Se, come diceva Cechov, “scarpe buone e un quaderno di appunti” sono i segreti per un buon reportage, è anche vero che le “dritte” giuste agevolano il lavoro. Tanto è vero che questa mattina, quando l’orologio segnava le dieci, ero già alla Porta del parco, a Bagnoli, in attesa che arrivasse anche la notizia di giornata. La notizia era l’occupazione di una vecchia gru dell’Italsider da parte di alcuni disoccupati, arrampicatisi sotto un sole cocente intorno alle undici.
L’arrampicata, in realtà, non è stata troppo agevole per Alfonso e Antonio (che tutti però conoscono come Fofò e Gargamella), a causa delle condizioni piuttosto disastrate della struttura. Si tratta, per la precisione, del cosiddetto Carroponte Moxey, costruito nel 1970 e utilizzato fino alla chiusura della fabbrica per lo scarico e la ripresa dei minerali ferrosi che arrivavano passando per il pontile nord. Il Carroponte è uno di quegli edifici che, stando ai progetti riguardanti l’area, dovrà costituire “testimonianza” della storia dello stabilimento, una di quelle strutture di archeologia industriale che però al momento sono abbandonate a se stesse nell’area Bagnolifutura.
Il contesto dell’arrampicata è in realtà desolante, e chi passeggia per via Diocleziano, o si sofferma a guardare cosa succede, trova davanti a sè uno spettacolo a dir poco grottesco: la Porta del Parco, la nuova e tecnologica struttura ricettiva che dovrebbe costituire l’ingresso per la Bagnoli che verrà, è praticamente completa (il sindaco ha di recente annunciato la sua inaugurazione entro la fine del mese), ma alle sue spalle una landa infinta di terreno e vegetazione incolta si estende fino al litorale di Coroglio. Uno scenario interrotto qua e là solo dalla presenza delle strutture mai smontate della fabbrica, a cominciare dall’altissima ciminiera AGL e dall’altoforno n.4.
«Fiori del genere non li avevo mai visti nella mia vita», sorride Alfonso, mentre si avvicina a un varco per ritirare la busta con i panini che i compagni gli passano attraverso le cancellate. Acqua, prosciutto e salviettine bagnate «perché per scavalcare ci siamo ridotti una chiavica», e poi le sigarette, che sono già finite dopo un’ora e arriveranno di lì a poco. La cosa, a quanto pare, andrà per le lunghe: i due ragazzi, entrambi sulla trentina, appartenenti alla sigla Disoccupati Flegrei, dicono di non aver alcuna intenzione di lasciare la loro postazione sulla gru, fino a quando non verrà convocato un tavolo istituzionale con comune, provincia e regione, capace di fare chiarezza sul futuro del quartiere, in particolare dal punto di vista lavorativo. «Il nostro gruppo esiste da più di sei mesi – racconta Peppe dal presidio che nel frattempo è stato convocato all’esterno dell’area – eppure nonostante le continue richieste di incontro con il sindaco, siamo stati ignorati dalle istituzioni. Anzi, tutto quello che succede e che dovrà succedere a Bagnoli, noi lo apprendiamo dai giornali, come nel caso del digestore anaerobico».
Per chi si fosse perso qualche puntata, il digestore è l’ultimo progetto promosso dalla giunta de Magistris e dalla Bagnolifutura per il quartiere, un progetto che è allo stesso tempo una grande opportunità e un grande rischio. Un impianto solido, infatti, efficace (non come quello tirato su ad Acerra, per intenderci), con un impatto ambientale praticamente pari a zero (potrebbe essere davvero così, anche secondo gran parte del mondo ambientalista) non solo avrebbe il pregio di risolvere il problema rifiuti per tutta l’area ovest – i cui abitanti si sono già dimostrati più che volenterosi nella raccolta differenziata – ma potrebbe costituire anche un’importante opportunità lavorativa. «Il problema, però – continuano i membri del movimento – è che nessuno ritiene opportuno discutere con gli abitanti del quartiere di queste cose. Anche quest’ultima l’abbiamo appresa da un’intervista al vicesindaco».
Sono quasi le due, nel frattempo. Mentre all’esterno militanti e curiosi si radunano ai cancelli (videosorvegliati) che circondano la Porta del parco, l’avventura di Antonio e Alfonso va avanti. Lo striscione che i due avevano appeso alla gru, con la scritta “Noi non ci suicidiamo”, è sparito all’improvviso. «Mentre provavamo ad attaccarlo meglio ci siamo accorti che il pavimento di ferro sotto di noi non dava proprio segno di stabilità. Quando qualche piccolo pezzetto della scala ha cominciato a staccarsi abbiamo deciso che era meglio allontanarci e scendere di qualche piano». Occhiali da sole, cappellini, bermuda, i due aspettano che qualcuno gli lanci un segnale: di sapere che l’obiettivo è centrato, e la promessa di aprire una discussione su Bagnoli e sul lavoro è arrivata. Ma il sole scotta, intanto, e le ore passano. Non resta che ingannare l’attesa osservando quegli strani fiori, magari con l’ennesima sigaretta in bocca. (riccardo rosa)
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