a chiamarti erano gli italiani che vivevano in America e che pagavano decine di dollari per sentirti, non i politici di qua che ti portano per mano fin sopra al palco». Di quella scuola, di quelle storie, racconta Pino Mauro, «siamo stati gli ultimi protagonisti, proprio perché siamo cresciuti studiando chi era venuto prima di noi, mentre chi è venuto dopo crede di potersi permettere di non studiare il classico, prima di fare il proprio. E il risultato è una generazione di “cantanti” che non sa nemmeno leggere le note su uno spartito».
La serata di Poggiomarino comincia puntuale alle 21.00. Sul palco si alternano i cantanti che apriranno l’evento. La prima è la giovane Lucia, che ha una voce bellissima, ha studiato alla scuola di musica di Sant’Arpino e ha partecipato a X Factor. Lucia se la cava bene con Mina e con qualche pezzo straniero, poi lascia il posto a Giovanni Carotenuto e ancora dopo ai Sciosciammocca, un duo “comico” che non brilla per originalità, fondando la propria performance sullo sfottò al pubblico – anche piuttosto volgare – che però sembra gradire, ride e applaude fragorosamente. In piazza ci sono più di mille persone, tra posti a sedere e quelli che si sono accomodati in piedi dietro le transenne. Dopo più di un’ora arriva Pino Mauro, e indipendentemente dal palato del pubblico, la differenza tra l’approccio amatoriale visto fino a quel momento e il professionismo sobrio anche nel suo eccesso, figlio di cinquant’anni di carriera, è sotto gli occhi di tutti.
Mauro, che tutti chiamano “maestro”, è vestito con il solito stile impeccabile. Completo e camicia bianca, il cui unico vezzo è un righino nero sul colletto. Scarpe e cintura color panna. Gli occhiali con lente azzurra chiarissima, e la camminata da star consumata che, ancora, non aspetta altro che di salire sul palco. Il primo pezzo è Nun t’aggia perdere, il successo più grande della sua discografia, accolto da una vera ovazione. L’età media del pubblico è sulla sessantina, ma non manca qualche giovane attirato dalle luci della festa. Via via le canzoni più importanti si susseguono: Ammore amaro, Grazie Marì, ‘O motoscafo, Te lasso, ‘O bene mio, alternandosi ai classici napoletani, da Guapparia a Malafemmena, passando per ‘Na sera e maggio. Qualcuno dal pubblico chiede al maestro ‘A sfida, una delle sue canzoni più popolari che racconta di “duje uommene d’onore / ca se jocano n’ammore / ‘ncopp’ ‘a lama ‘e ‘nu curtiello”, ma lui abbozza. «Ma no… mo’ nun è ‘cchiù tiempo ‘e sfida’ a nisciuno. Mo’ avimma fa’ ‘na vita ‘cchiù tranquilla», sorride raccogliendo un grosso applauso.
Al termine del concerto il pubblico prova a salire sul palco per abbracciare il cantante. Si scattano fotografie, si bacia l’artista, si stringono mani. Quattro o cinque ragazzi della Protezione civile, che prima si erano fatti fotografare con Pino Mauro, formano un cordone per permettergli di scendere dal palco e raggiungere l’auto che lo riporterà a casa evitando un po’ di ressa. Se non fosse per gli I-phone che scattano a ripetizione sembrerebbe di essere catapultati nel passato, e che in certi posti, in certi paesi, come in certi rioni delle città, il calendario sia fermo a un tempo che non c’è più. Il tempo, invece, passa, anche per Mauro, nonostante la voce sorprendentemente vigorosa, a quasi settantacinque anni.
La macchina si allontana dalla piazza, così come sarà successo in cinquant’anni altre migliaia di volte. La gente invece resterà sul corso ancora un po’, tra le decorazioni della festa, e la Madonna Assunta che osserva e benedice il lento e soddisfatto rientrare dei “paesani” verso le proprie case. (riccardo rosa)